Tra l’immagine di pietra e lo sguardo della storia vi è una ferita aperta che l’essere umano desidera ricucire. La fenice è il simbolo che sembra richiudere la forbice tra esistenza e morte, quasi un filo che ricucia. Alle coppie oppositive, che mostrano l’abisso che le accomuna, appartengono sono anche Dio e il nulla, il foglio bianco e la scrittura, la mente e il corpo. La parola viene in soccorso, aiuta a credere alle visioni unificanti. Tra le pieghe del dire si trova la forma del mitico uccello, che si può intravedere tra “le ombre mute” e “le crepe del muro”. La figura emblematica, che racchiude in sé il sole che sorge e che tramonta, è, nella poesia di Rizza, associata alla stella Cassiopea, punita per la superbia con la quale ha considerato la sua bellezza. Tuttavia, la bellezza è mezzo. Questa volta è la notte e non il cielo diurno a delineare una scenografia gravida di silenzi primordiali, la quale ancora lascia da soli gli esseri umani sul percorso dove vanamente essi cercano di afferrare segni. Ma è proprio nel “perdersi” e nel “rincontrarsi”, la spinta alla rinascita o almeno la spinta a proseguire.
Costellazioni ferite
Immergersi di nuovo per cercare la bestia
lei ferma indifesa dorme, l'occhio è dolce
il suo respiro è il ritmo del tempo che vive
di quel ritrovarsi soli e insicuri sulla carta
tra l'antico sale e la sua immagine di pietra
nello sguardo la storia di una ferita aperta
si scrive Fenice notturna velata sull' acqua
vita di passioni e visioni di pesci volanti
di quell'odore denso, misto di nascita e morte
luci di corpi abbracciati che cercano il senso
di parole dai bordi umidi, liberate nell'aria
con ago e fili d’oro ricuci la ferita del cielo.
Nei loro occhi di ragazzi un deserto buio
nuove costellazioni mescolate alle vele
di quel vuoto che riflette i pensieri freddi
nel disperdersi sabbia, sulle parole ferme
tra il nuovo Dio e la loro prima ferita vera
venuta dal nulla, figlia della sospensione
luce tremolante di una lacrima trasparente,
Idra caduta nel silenzio di un punto bianco
osso lucido al sole: antica memoria di carne
in superficie la cerchi tra le pieghe del dire
immagini la forma del suo essere corpo
stendersi nel divenire, misura dell'abitare
la senti vicina dalla luce che precede ogni
nascita, senza conoscere le sembianze di chi
ormai trasformata, si cela tra le ombre mute
bestia ferma, sospesa tra le crepe del muro,
Lucertola dalla coda a metà, malata d'amore
attesa piegata dal sole che le muore dentro.
Tra i corpi di pietra si allunga Cassiopea
sofferta si nasconde la regina sfigurata
maschera di notte offesa che scivola via
la trama gravida di silenzi primordiali
apre le labbra di carta, lascia l'impronta
di un procedere nella carne viva del testo
striscia tra le statue amputate di memoria
in fondo l'urlo finale prima del giorno
profumo di bianco, colore di sole parole
la sua carne lacerata, dimòra e figura
di una sembianza che ti lascia di nuovo
disperso tra gli amanti del solo andare
procedere a tentoni, a cogliere i segni
di quel vivere a misura del suo passo,
Orione che si fa luce e rinascita rosa
rincorsa e presa sulle labbra, pronuncia
il nome di quel perdersi e incontrarsi
dove l'anima sente ancora il soffio vivo.
Massimo Rizza è nato a Sesto San Giovanni e vive a Segrate (Mi). E’ laureato in pedagogia e ha operato nel campo dell’istruzione in qualità di dirigente scolastico. E’ condirettore della rivista letteraria Il Segnale. Ha pubblicato la raccolta poetica Il veliero capovolto, Ed. Anterem (2016).
Nel 2017 ha vinto il Premio Letterario Interferenze, Bologna in lettere, per la sezione poesie inedite. Suoi testi narrativi sono pubblicati in antologie e on line sul sito della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. Testi di poesia, critica e saggistica sono apparsi su riviste letterarie italiane, tra le quali: “Anterem”, “Capoverso”, “Erba D'Arno”, “Il Segnale”,“ l’immaginazione”, “ Pagine”, “Scibbolet”,