Graffiare la lingua
Una parola concentrata, trattenuta tra i lembi di un graffio, di una crepa. Sottratta a tutto il superfluo del dire. Lasciata esposta nel suo farsi sfregio. In Graffiti,nel reciproco rispecchiarsi di versi e di immagini, le poesie di Elena Corsino e le fotografie di Max Carcione concorrono alla rappresentazione del distillato di un senso preciso relativo alle cose e alla lingua. In particolare, l’essere accomunate, la materia e la parola, da uno stesso destino. Resti sopravvissuti alla casualità degli eventi e alle scalfitture del vivere. Tracce superstiti del vuoto e del caos primigeni e, insieme, effetti degli urti, visibili e invisibili, del tempo e dell’esistere.
La materia e la parola. Una parola che necessita di portare alla luce quanto resta sottostante alla trama apparente del visibile, attraverso «i graffi della lingua lacerata». Una materia che esprime il bisogno di liberare l’energia che scaturisce dalle crepe e dalle increspature. E che, insieme, riflettono una stessa condizione, quasi fossero le pagine di un foglio smarginato, graffiato, strappato. O la tela su cui l’incisione di tagli spalanca, come nei lavori di L. Fontana, un varco verso uno spazio altro. «Tagli lasciare / su retina o tela, / lo fa anche il vento» scrive l’autrice, mostrandoci come anche lo sguardo si lasci incrinare e fessurare: «Niente è il vissuto / se non invisibile urto / con scie di crepe, / di figli e ferite, / e luminosi attriti».
È una parola «scabra» quella inseguita da Elena Corsino, cercata tra le crepe di una «lingua / sberciata», nei graffiti da cui germogliano luce e «soffio, respiro vivo». Dai tagli della tela la luce va oltre. Dai graffi della materia trapela il nascosto. Attraverso quelli del dire, scrostato dal «babelico quotidiano», si affaccia «L’oltreterra». E il soffio, che riesce ad emergere, abbraccia la totalità, «nel corpo / che respira audace», come nei movimenti del cosmo. Così è la voce, quando sboccia dal corpo e dal caos «fino al frutto, all’urlo dall’ugola». Così la poesia, quando riesce ad oltrepassare il visibile, a partire da minuscoli sfregi per «infrangere l’infinita trama / a graffi crepe tracce», fino a musicarne il respiro lungo gli «spazi siderali / in battere/ pausa/ e levare».
Tra i graffiti della lingua
sberciata cerco la parola
scampata all’artiglio
delle conseguenze
e delle cause naturali.
Nella fascinazione del caos
e dell’elencazione
inseguo la parola scabra
a nutritura e a calore
della mia forma contratta,
misura e arto del nome.
Sgraffio sfregio scrivo
– la glottide che si contrae –
per un soffio, respiro vivo.
***
Dai corpi primi, quando per vento
tratti e da oscuri dèi congiunti,
dall’oscillante canto degli amanti
fuori del tempo, in spazi siderali
in battere/ pausa/ e levare,
in battere/ pausa/ e levare
nella tensione estrema –
nell’ampiezza prodiga del respiro
vive la sequenza elicoidale:
orme di corpi nella fanghiglia,
bava di parole e di baci,
materia della vita sulla selce –
in battere/ pausa/e levare,
in battere/ pausa/ e levare
nello slancio all’immenso moto.
***
Nottetempo caddero
dall’equamente nero
gocce
tratte da vortice d’omphalos,
da vento di smistamento:
imperdùte e attese
schegge di fuoco e semi,
erronee, scarti
per terra, e cieli.
***
Nell’equilibrio dello zero,
nella casualità del moto
– infrangere l’infinita trama
a graffi crepe tracce:
vacuo per pieno – vana
l’infinitesimale essenza:
la goccia di sangue sul lenzuolo,
la macchia della vita sui lini.
***
Riposano gli occhi
nelle cavità oculari,
s’addensa e si disperde
il mondo –
luce senza segni.
L’oltreterra
è nel corpo
che respira audace:
raccolto nell’alveo quieto
di un momento.
***
Le forme semplici, le spirali
elicoidali della vita, –
radure immense del mio verso
tratto dalla sintassi puntuale
del corpo e del caos –
con la morte dentro
la vita che esplode nel ventre
a moltiplicare l’imperituro gesto
della semina, l’odore del grano.
Fluire, salire, a–cadere
senza dimora fino alle radici
tre le umide zolle
fino al frutto, all’urlo dall’ugola,
nel vortice del vomere
e degli abbracci – vuoto su vuoto
dove un seme è morto
***
Tra i graffi della lingua lacerata
da te-a-me – team – te amo
rimuovo – cado nel cancellare
sgrattare vuoti.
Incido infiniti segni nel tempo
saturo del babelico quotidiano.
da te-a-me – team – te amo
Rimuovo – cado scalfita,
sono muro carta parete pietra,
a sangue da lacerti primordiali
di oscure memorie
di alfabeti sgangherati,
a sparpagliati echi.
Rimuovo – cedo: incido
parola che innervi il gesto
da te-a-me – team – te amo
da te-a-me – team – te amo
Elena Corsino (1969) è traduttrice e insegnante. Ha tradotto opere di poeti e scrittori russi, tra cui M. Cvetaeva, I. Brodskij, F. Tjutčev, F. Dostoevskij. Dal 2017 conduce laboratori di lettura di poesie nelle scuole superiori.
Per la poesia ha pubblicato le raccolte Le pietre nude (Il Filo 2005) e Nature terrestri (puntoacapo 2013). L’opera presentata Graffiti è stata pubblicata nell’ottobre del 2018 da puntoacapo.