Un arco dissonante
Un linguaggio straniante, contro-verso, colma le pagine di Tiro ad anticipare, in cui Federico Edgar Pucci snoda i suoi temi in un serrato esercizio tra vertigini e aporie, passioni e trasgressioni. Dove “Il peso del mistero gira il capo”. E dove il corpo e l’anima hanno la parola. Tra carnalità e perdizione, dissacrazione e pietà.
Con un’ambivalenza lasciata in sospeso nei testi: sentirsi sotto tiro o, propriamente, tirare ad anticipare? Rassegnarsi ad essere bersaglio o farsi arciere che tenda la parola verso il suo obiettivo?
Tutto il contesto della raccolta, a partire dal titolo, evidenzia il desiderio di ribaltare la situazione: nel tiro dissacrante, nella “indisciplina del cammino”, nel “Trasgredire come altissime orchestre / l’ampiezza del deserto”. Bersagli sono via via molteplici aspetti: imbarbarimenti, atteggiamenti su cui ironizzare, la commercializzazione dello spirituale da mettere a nudo.
E la parola? Da una lingua anch’essa sotto tiro, ridotta all’espulsione, alla possibilità di recuperarne, fisicamente, senso e ardore: “È stato nel tuo nome carnato / invocato un alfabeto di bruciature”, come leggiamo. In uno scardinamento lessicale e semantico che Federico Edgar Pucci mette in atto per fare, del suo arco linguistico dissonante, un nuovo dire.
Da: Quaderno dell’inverno (o la doppia presenza)
Il segno del rosario sul silenzio.
Il tempo cerca luce dilettante.
La strada sale in una pozza d’alberi.
L’uomo invisibile riceve l’ordine
di restare fedele.
Rasenta sponda di ritorno fatta
in due tra voci d’ombra parallele.
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Si stacca e svirgola dal foro
finché scende a rilento dentro altro da quello
che gonfia il suo mistero. Forse un uovo
dai colori del fuoco.
Diresti che uno sguardo ti controlla
da dietro un lungo seghettato scudo di foglie.
Marciando separato, in seme solo
per metà, indefinito suona il passo
rimasto indietro senza impronta ma
rintocca in una cava d’aria o trova
rimpiatto in una venula pneumatica.
Un’eco rasoterra
ammicca al genio soprannaturale.
Il peso del mistero gira il capo.
C’è una pietra promessa sottosopra.
La lingua trasferita insegue le ombre:
parola in ombra estranea con sé sola
irrevocabilmente espulsa.
La ventata non perde il contatto
con lo sfratto alle spalle del reale.
Tutto contiene il tempo e dal nulla è contenuto.
Sul quaderno invernale annoti nomi e linee:
loro curano il sacco trasparente
molto garbatamente.
Pulizia e pietà si rassomigliano.
Da: La buia voliera
Anche l’erba si slega per assaggiarsi.
Ciò che procede soltanto all’indietro
sa di santo e d’oblio.
Sa di salvezza al mai più darsi corpo e anima.
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Che ti è servito suggere dal poro
più ricco della sagoma da tiro?
Da: Perfetta aporia
È stato nel tuo nome carnato
invocato un alfabeto di bruciature.
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Trasgredire come altissime orchestre
l’ampiezza del deserto.
Federico Edgar Pucci è nato nel 1986 a Bagno a Ripoli, dove attualmente risiede. Dopo essersi laureato in Filologia Moderna presso l’Università di Firenze, si occupa, come critico letterario, prevalentemente di letteratura italiana del Novecento. Suoi articoli e poesie sono stati pubblicati sulla rivista «Gradiva», edita dalla Casa Editrice Leo S. Olschki di Firenze. Da due anni insegna Letteratura italiana e Lingua italiana presso la Scuola Internazionale Blyth Academy Florence.