Così tante volte siamo travolti dalle parole da smarrirne il senso e, come dire?, l’origine. Dalle “maratone” televisive ai cinguettii telematici è tutto un pullulare di vocaboli, insulti, monologhi brevi o interminabili. Da qui l’importanza di leggere un libro di poesie come Edeniche – Configurazioni del principio (Moretti & Vitali, pp. 144, € 14) di Flavio Ermini, direttore del semestrale di ricerca letteraria Anterem.
L’autore, con i suoi versi, propone una sorta di passo indietro: “un passo verso l’essere prima della sua dispersione nella molteplicità” e nella caducità. Attenzione però, egli avverte: “non si tratta di contrapporre all’apparenza dei sensi la ponderatezza; non si tratta di svelare la verità rispetto a una credenza erronea”, in quanto “anche l’apparenza appartiene all’essere”, così come “l’essenza è parte dell’apparire”. Compito della poesia, anzi, è “la riunificazione di ciò che sembra diviso”: apparenza ed essere, per l’appunto.
Le poesie di Ermini, poi, si pongono per certi versi sulla soglia, al confine fra varie dimensioni: l’indefinito di Anassimandro e il limite, la differenza e l’indiviso, la sorgente e il fiume, il soggetto e l’oggetto. Eppure proprio “il rapporto soggetto-oggetto non” andrebbe “concepito in termini di separazione. L’essenza delle piante e del vento è la stessa […], nuvole e mortali sono organicamente connessi”. “Lasciare che l’essere-della-natura s’insedi in noi” significa “superare una visione individuale, personale ed egoistica”. E ciò che dipende dal destino ci dovrebbe trovare indifferenti.
L’essere è irriducibile al concetto, scrive l’autore. Ma poi si chiede: “che fare se questo principio-primo è posto oltre la portata della ragione umana? Abdicare dal principio di ragione? No”, egli risponde, si tratta “di cogliere quel limite della ragione che concede qualche spazio di manovra all’indagatore”. Ecco: è nel limite tra il qui e l’altrove il luogo della ricerca.
Come Rimbaud, Ermini dice: “Ѐ vero; è all’Eden che stavo pensando”. Da ciò il titolo del libro. Un Eden lontano mille miglia dal paese dei balocchi, però. La poesia non è fuga o evasione, non è l’ebbrezza che allontana dalle cose o le fa percepire in modo distorto; è piuttosto ricerca di ciò che le precede, da cui pure esse finiscono per scaturire, pur essendone tanto dissimili. L’Eden dell’autore è “il punto d’intersezione del soffio con il respiro”, del cielo con la terra, del vicino con il lontano. E meglio di ogni disquisizione sono le poesie a condensare il suo pensiero. Un esempio? “il giardino conteso” (titoli e versi sono tutti scritti in caratteri minuscoli): “su questa terra palmo a palmo depredata / implacabilmente il tempo ci aggredisce / in un devastante potere di annientamento / tumulandoci sotto strati spessi di macerie / che l’epoca sottrae alle aule del cielo / nel far sì che l’umano essere sia sostituito / da un susseguirsi ininterrotto di simulazioni”.
Danilo Di Matteo
Ci sono due parole capitali nella produzione letteraria di Flavio Ermini fino al 2019, anno in cui tutto nella sua vita bruscamente è cambiato: Antipensiero e Antiterra.
Due parole che rappresentano le fondamenta delle riflessioni, sviluppatesi in vari decenni, di uno dei più lucidi e innovativi pensatori intorno alla poesia. Per comprenderne la valenza è sufficiente rileggere gli editoriali pubblicati sulla rivista “Anterem”, da lui fondata e diretta, e in particolar modo quelli degli anni 2002-2004.
Ora, usando un software di dettatura vocale, Flavio dà vita a un nuovo libro: un libro che arriva da un oltre, da una forza interiore enorme, da uno sconfinato amore per la scrittura, da una passione inscalfibile nonostante tutto.
Un libro, in qualche modo, alieno: si tratta, infatti, di una favola dove Antipensiero è il nome sia di un’astronave che di un pianeta da raggiungere, e dove Antiterra porta con sé una nuova realtà.
Nella frattura che si è aperta nella vita dell’autore, negli inevitabilmente mutati presupposti della sua scrittura, queste due parole ritornano a testimoniare una continuità, una perenne fedeltà alla sua storia. Al di là del testo, questo libro straniante è importante per il gesto letterario che lo distingue, per l’estrema forma di resistenza che ci dona.
Il libro che mancava. Partitura per antivoce. Forza della lingua e del pensiero. E come sempre splendida la cura di Massimo Scrignòli, Book editore.
Per richiedere il volume è sufficiente scrivere a info@bookeditore.it
Un regno di ciechi senza doni
A sciame
A sciame di Maria Grazia Insinga è una ricapitolazione dei motivi e delle figure che hanno attraversato tutta la sua opera: basti pen-sare che si conclude con la misteriosa immagine della tigre fulva che apriva la prima raccolta della poetessa: Persica. Ciò evidenzia la continuità della sua produzione che costituisce un’unica, in-conclusa, sequenza cifrata come quelle con cui si suole numerare le opere dei musicisti; quasi a ribadire la peculiare poetica di In-singa, caratterizzata da un continuo impossibile dialogo tra il lin-guaggio verbale e quello musicale che la poetessa non tenta mai di fondere in un unico codice. L’espressione versuale scaturisce dalla cesura tra i due idiomi incommensurabili, ma complemen-tari: una faglia che in lei si fa ferita che non rimargina e orizzonte di senso che varia e trascolora di volta in volta […]
Giuseppe Martella
*
un fantasma di fiati stretto strettoia una bocca
due rive che saranno? se non la ferita fessura
la radice amara mar madre mare deserto morte
amniotica di buona donna ferita e fera ulcerata
di inconscio la voragine senza congiunzione
disgiuntiva che risucchia e succhia la morale
che usa questa parola spezzata argine allusivo
schiaffo senza volto infero e matrice dell’inferno
*
un bianco anzi un blanc cassé
e alle estreme luci il bianco puro
poi bitume blu ceruleo grigio di payne
giallo ossido trasparente e rosso ocra
o rosso inglese caput mortuum
o quello che vuoi e l’insetto perfetto
esce dall’involucro ninfale
e il fondo in fondo è una velatura
per fare rientrare a capo nel nero
in stato avanzato il suo sfarfallio
tutte le rose le calle il tuo cranio
*
il mondo sfigura
a orari sepolcrali chiude
tombale la mora del gelso e solve
il corpo e matura verde bianchiccio rosso
fino al nero e non tiene austero se non un succhio
come di sangue un intero allevamenti di bachi sciamano
da ibla all’ape nera e fanno di nicchio un alveare volto a
mezzogiorno del tuo corpo profluvio di timo lallartu
crisalide passaggio bocciolo chiuso schiuso aperto
nascosto palese antro punta del vomere labbro
inferiore miele basso egitto a sfigurare
recesso non accessibile come sembra
*
il prete dice messa in abisso ed è la centuplicazione dell’atto
nella viola consequentia di vita nova consequentia sirena
canteremo cantari kantharos cantaru a figure rosse
canterò mardjan è corallo o è mattino morgen?
o è antevorta postvorta o è d’estate o
bonaccia o mezzogiorno o eternità
comunque serena io son serena
comunque chiara voce sottile
comunque consequentia
comunque ur
Per ordinare il volume scrivere a info@arcipelagoitaca.it
Il tempo ammutinato
In fa diesis
nostro amore, amore, sono gl'occhi chiusi di dimora
“nostro amore, amore, è la rosa plasmata a dismisura,
terra che occupa se stessa germogliando! in acque di silenzio,
in vertici a dimora di un lungo solo bacio, perfetto, di ―
ventura
(... predetta eternità? dove, la casa,
metti dentro casa, e l'alba ―
tutta fuori casa, e il sogno, sopra,
sopra casa, e sotto, sotto casa la ―
bugia, dura, di bagliore
... ma la casa, invece, quella pellegrina, non è casa ―
tolta dalla bocca? c, a, s, a nate da un tempo da svuotare?
non eterno? non predetto?
... la casa pellegrina che tolta dalla bocca
ha mille, mille terre, sfogliate a sopracciglio
nella notte tutta d'oro)
Il tempo ammutinato (Partiture). Una testimonianza di come esistente pensiero e parola siano in continuo movimento nascente. In copertina, ad introdurre e ad accompagnare parole e versi, Magritte con il suo "L'Impero delle luci II". Splendida la cura di Massimo Scrignoli e Nina Nasilli, Book Editore.
Per richiedere il volume: www.bookeditore.it
La Vita impressa
Musica di Francesco Bellomi (fisarmonica) e Massimo Rubolotta (live electronics).
Immagini di Patrizia Cerpelloni.
Questo libro evidenzia la centralità dei dispositivi nella nostra esperienza quotidiana, scegliendone alcuni di esemplari rispetto al poetico e alla salute. Essi si rivelano decisivi nella determinazione del soggetto che scrive e che vive, al punto da condizionarne la stessa possibilità di esistenza. Il poeta, infatti, si definisce attraverso lo stile, che altro non è che la messa in atto di specifici dispositivi retorici. Lo stesso vale per gli apparati che ci determinano in quanto esseri umani in grado di sopportare la precarietà del vivere: filosofie, processi biochimici, procedure sanitarie e scelte di campo definiscono il nostro modo di essere-nel-mondo, in un’età in cui del soggetto non è rimasto quasi nulla, giacché volontà e libertà si irregimentano secondo modelli di cui egli non dispone, ma che lo dispongono, anzi lo indispongono in un aperto già tutto mediato dal potere. Guglielmin prosegue la sua ricerca sulla finitudine, mettendo in scena un io plurale, contraddittorio eppure ostinatamente alla ricerca di un senso, ma tutto ancora da costruire e decostruire, dove gli opposti – autenticità / inautenticità, natura / cultura, elitario / popolare, interiore / esteriore – non sono che imprescindibili dispositivi del presente, spesso figli dell’alienazione.
Ossitocina
Credi che l’amore sia l’angelo che ti offre o rapisce Beatrice
che sia il meglio dello spirito umano, e invece, non è che l’unione
dell’ossitocina col feromone, una questione d’olfatto, l’inibizione
del demone limbico, prefrontale: l’amore, come il senno di Orlando,
sale, è un liquore sottile e molle che esala, una cura spray che si inala.
L’ossitocina, fra l’altro, induce il travaglio, mette l’utero in subbuglio.
La si inietta con una pompa d’infusione, graduando la pressione.
Prima però serve una prostaglandina dentro la vagina, il misopròstolo
per esempio, e un catetere: si prepara la pista d’atterraggio all’apostolo
che plana senza ippogrifo. Così l’amore è tutto terrestre, pedestre.
Serotonina
Dici: sto bene, le cose mi vanno bene, non ho bisogno di niente,
sono in pace con me stesso. Credi che dipenda da come sei,
da come sono le cose, dal modo in cui tu e le cose state insieme.
Se sei felice invece, per dirla senza antifona, è grazie al triptòfano,
una linfa benedetta da cui sboccia un alcaloide detto del buongiorno.
Il paradiso è un’isola di cioccolato senza rischi iperglicemici
e Dio è femmina, col suo nome tonico, da bambina: Serotonina.
Le due poesie sono uscite ne “Le voci della luna”, n. 81, ottobre 2021.