L’epifania poetica
Non si tratta propriamente di una visita, se pur letteraria, come precisa Daria Gigli in premessa a Una visita a Hölderlin. Appare piuttosto la scelta di assumere un punto di vista, tenere aperta una finestra, nel modo desiderativo del vedere, come specifico dell’etimo di visita. Così visitare è vedere: spalancare la visione su un mondo, attraverso lo sguardo del poeta tedesco. Un mondo sotteso all’apparenza. Dove il senso del divino, anche se smarrito, anche se difficile da afferrare, continua a permanere. Ad abitare le cose, pur essendone stato allontanato. Ed è uno sguardo insieme colmo di straniamento e di prossimità quello che muove le teofanie della raccolta, dove le varie manifestazioni del divino si fanno vicinissime, dalla complicità mitica degli dei greci fino all’epifania de ‘Il dio dentro’.
L’epifania di un dio che è vento, soffio, suono. Un’apparizione che trascina i nomi «a sorsi infocati» e insieme sussurra. E che, nel passaggio dalle teofanie mitologiche alle poesie sulla realtà, trasforma anche le cose in divinità. Così l’autrice ci mostra «l’occhio di neve come un dio», l’innaffiatoio verde che dorme nella nebbia, la pioggia che «ha incantato le persiane». Anche i luoghi fisici e antropici, dalla natura al museo, dalla biblioteca alla sala da concerto, appaiono risuonare di visioni d’altrove. Come quelli interiori, dove «Manca sempre qualcosa», «dove non sai chi sei», a indicare il bisogno di una presenza altra. E, ancora, come quelli letterari, dove scrittori e musicisti irrompono nel testo, lungo «le stanze come un sogno di Baudelaire», «in mezzo alla Tempesta di Beethoven» o nell’orchestra di un «Mahler metropolitano».
Nella sua epifania poetica, la parola di Daria Gigli porta in visita, e a vista, sia il divino che il sentire intimo, umano e personale. Dal riecheggiare delle figure archetipe e delle divinità mitologiche fino al vibrare dei temi esistenziali e letterari, riuscendo a condurre a manifestazione, secondo il concetto di alétheia rivisitato da Heidegger, le cose come entità del reale. Portando a presenza l’occulto, il mistero. Un disvelamento che la parola poetica può rendere possibile. In un percorso anche personale dell’autrice verso sé stessa. Muovendo dalla visione del mondo esterno a quello interiore. Dalle rivelazioni del sacro alle manifestazioni dell’inconscio e dell’onirico. Fino al volteggiare nel sogno del ‘Decalogo’ finale. In fondo ancora un’epifania. Ancora ‘Il dio dentro’. Poiché, ed è sempre Hölderlin a ricordarcelo, l’uomo è un dio quando sogna.
Da: UNA VISITA A HÖLDERLIN
Musa
Musa,
stanotte ti piace giocare con me
e ti diverte – ne sono certa –
la mia incapacità di leggerezza.
Tu sai le vicende della terra e del cielo stellato
e passi lieve:
puoi dirmi perché altro non so fare
che coniugarmi su confuse ossessioni,
siano anche – ora – gli occhi chiari
e visionari
di Wilhelm Kempff
in mezzo alla Tempesta di Beethoven?
Il dio dentro
Un dio a volte di notte
mi tiene compagnia,
mi sussurra all’orecchio tutti i tuoi nomi
e poi – un prestigiatore non potrebbe di più –
li trascina giù dentro
a sorsi infocati.
Sottovoce sibila una litania
e pasticcia malinconia in mania,
ossessione in beata visione.
Il teologo, turbato,
ha già pronta una definizione
che pare una diagnosi letale:
trasfigurazione consustanziale!
Ma lui, divelto il chiavistello della notte,
guizza via flessuoso in una maschera di luce.
Solo in certe mattine zitte zitte d’estate
siede su una panca di Borgogna
a masticar litanie,
le mani compunte in grembo
per un dolce scempio
e una cocolla pietrosa
calata fino in fondo
su un volto senza volto.
Da: UNA LEZIONE D’ORCHESTRA
Mahler metropolitano
Fagotto scordato di un fusto nano,
Mahler metropolitano
in un tristeroico azzurro di castello!
Porge l’oboe il la e verrà
verrà un accordatore
a intonare svariare emendare.
Non senti come scuote l’asfalto il corista?
Pare un rabdomante
in cerca di una vena profonda
che trovi infine nel baccano
l’armonia delle acque d’Oceano!
Da: IMPROVVISI
***
“l’allegoria del mito” recita il testo
e gelido rimane e impassibile
l’occhio di neve come un dio
***
guardami con occhi visionari,
fa’ che sia in questa mezza luce,
ti prego, chi non sono
***
minaccia giorno,
in un rapido gorgheggio tutto il buio d’inverno,
le stanze come un sogno di Baudelaire
Da: FUNAMBOLESCO MUSICALE
***
Manca sempre qualcosa
perché qualcosa sia,
nulla è mai
che niente importi,
le notti intere
e un giorno pieno mai.
Scivola di mano
la fiaccola alla sera
e cade
dove tu non vai.
Decalogo
Scrivi un rondò per Praga
o se vuoi, una ballata;
prendi il bastone e va dentro alla giuncaia
dove lirica fa rima con sterpaglia,
e tu buttala sulla brace universale
finché non fa più male.
Impara a vagare
dove non sai chi sei,
suona la glassarmonica
e coppa dopo coppa scoppiala:
bello è lo scoppio e il non restare,
come in sogno caracollare.
Daria Gigli, nata a Firenze nel 1949, ha insegnato Letteratura greca presso l’Università di Firenze. Si è occupata di onirocritica greca anche con un approccio psicanalitico, di retorica di età imperiale, ma soprattutto di poesia epica tardoantica nei suoi vari sottogeneri di poesia mitologica, cosmogonica, oracolare-teologica, innodica ed ecfrastica. Predilige lo studio della poesia a carattere filosofico e in particolare di tradizione platonica e neoplatonica. Oltre a numerosi contributi su riviste scientifiche nazionali e internazionali, miscellanee e Atti di convegno ha pubblicato i seguenti saggi:
Metafora e poetica in Nonno di Panopoli, Firenze 1985
La ‘Cosmogonia di Strasburgo’, Firenze 1990
Nonno di Panopoli, Le Dionisiache (Canti I-XII) Volume primo. Introduzione, traduzione e commento di D. Gigli Piccardi, Milano BUR 2003 (che ha avuto varie ristampe. Sua la direzione scientifica degli altri tre volumi che completano l’opera)
Giovanni di Gaza, Tabula mundi. Introduzione, testo critico, traduzione e commento a cura di D. Gigli, Alessandria. Edizioni dell’Orso (in corso di stampa).
Per quanto riguarda la poesia ha pubblicato la raccolta “Una visita a Hölderlin”, Moretti&Vitali, 2019.