Se la poesia è un dono che non desidera reciprocità, lo è ugualmente anche quando arriva al poeta dal poeta stesso, e si offre all’altro: non solo per dire la parola, ma a volte e ben più, per dare una parola che aderisca a sé, in quanto cosa significante e molteplice. Ed è proprio con questa consapevolezza che il poemetto di Morelli si avvia e fluisce aprendosi il varco necessario “dall’orlo di un limite”. La scrittura e la lingua, che sono il fare e l’essere della poesia, per l’autore sono indiscutibilmente sostanza per respirare: dunque per vivere. Allora la parola, sottratta alla sua superficiale funzione ordinaria, è una peregrinazione senza meta precisa, anche in una direzione attenta al perdersi. Ciò vuol dire, un’occasione per trovare senso e ritrovarsi ricreando il mondo. Il linguaggio, dentro la voce che dice vibrando in ogni sillaba, può anche scomparire dalla visuale, ma i versi lo recuperano tra pause e interstizi muti, punteggiando i suoni e i sensi. Lì dove il dentro e il fuori sono vocalità ed eco. Morelli è attento a concepire la poesia nel tempo e nello spazio, dove “la presenza di un altrove” si innesta all’origine di un apparire sempre iniziale, sempre in continua diffusione. Perchè nella voce poetica il conflitto fra dicibile e indicibile è il segno che fonda il disegno (anche impossibile) del senso. Anche dove l’annuncio è oscuro, precisa senza nessun timore, l’autore. In questi testi, dunque, la significazione oltrepassa il significato, perché forma, direzione e percezione del sentimento hanno come unica valenza un pulsare inarrestabile.
Dalla sezione “Lasciare traccia”
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Tu non sei qui con noi: allora
per chi, perché, da dove parli?
Dall’orlo di un limite,
- varco e precipizio –
da dove si vedono antiche latenze squarciarsi,
le inquietudini ritrarsi nell’ombra,
inaridirsi le domande
e disperdersi a spettri le misure,
relitti che si spengono su larghi abissi di futuro,
aspettando nel crepuscolo che scompare i giorni mancanti.
Dalla sezione “Un difficile partire”
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Giunti alfine al bilico,
nella sosta costretti soffocanti d’attesa,
accecati e senza più voce,
non riconosciamo i resti avulsi
della nostra muta
che la terra accoglie e trasformerà in enigma,
mentre ci realizziamo ostaggi
rapiti dai tirannici compagni di viaggio
che abbiamo creato e nutriti.
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Di questo trepidare
mentre ti senti andare
traccio ricordo,
del momento in cui s’estinguono le memorie
e non concepisci un avvenire.
Di questo difficile partire.
Romano Morelli è nato a Liegi, Belgio, il 13 giugno 1953.
Vive e lavora a Padova.
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