Nel rovescio delle parti
Quale scenografia viene messa in opera da Vincenzo Lauria in Teatr/azioni per dare luogo ai gesti poetici che capovolgono cliché e stereotipi? Si tratta di metateatro? Oppure di un teatro nel teatro? Qui, in realtà, la parola non si fa riflessione sulla rappresentazione scenica, né messa in atto di un’animazione dell’assurdo con l’abbandono di trame e linguaggi consueti. Qui la parola si fa propriamente teatro: «luogo/non luogo» di pubblico spettacolo. E insieme azione-non azione. Un’azione che spalanca e rovescia sé stessa, riuscendo a mettere in luce non solo quanto si nasconde dietro le quinte, ma quello che, nel suo ribaltamento, ogni volta accade davanti ad esse. Invisibile però ad uno sguardo che colga solo l’apparire e non quanto, «per un andar del vero / in opposta direzione», si mostri al contrario «irrealisticamente verosimile».
Tutto, nel retroscena come «nell’al di qua / del vero», dalle scenografie alle luci, dal palco alla platea, dalle prove ai monologhi, dal plauso all’inchino, viene sottoposto, «di cliché in cliché», a continue mosse di capovolgimento. Così, sulla scena-non scena teatrale, viene eliminato il sipario, il palco diventa platea e viceversa, gli spettatori diventano attori e ad applaudire è un pubblico assente. E così la parola entra in azione: rovesciando cliché e luoghi comuni, con continui colpi di scena. In una finzione, implicita nel senso stesso del recitare, come del resto dello scrivere, che viene ribaltata da un’ulteriore finzione, da questa annullata e, nello smarrirsi del senso apparente, condotta ad un senso più veritiero.
Non solo la parola fa di sé teatro e, insieme, antiteatro. Il poeta fa di sé stesso teatro e antiteatro. Nel rovesciare le parti, si ritrova «Innanzi al palco / far la propria conoscenza» quando “fatale è lo svelamento / per l’inganno si dice il vero / e in suo onore / il saper stare al gioco / si fa baratro». Con una particolare modalità di scrittura, Vincenzo Lauria mette in scena veri e propri coup de théâtre nella realtà e nella propria interiorità: dallo svelare le finzioni del visibile al ricercare un senso oltre a quello apparente, fino alla discesa nel proprio abisso. E il tratto che ne caratterizza la scrittura, quello di separare con barre oblique le parole al loro interno ponendone in luce la pluralità semantica, evidente già nel titolo, trova in questi testi il suo significato scenico e insieme più autentico: spalancare ogni volta il sipario dell’apparenza che vela ogni parola, mostrando la scena nascosta dei suoi doppi, multipli sensi. La sua voragine. Il suo baratro.
TEATR/AZIONI
(Il teatro, luogo/non luogo, percorso, di cliché in cliché,
al buio di una maschera)
¶
L’inconsistenza
ci traccia nel non essere
in lunghi avvita/menti
è nel chiamarsi
un rinnegarsi per i conosciuti nomi
per apparire al solo desueto.
E in quel cappotto a quadri
scalderei nuda la mia ri/conoscenza
il sapersi per un verso bisbigliato
in bocca/scena.
Farò di me teatro
per un voler di sorte
senza un sol sipario,
fuliggine nell’aria
nel tutto retroscena.
Cliché II
La messa in scena
Pavide le menti
i para/venti
collimano con lo svelarsi
poco a poco
un négligé oblige
la noblesse d’âme à se détruire.
La mise en scène
au ralenti – dice un improbabile vero
mentre piove il virtuale.
S’intingono le pelli
di mutanti colorazioni
e nell’accingersi
segna la distanza il plauso mancato
per l’aprirsi al pubblico
di un boudoir privato.
Cliché IV
Il palco
Scale
dai gradini di neve
l’algido apparire
di me a somiglianza.
In recitar respiri e pause
solitudini escludi
e ammanti l’aria del circostante
di un’aura
nell’imminenza d’altra presenza.
Contar fra il pubblico
di un rapimento in maschera
e quel che è
non rassomiglia al nulla
al privato accaduto
al viso degli astanti sfigurato.
Innanzi al palco
far la propria conoscenza
salire
e scontar di verità la penitenza.
Cliché XIII
La scena
La ricostruzione della scena
sa di delitto annunciato
le maestranze si curano del luogo
per il replicarsi delle parti.
S’incendiano le luci
nel tratteggio delle sagome
e il sangue scorrendo ancor
si fa spettacolo.
Il movente oscuro
nell’infittirsi del mistero
accresce il campo del sospetto
l’indizio dice di un unico colpevole
tra il pubblico cadavere
Cliché XVII
Il plauso
Chiuse sale
in raccoglimenti
prima di un inizio.
La voragine ci sospende ai bordi
prima dell’attrazione,
fatale è lo svelamento
per l’inganno si dice il vero
e in suo onore
il saper stare al gioco
si fa baratro.
Confondersi al fondo
in uniforme annullamento
né luci violeranno i contorni
per la mimesi in corso.
La voce narrante rimase muta
per un sorprendersi sul palco
l’andar in scena di un pubblico scrosciante
nel colmare il vuoto dello spettacolo.
Vincenzo Lauria inizia nel 2001 la condivisione del suo percorso in Stanzevolute, gruppo di 11 poeti selezionati da Domenico De Martino. Dal 2010 collabora con Liliana Ugolini ai progetti multimediali “Oltre Infinito”. Ha collaborato dal 2012 al 2019 con l'associazione Multimedia91-Archivio Voci dei Poeti.
La sua prima raccolta edita "Teatr/azioni" (Puntoacapo Editrice) è stata finalista al Premio I Murazzi (8^ edizione) e al Premio Lorenzo Montano (34^ edizione).
Nel 2021 ha pubblicato con Liliana Ugolini la raccolta "Oltre Infinito" (La Vita Felice) che ha ricevuto la segnalazione speciale alla 35^ edizione del Premio Lorenzo Montano.
Suoi testi sono presenti nel periodico on-line "Carte nel Vento" e nel blog "Casamatta".