Nel rovescio del trittico
Contrariamente a quanto il titolo induca a pensare, nomi cose città di Irene Sabetta, non dispiega solo i temi familiari, naturali e urbani, indicati dalle tre sezioni dell’opera, ma ne rovescia le superfici, ne capovolge le prospettive.
Quasi un trittico che, come le antiche decorazioni d’altare ad ante richiudibili, ci mostra sul lato visibile situazioni e pensieri manifesti e sul lato interno, nascosto, un sentire più in ombra: “Nel prato di maggio / ho trovato nascosto / un fiore sotterraneo”. Di fronte i nomi delle figure familiari o amate, le cose, le città. Sul retro l’orfanità, l’invisibilità, l’erranza.
In tutte le sezioni a permearne i versi sono le zone d’ombra, segrete l’invisibilità che quindi vi risuona, la difficoltà di farne parola, così che “Come un usignolo, / voli di notte e non canti”. E, insieme, l’erranza che spinge oltre l’apparenza, il nomadismo che intride i testi e la distanza che chiede cammini di incontro.
E la poesia? Mostra anch’essa il suo lato nascosto, indica Irene Sabetta: “Incontriamoci / nell’ottava stanza di una poesia / dove il silenzio non è mai troppo / e l’alfabeto non basta”. A custodire tacitamente, nel rovescio del suo trittico, un nuovo alfabeto, una voce che ancora possa cantare.
Da: cose
Light in May
Nel prato di maggio
ho trovato nascosto
un fiore sotterraneo.
Nella cripta luminosa
la luce proietta da oriente
l’immagine di un dio
che viene.
Nel libro aperto dei muri affrescati
angeli tristi
sospendono il giudizio
e ripudiano il volo.
Con le ali abbassate
il dono delle stelle nere
è nelle loro mani.
Vivremo sempre
o non vivremo affatto.
Eppure a luci spente
è facile e sensato
scorgere nella cripta un chiarore
d’arte o di fuoco
che emana dal muro
e ci accompagna allo scoperto.
Usignolo
La forma del mondo
non ti precede
e neanche ti accoglie
con collane di fiori
ai piedi della scaletta.
E tu non precedi la forma.
Nessun architetto ha firmato il progetto.
Nel gelo dell’inverno
il chiarore del pensiero
risplende sulle montagne
e annichilisce ciò che non si adatta.
Mortali i sensi e gli uccelli.
La forma baratta il metodo con la complicità.
E tu non essendo complice ti disfi di metodo e forma.
Come un usignolo,
voli di notte e non canti.
Da: città
Rio bound
Obliterami
con la tua potenza.
Dimentichiamo il mondo
e ricostruiamo la parola,
tra gli alberi tropicali
e le piume dei pappagalli
impazziti di gioia.
L’anima violenta
scalpita in quiescenza
sulla montagna
e vibra di musica.
La senti solo da lontano.
Acqua azzurra e acqua nera
nelle insenature minime.
Corpo inerte della cultura
smembrato e adagiato
sulle spiagge
nei rituali
dell’estate eterna.
Non c’è luce più vera
di quella che non vuoi vedere
né città più concreta
nelle vie di fuga.
Siamo gente nomade
in una galassia di periferia
e negli angoli soltanto abbiamo dimora.
Irene Sabetta vive ad Alatri dove insegna inglese al liceo e coordina, da oltre venti anni, un laboratorio teatrale per gli studenti con il regista Marco Angelilli. Ha pubblicato, con FrancoAngeli, un saggio per il volume La mediazione scolastica. Scrive poesie e molte di esse sono presenti in antologie curate da vari editori come Perrone, Aletti, Poetikanten, Il Foglio Clandestino, Pagine, Bertoni. Nel 2015, si è classificata prima al concorso Augusto Tacca e, nel 2017, è stata finalista al Festival della Lentezza con un racconto breve e al premio letterario Don Luigi Di Liegro. La casa editrice LietoColle ha scelto alcune sue poesie per l’Antologia iPoet 2018 e per l’ Agenda poetica Il segreto delle fragole. Recentemente ha pubblicato una plaquette dal titolo Inconcludendo con l’editore Escamontage e ha ricevuto una menzione di merito al premio Lorenzo Montano. Suoi testi sparsi si trovano sulla rete (Poetarum Silva, Patrialetteratura, Neobar, Gateway to the fourth dimension, I poeti del parco).
Collabora con il sito Atlante delle residenze creative di Tiziana Colusso e un suo articolo è incluso nel volume Residenze e Resistenze creative, Luoghi Interiori ed.