Con una scrittura densa e avvolgente – per concretezza visiva e sonora – l’autrice ci presenta un libro dove la parola è sganciata da ogni senso di realtà ordinaria e referenziale, per creare essa stessa il vero reale: quello di una poesia che ha, nel suo proprio e unico dire, la composizione di un mondo. Dunque non un’ispirazione a sé predestinata, ma “un movimento sotterraneo” in cui anche il vuoto che comincia a prendere mente e a farsi pensiero. E’ suono interiore che si rende visibile per farsi scavo verso il paradosso di un silenzio che parla sospendendo il senso. Perché la poesia è parola sempre nuova, che, da un passato sconosciuto, si riaccende oltre il significato, alla ricerca del senso che non trova. E’ così, come scrive l’autrice, che l’implosione di poeticità diventa un sentire necessario, che espone il poeta come “illusione ottica e sonora/.../ senza solco peso dimora”, lasciando spazio all’unico vero “io”: l’io poetico. Quello che solo è capace, non tanto di estrarre le parole che non sappiamo, ma anche di mantenerle sconosciute, perché possano, nel loro cammino nascosto, uscire improvvise in un’inedita visione: quella che ci fa veramente sentire che “di fantasmagoria si può vivere”.
Dalla sezione sfarfalii – armati – sottoluce
Claustrofonia
il muro tace, non risponde più
si lascia guardare angolandosi
in riproduzioni lessicali nei passi
o sfarfallii – armati – sottoluce
ogni tanto un urto di temperatura
differente, a porte chiuse] tolte le dita
da maniglie ingoiate a sorsi uscite laterali
agglomerate al bolo circolante, contropelle
la risalita dei ricordi sfida il cemento
dell’anima in guardiola, divelta e sugosa,
chiaroscuro del Merisi
stretto chicco d’uva fragola come fosse un uragano
moltiplicato a schizzi su pareti in guanti bianchi
divaricate a terra ora
“...tu aprimi al tuo fiato singultato, viola di Tchaikovsky
Dalla sezione giunchiglie trapassate
Ricreazione
Evito parole così a me uguali da risultarmi ovvia
non cercherò la trama – quella sottile – mai
scomparsa attesa di dire le cose
fatalità scorrevoli come gabbie aguzze
un pennino spuntato che non sa più curvare
la chiamavano Boccadirosa invece
un baco piovuto dall’alto sgranato sul filo
l’impronta sul colletto mille zampe conficcate
nei pensieri dalla bocca aperta io stormisco
di gelso nella luce verde con le foglie
Dalla sezione nonnulla da tenere
*
a volte penso a quelle scale compassate e smunte
ala passamano steso sopra una brughiera in ferro
spazzata da riccioli gaglioffi come un vento
*
mendico di me le pause tra i pensieri fatti a imbuto
sulla pioggia dei nonnulla da tenere per domani
domai saprò vederli sentirli nominarsi
e si sapranno dire, in questo inesauribile fragore.
Doris Emilia Bragagnini è nata in provincia di Udine dove tuttora risiede. Suoi testi sono presenti in alcuni periodici online e cartacei tra cui Carte nel Vento a cura di Ranieri Teti, EspressoSud a cura di Augusto Benemeglio, Noidonne a cura di Fausta Genziana, in varie antologie (tra cui Il Giardino dei Poeti ed. Historica e Fragmenta premio Ulteriora Mirari ed. Smasher), in blog e siti letterari come Neobar e Il Giardino Dei Poeti (collabora in entrambi come redattrice), Carte Sensibili, Via Delle Belle Donne, La Poesia e lo Spirito, La Dimora del Tempo Sospeso, Poetarum Silva, WSF, Linea Carsica.
Ha partecipato ai poemetti collettivi La Versione di Giuseppe. Poeti per don Tonino Bello e Un sandalo per Rut (ed. Accademia di Terra d’Otranto, Neobar 2011). Il suo libro d’esordio è OLTREVERSO il latte sulla porta (ed. Zona 2012).