Il canto che intona Lia Rossi ha la melodia irrequieta delle cose liberate dall’ombra. Richiama antiche voci, intese come forze primordiali e come ambiti di uno spazio terrestre che riunisce l’alto e il basso, il cielo e la terra.
Lia Rossi chiede alla poesia cose che solo dalla poesia è dato di sapere. Perché solo la poesia sa in quale rapporto l’essere umano si pone verso il principio e verso la fine.
L’autrice traccia una partizione netta, precisa tra la scrittura essoterica (che immaginiamo a tutti destinata) e la scrittura esoterica (rivolta solo a chi è disposto a prepararvisi adeguatamene). Per raggiungere queste due modalità di espressione e per darne conto sulla pagina, Lia Rossi evidenzia in ognuno degli otto tempi una cesura, uno spazio bianco, verticale; forse una forma di silenzio che in sé trattiene l’urlo arcaico.
Il suo regno è un regno di parole che abbraccia le profondità dei mondi abissali, dei culti misterici di stirpi ormai estinte. È un altrove che impone una domanda di verità e di senso.
Avviene qui qualcosa di molto simile a quello di cui ci parla il rapporto amoroso, rapporto che impone agli innamorati di mettersi in gioco attraverso una terza figura che è l’amore: l’amore come sogno, come impossibile fusione.
In "Principio di rivoluzione" sono da Lia Rossi raccolti i frammenti di un insistente tumulto, di un costante discettare; tanto da indurci a fare i conti con le mille schegge dell’interminabile dilaniarsi di un’anima così vasta da assomigliare all’infinito.
I
La leggenda del patto di fame
del pane della brocca del tetto della casa
danno chiaroveggenza le catene
impetuosa eloquenza
verso il coronamento di emozioni
corso maestoso di rivolte
per l’essenza del pane
prima la sommossa
dai fabbricanti di carte da parati
e in fabbriche di salnitro
all’ombra di un mistero
avevano avuto origine i diritti feudali
II
Diritto esclusivo di caccia di pesca di colombaia
bannalità di mulino di frantoio di forno
la proprietà eminente dei terreni
sulle terre il diritto di giustizia
il diritto di suite sui servi
sui soggetti alla manomorta
al tramonto del secolo ai contadini
gravami regi gravami ecclesiastici
la decima sui quattro grani grossi
avena segale grano orzo
il diritto di seconda erba
di spigolatura di stoppia
III
Non v’è borgo o città immune
dal contagio dell’empietà eterna
e da ogni fatale ineguaglianza
la chimera di manifatture
di cotone nei castelli
compie in abito nero
con mantello di seta
e cravatta di batista
l’effetto sublime delle filosofie
la sovranità nazionale si stende
sugli assolutismi vigorosi
il sale del dovere e la saliera
IV
I ferrai forgiano picche i delitti
immaginari secolari l’eresia
la lesa maestà si aboliscono
non si congela il libero gioco
sul voto non prevedibile
della sospensione regia
la grande memoria della collera
divide il vecchio ordine
disordine nel canto dalle officine
sui cappelli rami di quercia
ha un solo cuore il ricordo
e una felicità
V
Ha gli orecchini di lancia lei
presa all’amo della fedeltà e della virtù
scivola la chioma sotto un panno
a tre colori le labbra dei punti rossi
di pittura la gonna ruota sulle gambe
madreperle illuminate evocate
adorate messe a fuoco
nei riflessi di gocce di blu
il desiderio di guardare riscrive l’illusione
le convinzioni e le fonti di luce
sguardi fulminati seguaci si muovono
amanti dei diritti e delle libertà
VI
“Non sono un leone alato che dorme
i simboli nel momento d’oro crollano
le figure non incatenate si rifanno
branco di gazzelle in corsa
nella grazia dell’idillio civile
una lettera un corpo
tra braccia conosciute
corrispondenza egregia
la memoria sventa il futuro
custodisce nel calare delle storie
dei fogli di mare salato nelle spire
delle conchiglie ritrovate”
VII
“Non voglio mai più negare il volto
il canto di gloria trovato nel sangue
nelle onde profonde nella cenere
nei bordi lampanti dei cuori nella legge
di linee lontane delle ali mai sorte
le viole vicine le lezioni delle acque e delle terre
attraversano piedi costati occhi
le parole su parole come rame infilato
cherubini verso la redenzione
della corte dei savi estraggono l’anima
a distinguere il bene dal male al principio
e alla fine nell’immagine dell’ordine perfetto”
VIII
“Hai le labbra chiare come arancia in spicchi
singolarmente vera intinta nell’argento e nel ferro
parliamo in gran segreto dell’amore più forte
sulla bocca di tutti ridiamo dei capelli fulvi
che sfiorano la schiena alzati come raggi
gli anelli fermi nella mano guerriera serpi di bronzo
non si sospende la pace con le bandiere
velluto rosso canone rilucente di bellezza
fanfara luce tenera demone confidente
speciale autoritratto liberamente di fuoco
anello eterno sfaccettato grande rubino la poesia
innamorata rivoluzione ti ho conquistata”
Lia Rossi, insegnante di lingue e letterature straniere, vive a Reggio Emilia. Ha partecipato a rassegne internazionali di poesia visiva e fonetica.
Le sue poesie sono state pubblicate su riviste letterarie, quali Tam Tam, Steve, Squero, O/E, e nell’Antologia Geiger. E’ coautrice dei cortometraggi sperimentali Una scena da rifare (1980) , E’ colpa di Sara(1983) e Au revoir le langage (2016)
Ha pubblicato Versare con garbo (Ed. Tracce, ), Mail-non mail (Ed.Zona, 2013), Verso il gabbiano (Ed.Tecnograf, 2014), La stanza nella stanza (Ed.Tecnograf, 2015) .
Libri d’artista :Gioconda, 2016, Terno dei castelli, 2016 (per i gioielli-spilla di Elisa Pellacani), L’idea del drago, 2017(stampato sui torchi a mano presso il lab.Manfredi con incisioni di Stefano Grasselli), Carta Luna, 2018 (stampato sui torchi a mano presso il lab.Manfredi con incisioni di Elisa Pellacani).
Le opere Mail-non mail, Verso il gabbiano, Stanza nella stanza sono state premiate nell’ambito del Premio Lorenzo Montano 2012 , 2013, 2014, indetto dalla Rivista di Ricerca Letteraria Anterem.