Con questo nuovo numero di "Carte nel vento" torniamo temporalmente all’edizione 2017 del Premio Lorenzo Montano, dando evidenza a opere che furono premiate con "Segnalazione".
Tutti gli autori presenti sono introdotti da alcuni poeti della redazione di "Anterem", che coincide con la giuria del Premio.
Il nostro incessante lavoro intorno alla poesia e alla prosa prosegue da molti anni ed è documentato nei precedenti numeri di questo periodico; viene svolto per tutte le sezioni in cui il "Montano" si articola ("Raccolta inedita", "Opera edita", "Una poesia inedita", "Una prosa inedita") e per tutte le opere segnalate e finaliste.
Siamo lieti di comunicare che il bando della 33^ edizione (2019) è disponibile scarica il bando.
In copertina: Nicoletta Bidoia, due Collage, serie ITAJ, 2013
Sorella poesia
E se la poesia fosse proprio la “parola deformata” che Emanuela Mariotto sussurra dolorosamente nella raccolta “Alzheimer”, in cui la drammatica vicenda familiare si fa dire di un altro senso?
Un dire che ustiona: “È caduta”, scrive l’autrice, “come goccia di fuoco / la tua prima parola deformata / scottandomi la gola”, nella vertigine di un dolore e di un abisso che solo la poesia può osare toccare, accarezzare.
Come nella poesia, il linguaggio, che la malattia deforma, proviene da un altro mondo: “Mi racconti qualcosa? / Qualcosa / prima dei racconti? / Una storia prima del mondo?” , sono i versi d’esordio della silloge, dedicata alla sorella che “mostra la strada”, spalancando, nel dramma personale, gli abissi di un dire primigenio e l’apertura a nuove possibilità di senso e di parola.
Ed è analoga, alla poesia e al morbo degenerativo, la lingua che interrompe la comunicazione ordinaria e la logica della ragione, come riferisce sommessamente l’autrice: “Scompigliato l’alfabeto del mondo / le lettere diventano nemiche / e parole inventate entrano in gioco”, così come la perdita di senso: “Mi faccio tua memoria / a te che vai in giardini di gesso / e sfili la collana del senso / perdendone le perle”.
Anzi è propriamente una parola “a rovescio” che, in entrambi i casi, capovolge i sensi, “Allora anch’o entro nel gioco / per un po’ credo al tuo mondo / lo capovolgo con te”, come ancora dichiara l’autrice, in cerca di una nuova lingua: “Marionette spezzate le parole / se ne vanno di scena / e un nuovo glossario va inventato / per rimetterle in piedi”.
Soprattutto è un dire che affronta l’oscuro, l’ignoto, l’enigma, come leggiamo, “Arranchi tra parole-mistero / sorteggi un tuo vocabolario”, e che appartiene propriamente all’altrove, “Con te reinvento la grammatica / apro corridoi di senso / voglio raggiungerti / nel tuo altrove”.
Mettendosi dalla parte della lingua smarrita, Emanuela Mariotto ci parla contemporaneamente della parola capovolta della sorella e della parola poetica, come fossero entrambe sorelle: una colpita dolorosamente dalla patologia, l’altra che ne accarezza il percorso e insieme trova, nell’affezione della mente, un rispecchiamento nitido, prezioso.
***
Mi racconti qualcosa?
Qualcosa
prima dei racconti?
Una storia
prima del mondo?
***
Mi faccio tua memoria
a te che vai in giardini di gesso
e sfili la collana del senso
perdendone le perle.
Quasi tua madre
ti offro le parole
ripetendo per te l’alba
e il tramonto
la clessidra del tempo
i mille nomi delle cose.
Mi chiedi chi sei
tremando te lo dico
io stessa mi perdo
nel tuo buio.
Emanuela Mariotto, laureata in Lettere moderne a Padova, vive a Milano. Qui ha seguito i corsi di scrittura creativa di Raffaele Crovi e di poesia di Antonio Porta. Sue poesie sono sono apparse su riviste e quotidiani, in libri e antologie; alcune nel sito della Libreria delle donne di Milano. Nel 1987 ha ricevuto il Premio della Biblioteca Civica di Paullo in occasione dell’8 marzo. Più volte segnalata e finalista al “Montano”.
Stefano Della Tommasina ha pubblicato la sua opera prima con Anterem. Global è il suo secondo libro, edito da Oèdipus nel 2017.
Questo lavoro si configura come un movimento verso l’ulteriorità. Un movimento che induce a sottrarci da qualcosa che sta in superficie per indagare l’interiorità.
Questo movimento manifesta due versanti del dire. Uno si prende cura della forma a tutti visibile delle cose; l’altro si rivolge all’informe proprio delle immagini illeggibili.
“Tra” questi due versanti, l’indecisione di Della Tommasina è evidente. La sua poesia interpella cose e persone che incontra, in modo da convocarle nello spazio delimitato della frase. In questa maniera la poesia crea avvicinamenti, incontri, contatti. È puntuale e vigile nell’affidarsi a quei segni che possono individuare ciò che le si presenta davanti.
La poesia va in cerca di un “tu” e il lavoro di Della Tommasina mostra i tratti di questa ricerca. Mette a nudo il passaggio in atto tra l’al di là e l’al di qua dell’occhio, interpretato come finestra e schermo rispetto al mondo.
Ogni poesia del libro mostra qualcuno che è partito o che è in procinto di partire; dice la mancanza, l’eccesso di sottrazione. Un lutto? No. Al contrario la celebrazione della diversità che è propria del fare poesia.
Nel Museo
La strada a mare è un nome e qualche numero
davanti: le case sono vuote o forse i gatti
dormono sul retro, ultima spiaggia. La sabbia
dentro la clessidra si rovescia: perde tempo.
E noi nel mezzo non sappiamo
se scavare buche, seppellire amori.
Ci osserveranno quei colori che dal cielo
scendono e trasformano le cose,
i resti di un tesoro antico:
a fianco, nel museo, saremo statue
senza braccia, gambe, tronco, busto, viso.
Stefano Della Tommasina si è laureato in lingue e letterature straniere nel 1986.
Maestro Nazionale FIT (Federazione Italiana Tennis).
Nel 2015 vince il Concorso Opera Prima, iniziativa promossa dal 2012 da Poesia2punto0 con la silloge intitolata Museo Bianco.
Sempre nel 2015 vince con "Global" il Lorenzo Montano per la poesia inedita.
Alcune sue poesie sono state pubblicate online su:
Critica Impura, La Presenza di Erato, Interno Poesia, Versante Ripido, Forma Vera, Limina Mundi. Words Social Forum.
Presente in alcune antologie edite da Lietocolle: Il Segreto delle Fragole, Verba Agrestia, L'Amore al tempo della Collera e i Poet, Lunario in versi, dodici poeti italiani, e nell'antologia Umana, troppo umana - Poesie per Marilyn Monroe edita da Nino Aragno Editore.
Tema centrale del testo di Mario Benedetto è la dimensione del tempo nella comunicazione umana, la sua valutazione culturale, la sua ottimizzazione.
Nella prima parte viene analizzato il trasferimento delle idee nel mondo della rete globale; il sistema di analisi è semplice: si parte citando dati quasi banali, ampiamente vulgati e si continua a scavare in questi, sino portarne alla luce gli esiti ultimi, le conseguenze meno evidenti e quelle più nascoste.
In questo modo Mario Benedetto giunge ad uno dei problemi fondamentali della comunicazione di questa era digitale, e cioè l’intrinseca pretesa di istantaneità che si traduce in una velocità nello scambio dei fatti e delle idee tale da far perdere agli stessi qualsiasi spessore e qualsiasi valore “umano”.
Tutto ciò viene contestato nella seconda parte, in cui alla superficialità di uno scambio spasmodico di immagini, parole e storie spesso prive di peso si contrappone il valore del tempo umano, giustamente dilatato, nella produzione dell’arte e degli oggetti culturali, nonché nella fruizione degli stessi.
Pure con una indiscutibile lucidità nell’analisi, arricchita di citazioni e dotti sottintesi, questa ultima parte si configura, quasi nei modi dei volantini politici d’altri tempi, come una vera e propria esortazione a tornare a ritmi più umani del dire.
L’ERA IN CUI VIVIAMO - Tra comunicazione tecnologica e comunicazione poetica
Viviamo nell’era della comunicazione ed è il primo comparto al mondo per investimenti, profitti e possibilità occupazionali, come recitano le tante scuole create ad hoc per gestire i nuovi scenari. Soltanto nel nostro paese ci sono più carte sim che esseri umani, i contratti telefonici mobili utilizzati sono 82,3 milioni, il 135% della popolazione residente, in dettaglio sette italiani su dieci hanno uno smartphone e le applicazioni più scaricate sono quelle che permettono di rimanere collegati al mondo. Oramai è molto difficile non restare impigliati nella “rete”. A questa particolare “visibilità” concessa dai social network alla massa di utenti, corrisponde un enorme accumulo di dati privati rivelati che ci rendono più vulnerabili. Si è diffusa come una febbre, da chiunque verificabile, e smania di dover raccontare, rendere pubblico, ogni aspetto privato come se fosse rivelatrice d’importanti significati e nulla più resta in ombra. Il non essere in rete equivale al non esistere proprio, è inconcepibile e insopportabile restare fuori dalla rappresentazione di questa realtà fatta di successioni di flash, frammenti superficiali che non permettono una visione complessiva delle cose che viviamo. Tutto dev’essere fast che è anche la caratteristica della nostra epoca. La velocità io la lascerei ad altro, per le relazioni umane e l’arte serve, soprattutto, un coinvolgimento fisico con la libera consapevolezza di tutti i sensi, un ritmo diverso e meno virtuale. L’arte e la poesia sono ben altro dalla necessaria e semplice comunicazione. Certo non si può negare, quanto le nuove tecnologie siano utili e quanto contribuiscano a stimolare e sensibilizzare la gente al mondo dell’arte, anche se nulla potrà mai sostituire la presenza fisica con la sua aura dell’opera d’arte, unica e irripetibile nel posto in cui si trova. Prima o poi si arriverà, anche in queste latitudini, al clicca e compra (click and buy), ma andiamoci piano, che necessità c’è di affrettarsi, precipitarsi a rotta di collo. Va bene stare al passo con i tempi, comunicare, pubblicizzare, promuovere, gestire, diffondere e valorizzare, ma non facciamo assurgere l’opera virtuale a paradigma arrogante di qualificazione estetica. Restiamo umani! Quando la realtà in uno dei suoi aspetti, un certo colore, una luce particolare, un viso, una figura, un colpo di vento, un profumo, colpisce l’attenzione umana, se essa è ancora sveglia, accade che le parole entrino in tensione e non sono più come prima, quando comunichiamo normalmente. “‘E il reale che tende a dirsi, attraverso l’emozione e le parole di qualcuno”. Tutto questo non può avvenire virtualmente. Bene inteso che nessuna preclusione a ricerca e sperimentazioni di nuovi moduli espressivi dev’essere fatta, l’innovazione va perseguita per evitare di restare fermi e “impantanati” nella tradizione. “Il compito dell’arte è quello di essere sempre diversa dal passato, di aggiornarsi. Esiste soltanto l’arte aggiornata” (da intervista a Gillo Dorfles su Panorama, ott. 2014). L’arte attinge la sua concretezza dalla vita in generale e dalla vita della cultura i cui contenuti confluiscono in essa, impregnati e fatti propri per diventare una nuova energia. L’arte non ha nulla a che fare con i tempi immediati della comunicazione, della condivisione e dell’essere in rete. Con tutto il rispetto alla genialità di Mozart e di altri grandi, la creazione artistica non è un gioco, un passatempo, non corre, al contrario ha bisogno di tempi lunghi, di riflessioni, di approfondimenti, di solitudine, di attesa e non deve essere di pochi, ma poter parlare a più persone possibili (il sistema dell’arte è un’altra storia). Creativo nell’arte è colui che rompe le regole estetiche precedentemente formulate. Soltanto utilizzando chiavi di lettura della realtà inedite ed anticipative, è possibile vedere al di là dei consueti modelli di percezione, partendo dalla curiosità e dall’intuizione e sviluppare idee nuove e invenzioni utili con un valore riconosciuto. Per tagliar corto, voglio citare questo intenso giudizio di Robert Hughes, scritto qualche anno prima della sua scomparsa nel 2012: “Ne abbiamo davvero avuto abbastanza di fast art, ora abbiamo bisogno di slow art. Abbiamo bisogno di un’arte che racchiuda in sé il tempo, così come fa un vaso con l’acqua. Un’arte che tragga origine dai modi di percezione e creazione, che con capacità e ostinazione faccia riflettere e tocchi gli animi. Un’arte che non sia sensazionale, che non lasci trapelare subito il suo messaggio, che non sia falsamente iconica, ma che penetri nel profondo delle nostre nature. In breve, un'arte che sia l’esatto opposto dei mass media”.
Mario Benedetto è nato a Scilla (RC), laureato al Politecnico di Milano e diplomato all’Accademia di Brera vive e lavora a Vernate (MI). Autore di numerosi articoli sulla storia e la critica d’arte, è stato docente di Discipline Pittoriche in alcuni licei artistici. Tra le numerose esposizioni personali si ricordano: 100 opere sulla civiltà contadina e marinara in Calabria, Zurigo, 1985, con tavola rotonda sullo stesso tema, che ha visto la partecipazione di numerose personalità della cultura; l’Antologica 1964 – 1994 al Castello Carlo V di Lecce, 1995, con 140 opere, di cui, alcune di grande formato. Da anni è attivo nel campo dell’arte sacra con la progettazione e realizzazione di vetrate, mosaici (Trinità ed Immacolata, Duomo di Scilla,1986) e opere scultoree per chiese (Timpano della Chiesa di San Rocco, Scilla, 2003).
Jacopo Ricciardi è poeta e narratore. Ha pubblicato diversi libri di poesia e due romanzi.
Sonetti reali, edito nel 2016 da Iride – marchio del gruppo Rubbettino –, dà corpo a una tensione verso un altrove irraggiungibile, verso una compiutezza che sembra non appartenere al nostro mondo.
L’incompiuto connota l’intera realtà. Tanto che, nel testimoniare questo limite, la poesia normalmente procede a salti e balzi digressivi; commenta tramite note a margine e postille l’esistenza, attratta com’è dall’indeterminato, dalla forma aperta.
Va in direzione contraria il lavoro di Ricciardi, impegnato com’è a dire questa frammentaria realtà puntando su di un’aura di completezza formale, sul finito, un’armonia che si rivela nell’articolarsi dei testi come la vera porta di accesso alla realtà.
La compiutezza dell’opera in Ricciardi evidenzia una totalità sempre mancata, mette in luce il carattere irregolare e frammentario del mondo. Si presenta come una specie di officina in cui viene forgiato un processo di scrittura che non si distingue per imitare la realtà (e dunque rispondere alla frammentazione con la frammentazione, all’oscurità con l’oscurità), ma piuttosto si configura come un’esperienza-limite della lingua: nella sua determinatezza (testimoniata dalla chirurgica precisione dei titoli delle singole poesie: velocità, dono, età, lite…).
Termine
Il giorno si converte nella notte.
Nelle epoche i giovani sempre uguali.
Amate i figli a cui date i natali.
Poi vecchi si guarda il fondo di grotte.
Il resto è sulla tavola periodica.
La luna sta lì per caso e non vive.
Le guerre hanno sempre ritmiche argive.
L’uomo distrugge l’uomo, è vita iconica.
Il vivo riluce non si sa dove.
Il caso illude e conduce alla morte.
Ora è l’epoca nuda senza corte.
Oggi la poesia è dura su Giove.
Ogni persona è un fragile frammento.
Il mondo è un otre ricolmo di vento.
Jacopo Ricciardi è nato nel 1976 a Roma, dove vive e lavora. Vincitore di diversi premi, ha pubblicato sette libri di poesie - Intermezzo IV (Campanotto, 1998), Ataraxia (Manni, 2000), Atòin (Campanotto, 2000), Scultura (con Teodosio Magnoni; Exit, 2002), Poesie della non morte (con Nicola Carrino; Scheiwiller, 2003), Colosseo (Anterem, 2004), Plastico (Il Melangolo, 2006), Scheggedellalba (con Pietro Cascella; Cento amici del libro, 2008) - nei quali il suo modo di procedere è “vasto quanto un luogo poiché lì è qui ma quando/ci si avvicina al luogo qui e lì già accade tra la/parola e l’universo che si toccano”. Ha ideato e curato dal 2001 al 2006, per Aeroporti di Roma, il progetto culturale “PlayOn” e ha diretto l’omonima collana presso Scheiwiller. Ha pubblicato due romanzi, Will (Campanotto, 1997) e Amsterdam (PlayOn, 2008). È presente nell’antologia “Nuovissima poesia italiana” (Mondadori, 2005) curata da Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi.
"La nostalgia ha un suo colore, un bisogno di visi, un asservirsi alle cose; perché ricordiamo facce e desideriamo assenze. Un’atmosfera furiosa, la nostalgia, dalla quale emergono uomini che avrebbero potuto, ma non hanno osato. Poi, dopo, molto dopo, tra gli effluvi del giorno, affiorano sogni possibili”.
Nel 2006 Alessandro Assiri pubblicò un volume di poesie in prosa, “Il giardino dei pensieri recisi”, da cui ho tratto la citazione. Questa riproposizione mi è sembrata una delle migliori vie per accompagnare il breve testo presentato quest’anno al “Montano”, in cui la nostalgia non è tanto il dolore di un ricordo quanto un pensiero dolente che dal presente arriva a qualcosa di là da venire, che sicuramente avverrà.
In questo rovesciamento l’esplorazione del sentire viene emancipata da Assiri con gli occhi del poeta e con la sensibilità di un uomo che osa e dipinge in astratto un pensiero senza tempo, dettato dai sogni possibili, orientandosi, come i marinai “a stelle fisse”.
Quale può essere il rovescio della nostalgia se non un sogno possibile, come quello di invecchiare accanto a una voce cara?
***
I dibattiti sui maestri non mi interessano, mi oriento a stelle fisse.
Vivere è un gesto intero dove si perde nella stessa lingua
dove si rimane sino al giorno giusto a invecchiare accanto alla tua voce
Alessandro Assiri, nato a Bologna nel 1962, da molti anni risiede in Trentino. Presente in diverse antologie poetiche, ha pubblicato per Aletti Editore "Morgana e le nuvole" e "Il giardino dei pensieri recisi", con la prefazione di Paolo Ruffilli. Per Lieto Colle "Modulazione dell'empietà", con prefazione di Aberto Mori, "Quaderni dell'impostura" con la prefazione di Chiara de Luca, “Appunti di un falegname senza amici”, “Lettere a D.”, “Ontologia della Maddalena” con Augusto Pivanti. Con Manni Editore, “La stanza delle poche righe”. Con le Edizioni CFR “In tempi ormai vicini”. A quattro mani con Chiara De Luca “Sui passi per non rimanere”, Fara Editore. L’ultimo lavoro, “L’anno in cui finì Carosello”, vincitore del Premio Giorgi, è stato pubblicato da Le Voci della Luna.
Anna Maria Giancarli è nata a Roma e vive a L’Aquila. Dopo un’intensa attività politica, si è dedicata completamente alla poesia.
Ha pubblicato oltre 10 raccolte di poesie.
Due dati autobiografici confluiscono in E cambia passo il tempo (Robin Edizioni, 2014): l’impegno politico e la residenza a L’Aquila. Sono due dati che s’intrecciano e si saldano alla luce del devastante terremoto del 2009, allorquando il tempo ha cambiato passo e ha rivelato la nostra fragilità sia di fronte alla potenza della natura, sia al cospetto del degrado culturale, civile e umano del nostro Paese, incapace di far fronte a questa terribile emergenza.
Le parole che Anna Maria Giancarli pronuncia vogliono essere, come lei stessa si propone, un vero e proprio materiale “ricostruttivo”. Intendono legarsi a quelle di coloro che – come noi – ritengono insopportabile assistere al cinismo dei profitti, alle mani rapinose dei potenti di turno sulla città.
Ma “ancora si scrive e si vive” dopo la crudeltà della natura e la malvagità degli uomini. Davanti a tanto orrore è necessaria la figura del dissidente, ossia del ribelle del pensiero nell’odierno tempo della miseria, un tempo in cui a eclissarsi è la stessa capacità di dire-di-no. Hegel definisce queste figure come “eroi della ragione”.
Giancarli ci impone di riflettere sulla dissidenza. Farlo significa confrontarsi con una pratica che si è eclissata cedendo il passo all’ebete adattamento, tipico di chi accetta l’apatia del pensiero che opera sulle coscienze per poi impadronirsi finanche dei corpi.
Dopo
ancora si scrive e si vive
una vita così
ripensando tutto finendo mai
di pensare e rimare e prosare
ideando finali ad effetto
nell’impazzita periferia
ché la città è un non-luogo
che strappa stelle e
ricordi brucianti
alle tre e trentadue della vita
di tutte le notti
di tutti i giorni d’attesa
diciamo pensieri sparlanti
ma qui si resta
col pianto di ieri si tace
si urla si sussurra
si muore una vita così
si vive una morte
Anna Maria Giancarli è nata a Roma e vive all‟Aquila. Laureata in Filosofia e Pedagogia, ha insegnato nelle Scuole Medie ed ha svolto una intensa attività politico-culturale, ricoprendo numerose cariche istituzionali.
È presidente dell‟Associazione culturale “Itinerari Armonici”, con la quale realizza iniziative multimediali, quali Poetronics (Poesia elettronica, alla sua XVII edizione), lapoesiamanifesta! (Giornata mondiale della poesia, 21 marzo – alla sua II edizione) ed il Festival internazionale di poesia Nuove Dimensioni, con la presenza dei più prestigiosi poeti e musicisti. Nell‟agosto 2016 ha realizzato a L‟Aquila – in collaborazione con la Società dei Concerti “B. Barattelli” e all‟interno della manifestazione annuale “I Cantieri dell‟Immaginario” - Di-versi incontri, serata di poesia multimediale.
Ha collaborato come critico letterario con la casa editrice Tracce di Pescara, curando anche la collana “Segni del suono”, e con il Centro Documentazione Artepoesia Angelus Novus dell‟Aquila. È stata membro dell‟AS.P.A. (Associazione Poeti Abruzzesi) ed ha fatto parte del comitato di redazione della rivista «Finisterre».
Fondatrice e membro della giuria del Premio Letterario Internazionale di poesia “Città dell‟Aquila” (intitolato a Laudomia Bonanni); organizza ed è membro della giuria del Premio Letterario Nazionale “Scriveredonna” (XXII edizione); è membro della giuria del Premio Penne.
È stata membro dei C.d.A. della Società dei Concerti “B. Barattelli”, della Compagnia Teatrale “L‟Uovo” e del Consorzio dei Beni Culturali della Provincia dell‟Aquila.
Ha pubblicato: Frammenti da una rivolta, Laboratorio delle Arti, Milano 1983 (con prefazione di Domenico Cara); Punto di caduta, Laboratorio delle Arti, Milano 1992 (con prefazione di Mario Lunetta e postfazione di Maria Luisa Spaziani); Stato di emergenza, Edizioni Tracce, Pescara 1997 (con prefazione di Biancamaria Frabotta); Realtà fuori misura, Edizioni Portofranco, Taranto 1998; I trucchi del reale, Piero Manni editore, Lecce 1999 (con prefazione di Marcello Carlino); Confini diversi, Fermenti editore, Roma 2002 (con prefazione di Nanni Balestrini); Sconfina/menti (raccolta antologica dal 1997 al 2005, con inediti; prefazione di Mario Lunetta), edizioni Campanotto, Udine 2006; In/canto per Eloisa, edizioni Tracce, Pescara 2008 (prefazione di Maria Luisa Spaziani); la parola indocile, edizioni Le impronte degli uccelli, Roma 2011 (prefazione di Francesco Muzzioli); E cambia passo il tempo – poesie su L’Aquila, Robin edizioni, Roma 2014.
Suoi testi sono stati tradotti nelle lingue Serba e Inglese.
Sono state pubblicate due antologie di suoi testi: Trucurile realului, antologia bilingue romeno– italiano, edizioni Autograf, Craiova 2004 (con traduzione e prefazione di George Popescu) e Arqueología del presente (Antologia poética 1997-2008) antologia bilingue spagnolo-italiano, Ediciones Amargord, Madrid 2013.
Nel 2007 ha curato le pubblicazioni del volume Elzeviri di Laudomia Bonanni, dell‟antologia La poesia femminile in Italia e, nel 2013, del volume Ballate di Edoardo Sanguineti, tutti per le edizioni Tracce di Pescara. Nel 2010 ha curato la pubblicazione dell‟antologia La parola che ricostruisce – poeti italiani per L’Aquila, sempre per le edizioni Tracce di Pescara. Nel 2012 dell‟antologia La poesia luogo delle differenze per le edizioni Marcus di Napoli.
Presente in numerosissime antologie; tra cui: Storia della letteratura italiana (Guido Miano Editore, Milano 1998); Botto 3000, antologia elettronica sul nuovo millennio (sito internet: www.arstv.com/botto3000), a cura di Romapoesia ed Editrice Zona, Dicembre 1999; antologia di Haiku Frecce e stelle (edizioni “Le impronte degli uccelli”, Roma 2000); antologia La ricerca poetica attuale, edita su CD-rom e sito web (www.cirps.it) dall‟Università degli Studi “La Sapienza” di Roma (Maggio 2001); antologia No alla guerra sempre e comunque («Bollettario», Ottobre 2001); antologia Pace e libertà (edizioni “La comune” - in collaborazione con l‟Associazione Internazionale di Amicizia e Solidarietà con i Popoli, Genova Dicembre 2004); Almanacco di scritture antagoniste (edizioni Odradek, Roma 2003 – Roma 2005); Antologia della poesia erotica contemporanea, ATì editore, Milano 2006; La montagna (Ferrari editore, Cosenza 2007); Poesia a comizio, Empiria editore, Roma 2007; LUCI da IL FOSSO – ventiquattro segni terrestri per Laudomia Bonanni (edizioni La Vita Felice, Milano 2008); Poesia senza kuore (a cura di Mario Lunetta, Robin edizioni, Roma ottobre 2008); Haiku Lei (edizioni Le impronte degli uccelli, Roma 2010); Donnine biciclette scarpe stringhe (edizioni Le impronte degli uccelli, Roma 2012); Anatomia del sentimento (edizioni I quaderni del lavatoio, Roma 2012); Europa e cultura (Aracne editrice, Roma 2014); Guarda che luna (Mincione edizioni, Roma 2015); Poeti e poesia (rivista internazionale diretta da Elio Pecora, Roma aprile 2015, n. 34); Nutrimenti (antologia di poeti italiani per l‟EXPO 2015, edizioni Tracce, Pescara 2015); Arobaleno liquido della creatività (venticinque libri d‟artista, realizzati da cinque poete e cinque artiste, L‟Aquila 2016).
Presente nel DVD Dialoghi con i poeti Sanguineti, Muzzioli e Perilli (2004).
Presente ancora con recensioni in numerose riviste (tra le altre, «Quasar», «Fermenti», «Avanguardia», «Poesia», «L‟immaginazione», «La Nuova Rinascita», «Vario») ed in quotidiani e trasmissioni radiofoniche nazionali (tra cui “Zapping”, Radiouno e “Rai 3 Suite”, RadioTre).
Della sua produzione poetica hanno scritto i maggiori critici e scrittori contemporanei (Domenico Cara, Mario Lunetta, Maria Luisa Spaziani, Biancamaria Frabotta, Plinio Perilli, Mariella Bettarini, Marcello Carlino, Francesco Muzzioli, Nanni Balestrini, Rosaria Lo Russo, Giovanni Fontana, Marco Palladini, Michele Fianco).
Come autrice ha partecipato a numerosi readings, letture pubbliche ed importanti manifestazioni nazionali, tra cui: “Europa Festival” di Ferentino (Luglio 2000); “Fiera del libro di Torino” (Maggio 2001); Festival dei popoli mediterranei (Bisceglie, Agosto 2003); Carovana della poesia sotto il patrocinio dell‟UNESCO (Marzo 2003); XXXX Meeting dell‟Associazione scrittori serbi (Belgrado, Settembre 2003); Festival internazionale “Romapoesia” (Roma, Ottobre 2003 - Ottobre 2004 - Ottobre 2010); letture varie al Lavatoio Contumaciale (Roma); letture al Festival nazionale di Liberazione (Roma, Settembre 2004 – Roma, Settembre 2005); lettura nella manifestazione “Poesia in Via Giulia” - Libreria Einaudi (Roma, Maggio 2005); Boomerang, incontri di poesia e arti visive (Roma 2008); letture all‟Università di Treviso (8 Marzo 2009); letture al Salone del libro di Torino (Torino, Maggio 2010 - Maggio 2011 - Maggio 2012 - Maggio 2013); reading Poeticazione (presso CaseMatte, L‟Aquila 2011); reading La città delle donne (Montesilvano, PE 2011); lettura all‟Isola Tiberina (Roma Giugno 2012); reading Versisuoni per L’Aquila (Monte San Giovanni Campano, FR 2014); reading L’altra poesia (“Roma Vintage”, Roma 2014); lettura alla Saletta della Regina (Montecitorio, Roma 2015).
Suoi testi poetici sono stati utilizzati per composizioni musicali da: Giorgio Sollazzi (Sintetica, Pescara 1995); Caterina Imbrogno (Liriche cromate, L‟Aquila 1997); Roberta Vacca (Grido concentrico, Palazzo delle Esposizioni, Roma 1997); Fausto Razzi (Insogno, Sermoneta 1998); Fausto Razzi, (Emergenze, “Teatro di documenti” Roma Ottobre-Dicembre 2000; Sala Chierici del Forte Spagnolo, L‟Aquila Aprile 2001; Auditorium Diocleziano, Lanciano Ottobre 2001); Maria Cristina De Amicis (Significato e senso, L‟Aquila 2005 – Università di Tor Vergata, Roma 2013); Elisabetta Capurso (Alfa ... senza origine, L‟Aquila 2008 - Festival “Nuova Consonanza”, Roma 2008 – Teatro Cassia, Roma 2009); Domenico De Simone (Talking k [NOT]s – I Quipus della memoria, Teatro Cassia, Roma 2009 – Casa Onna, L‟Aquila 2011 – festival elettroacustico Re-volt, Forte Fanfulla, Roma 2011 - Università di Tor Vergata, Roma 2012 - Palazzetto dei Nobili, L‟Aquila 2013 – “Emufest”, Roma 2013); Sabatino Servilio (A lezione di sogni, L‟Aquila 2010); Roberta Vacca (Nuvolabirinto A/Z); Francesco Marchionna (La voce oscura, 2016).
Ha ottenuto una “Menzione speciale” al Premio Feronia (Fiano Romano 2005); è risultata finalista al Premio Montano (Verona 2005) ed al Premio Tassoni (Modena 2006, Modena 2009); ha vinto il Premio Penne 2006; riconoscimento speciale, XXIV Premio “Estonium” (Vasto 2009); secondo premio al “Premio Internazionale di Poesia „dal Tirreno allo Jonio‟ (2017).
Un testo, sin dal titolo, peripatetico. Allo stesso tempo dichiaratamente ontologico.
Mentre si passeggia, distratti e attenti, senza fretta, è possibile soffermarsi non solo nel veduto o nel linguaggio che ci accompagna, non solo nel pensiero, ma anche negli accadimenti di un intorno mobile che vanno astraendosi per diventare, tutti insieme, fondamenti.
Come ci ricorda Remo Bodei, “la via del concreto transita per l’astratto”.
Gabriele Pepe ci conduce quasi per mano lungo questa strada “tra luce ed eclissi”, a partire dal “mito del concreto” che tramuta poeticamente in astratto. Le cose raccontate sono insieme leggere e dense, spaziano nello scibile, nel celeste, collassano ma si irradiano, “tra il battere delle ciglia e l’eco delle palpebre”, innestano il poetico nel pensiero e viceversa. Una lunga passeggiata diventa il testo di una lunga ballata, in tre tempi, senza mai perdere potenza espressiva, senza mai perdere ritmo.
Gli avvenimenti intorno sono molteplici, tradotti in senso si accavallano, creando inusuali digressioni.
Ogni frammento colto dall’occhio, ogni bagliore anche inconsapevolmente intravisto può tramutarsi nella parola acuta del poeta, così come al contrario da ogni pensiero possono scaturire immagini mentali: “un bagliore di nervi”, “il duplice affabulare” della retina che “il mondo capovolge spacciandolo per vero”, “il calco che affondiamo”, “il sapore delle nuvole”, “le cause del partire”.
Camminando in questi versi di Pepe, dove ogni dettaglio visto diventa pensato e dove ogni pensiero diventa visivo, dove convivono esteriorità e interiorità simultaneamente, siamo alla fine arrivati, senza accorgerci del tempo trascorso, all’imbrunire “tra le pieghe della sera”.
1.
Necessario, a volte, immergersi in un intimo spiraglio:
farsi frammento clandestino d'un calendario umano
il rintocco residuo di un tempo mai cronometrato
e immaginare meridiani e paralleli inquieti
fino all'estremo di un orizzonte obliquo
appeso all'attimo incoerente quando lo spazio
distorce la matrice e precipitano visioni
presagi archetipali di solstizi ed equinozi
ben oltre la dottrina dei nostri sguardi indagatori
che, come steli di pupilla, oscillano tra luce ed eclissi
Nel mito del concreto, frequenza e costanza d'onda,
di vita in vita, la vita, vivendo, s'infiamma.
Fragile e densa carne di stella
nel fulcro dei sensi collassa e s'irradia
raggio per raggio, pigreco miraggio,
giostra e giostraio del palio mentale.
Il vento indifferente agita ancora
le dotte affermazioni di filosofi e scienziati
gli ultramondi sensibili di santi e sciamani.
Scende insolente la pioggia. Senza contegno liquida:
memorabili tesi, argute teorie, incrollabili certezze
nel luccichio sapiente d'acque dolci e salmastre.
Brucia assoluto nei campi del vuoto
il fiore quantico dell'infinito mutare:
da fiamme a fibre, bagliore di nervi
siamo un dardo cosciente di luce che genera forme
e polvere alla polvere, cenere alla cenere
ogni scintilla torna al fuoco originale
Ma conquistare l'ignoto alquanto ci costa:
un patrimonio faticosamente accumulato di gesti
fin troppo dissoluti, ineffabili crudezze, nodali
esperienze sperperate a braccia conserte e passi felpati
Forse se avessimo tentato un'altra insurrezione
una rivolta nuova senza mai sfiorare il grilletto
inesorabile delle parole dolorose;
se avessimo parlato una lingua accorta
senza mai vendicare quel barlume a volte
incandescente a volte rassegnato che ci precede
tra il battere di ciglia e l'eco delle palpebre
forse staremmo tutti bene e ancora del tutto vivi
2.
Tra basso cielo e vasta terra concedersi una tregua:
una promessa di purezza totalmente disarmata
il nostro armamentario inferno deposto per la resa
e aprirsi al perdonare come sempre fa la retina
ogni qualvolta che, nel suo duplice affabulare,
il mondo capovolge spacciandolo per vero.
Simulacro intellegibile tutto mirato a lucido
sottoposto a ragionevole interpretazione
ben oltre i sacri canoni del giorno e della notte
le ambigue volontà del sonno e della veglia
Perché materia ardente materia oscura,
progetto sintomatico dell'endoverso,
qualunque fosse all'origine la causa del dividere
l'oggetto del comprendere, in conclusione
ignari come fragili conchiglie gettati a capofitto
tra le scabrosità dell'ego, guerreggiando, stiamo.
Sperduti a dismisura in ogni pianto nascituro,
e luogo alieno a qualunque verità di fuga
senza requie: respiro per singolo respiro.
Un velo esteso dentro e fuori e tutt'intorno
come se al mondo fosse un altro del tutto estraneo
al ciclo circadiano a sognare l'umanità che erige
il sogno quotidiano dei fatti e dei misfatti.
Per tutto il resto di certo non bastano le forze
che appena avanzano a porgersi domande
che ansiose tremano e volteggiano nell'aria
in trepidante attesa che oracolo risponda,
sperando, invano, che orecchio le raccolga
Istante per istante, sorge e risorge il moto
dei pianeti: e nel punto preciso, incrocio di creato
e ricreato, si compie l'ennesima illusione: il trucco
del coniglio che spunta dal cilindro del mago universale..
Forse se avessimo guardato da un altro punto d'osservazione,
diretto, con mirabile saggenza, l'intero caleidoscopio
su cieli assenti e galassie tra gli specchi
senza mai contestare il prodotto eterno lordo
del buio e della luce;se avessimo solo goduto
il senso univoco dei fiori e dei colori,
senza mai offuscare il lume dell'artista
forse staremmo tutti in pace, finalmente liberi
3.
Concedersi di tanto in tanto il dolce lusso
il sano dubbio : è meglio stare oppure andare?
Ma nulla a questo mondo è davvero bifocale
Se un passo segue l'altro, una è l'orma che lasciamo.
Che sia traccia indelebile impressa quasi in vuoto,
grande balzo del genio umano a spasso sulla luna,
che sia l'impronta fossile del pensiero vestigiale,
uno e soltanto uno è il calco che affondiamo
ben oltre le frenetiche scalate, le atroci scorribande,
le nevi, il fango, l'erba cruda, e il buio da squarciare.
Perché, a memoria d'uomo, le cause del partire
le contrastanti e solitarie ragioni del restare
di pari passo vanno lungo le anguste vie
che corrono e attraversano ogni dannata storia:
siamo le piste insanguinate dell'ultimo bisonte,
le irriducibili barricate prima dell'orrido sentiero
E dunque rinnegarsi a decifrare eventi:
soggetto oggetto; causa effetto; esterno interno.
Quel complesso intento, quel rito tutto biologico
che ad ogni costo vuole sempre travasare senso
in un compendio logico a misura di cervello
come se lingua e segni del cammino ci appartenessero
incisi a fuoco tra le rughe della fronte, le valvole
del cuore, il vorticoso eccedere di formule e preghiere.
Le presunzioni, dicono, rendono l'uomo scaltro
perfettamente in grado di comprendere
con le dovute cautele il sonno delle rocce,
l'onore delle querce, il sapore delle nuvole
Ma infine scienza o metascienza quel che forse
a malapena emerge dall'utero del mondo
è un'esigenza chimica che aspira al cielo
una ghirlanda accesa tra le pieghe della sera
Gabriele Pepe, finalista, segnalato e vincitore in diversi tra i maggiori concorsi di poesia, ha pubblicato: “Parking luna” edizioni Arpanet, Milano 2002; “Di corpi franti e scampoli d’amore” e “L’ordine bisbetico del caos” con le Edizioni Lietocolle libri, Faloppio (Como) 2007. Figura nelle antologie: “Ogni parola ha un suono che inventa mondi”, edizioni Arpanet, Milano 2002;
“Fotoscritture”, edizioni Lietocolle libri Faloppio (Como) 2005; “Poesia del dissenso II”, a cura di Erminia Passannanti – Edizioni Joker ( Collana Transference) 2006; “Blanc de ta nuque. Uno sguardo (dalla rete) sulla poesia italiana contemporanea”, Edizioni Le Voci della luna (2006-2011), a cura di Sergio Rotino, Collana Segni, volume n. 7, pp. 272; “Forme concrete della poesia contemporanea”, studio critico a cura di Sandro Montalto, Edizioni Joker.
Suoi testi, recensioni e segnalazioni sul suo lavoro sono apparsi in rete e su carta.
Fausta Squatriti è poeta e artista. Il suo più recente libro di poesia ha per titolo Olio Santo ed è edito da New Press.
È un titolo che rimanda esplicitamente all’unzione degli infermi e dunque alla cura.
In questa opera, infatti, Fausta Squatriti ci parla di un essere umano situato sul crinale che divide l’età moderna dall’epoca che verrà. E ci avverte che angoscia e sofferenza stanno operando in molti punti dell’epoca contemporanea, tanto da indurci all’apatia.
Olio Santo impone una presa di posizione di rilevante responsabilità: non accettare lo scacco e dire una parola nuova. Una parola che esprima gli spostamenti dell’anima in profondità.
Come? Abbracciando l’idea di raggiungere la struttura poetica dell’esistere, la miracolosità dell’esistenza, quel carattere di magia che è proprio di ogni cosa quando viene liberata dalla gabbia della semplice interpretazione.
40
Senza talento d’osanna
stona
nel secolo breve
conta di morti e compianto.
Nessuno
sperava il contrario.
Sangue di vittime e carnefici
ingrassa
terra smossa
ad arte semina ombre
divora solo qualche nome
lungo i muri
ombre scivolano snelle
timide
ombre nella fuga disfate
al corpo negato tornate.
Nel chiuso anfratto
minuscolo tesoro di mano amica
profana quel poco
tramanda il sopruso.
Per nessuno
pregare.
41
Più o meno a quintali
stracci
piaghe ossa polvere d’odio
pasto infetto a
memoria di giustizia
orfana figlia male amata.
Impari conto e non c’è
nulla da vedere.
Del bello si va cercando
enigma disonore
e pentimento.
Morte lenta.
Dopo il diploma all’Accademia di Brera di Milano nel 1960, Fausta Squatriti tiene la sua prima personale alla Galleria del Disegno di Milano, e nel 1964 vince il Premio San Fedele, all’epoca il più prestigioso riconoscimento italiano per i giovani artisti, raramente assegnato a una donna. Nel 1968 il mercante d’arte svedese Pierre Lundholm, si interessa alla sua ricerca, e la espone nella sua galleria di Stoccolma, punto di partenza per la carriera internazionale dell’artista. Questa si sviluppa inizialmente fra gli Stati Uniti (Kozmopolitan Gallery, New York e Huston), Israele (Mabat Art Gallery, Tel Aviv), e il Sudamerica (due le personali a Caracas, nelle gallerie Estudio Actual e Artecontacto, e personali al Museo di Arte Contemporanea “Jesus Soto” di Ciudad Bolivar, e alla Jack Mizrachi Gallery di Città del Messico). Un altro incontro cruciale è quello con il gallerista Alexander Iolas, uno dei più importanti mercanti d’arte degli anni Settanta, che espone il lavoro di Squatriti nella sua galleria di Ginevra e la coinvolge anche in qualità di art director, facendole realizzare cataloghi, libri e manifesti per gli artisti che espone nelle sue gallerie di Parigi, New York, Milano, Ginevra, Roma, Madrid e Atene.
A Milano nel 1979 Squatriti tiene una personale alla Galleria del Naviglio, nel 1980, sempre a Milano presenta allo Studio Marconi le sculture di ferro nero, di grandi dimensioni, saranno apprezzate anche da Denise Renè, che nell’82 le espone in una personale a Parigi, e in alcune mostre di tendenza. Espone a Milano da Bianca Pilat nel 1995, alla Fondazione Mudima nel 2001, al Museum am Ostwald, a Dortmund, a cura di Ingo Bartsh, nel 2001, al Museum of Modern Art di Mosca, a cura di Evelina Schatz, nel 2009, da Assab One, Milano, nel 2012. Sue opere fanno parte di alcune collezioni pubbliche, tra cui il Centre Pompidou, Parigi, il Musèe d’Art Moderne de la Ville de Paris, le Gallerie d’Italia, Milano.
Nel 2017 ha esposto sotto il titolo “Se il mondo fosse quadro saprei dove andare…” presso la Triennale di Milano, Le gallerie d’Italia Piazza Scala e la Nuova Galleria Morone.
Esperta di editoria d’arte, grafica, e multipli, Squatriti ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Carrara, Venezia e Milano, ed è stata due volte visiting professor alla University at Manoa di Honolulu, U.S.A e all’Académie des Beaux-Arts di Mons. Ha tenuto conferenze sul proprio lavoro e su altri argomenti a Honolulu, Tel Aviv, Haifa e Parigi, oltre che in Italia.
All’attività come artista, editore e docente si aggiunge, a partire dal 1986, quella di saggista. In quell’anno è una dei tre curatori di ''Arte e scienza: colore'' alla Biennale di Venezia, con saggi pubblicati in catalogo. Numerose sono le raccolte di poesia pubblicate in Italia. Una antologia dei suoi testi poetici è tradotta in francese e pubblicata nel 2016 presso L’Harmattan, Parigi. Altri suoi testi sono stati tradotti e pubblicati in inglese e in ebraico. Ha pubblicato i romanzi, “Crampi”, 2006, Abramo editore, e “La Cana”, 2016, ed. Puntoacapo, e di recente ha pubblicato le sue poesie, “Vietato entrare “edizione La Vita felice, 2013 e “Olio Santo”, New Press Edizioni, 2017
Trittico
“La Passione”, che Roberto Valentini mette in versi nella silloge omonima, si declina pensosa nel confronto tra il divino e l’umano sui temi del male e del dolore, dell’angoscia e della morte, della verità e del mistero.
Quasi fossero dipinte sulle tavole di un trittico, siamo di fronte alle immagini e alle voci, in dialogo tra loro, della narrazione biblica, del pensiero umano e della poetica personale dell’autore. Possiamo tentare di intravedere, su una tavola, la Via crucis che i testi evangelici, rigorosamente citati, declinano nella loro narrazione; su un’altra, i testi poetici in cui l’autore, nella prima parte della raccolta, “La Passione”, si pone a confronto con le questioni che essa pone per l’uomo; su un’altra ancora, i testi della seconda parte, “Altri versi”, dove emerge una poetica personale colma di fatica e smarrimento e insieme di spiragli di luce e di altrove.
Nel fluire dell’endecasillabo che spesso accompagna la riflessione dell’autore, si susseguono, all’interno della trama evangelica rivisitata in chiave poetica, le grandi domande sul senso dell’umano e del divino.
Lungo le stazioni del dolore, attraverso pennellate di meditazioni, si declinano, come leggiamo, i temi della paura, “l’angoscia che ti sa uomo”, dell’iniquità e del significato del male, “il male dell’uomo, / finché la sua polpa dia altra vendemmia”, del valore della sofferenza e del supplizio, “il naufragio che bisogna cercare / in sé stessi, per trovare l’approdo”.
In una tensione verso l’interrogarsi umano sul dubbio e sulla verità, quando, come scrive l’autore, “si sporge / il senno oramai sordo alla parvenza / del vero. Ma cos’è la verità?”, e insieme sull’orrore e sullo sgomento per il “brullo precipizio della morte”. Per concludersi infine nel segno del mistero divino e della speranza “Abiti in noi, / nello spazio che è degli Altri l’incontro”.
E in tutto questo la parola?
Il dire è una parola di veglia, “che altrove / cerca il responso”, una “cenere di voce nel gorgo / del tempo” e, come Roberto Valentini esplicita in “Altri versi”, ricerca mai sopita: “Così camminiamo in un bosco / di voci che ne intreccia la fatica / di ritrovare il discorso alla resina / sui larici”. Pennellando realtà e riflessioni a partire da una tavolozza di ombre e dissolvenze, faglie e cicatrici, fino al germogliare di possibili luci, forse “astri di un’altra radura”.
***
Giovanni. 18, 37-40
Pilato disse a Gesù: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?». E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.
V Gesù è giudicato da Pilato
Alla balaustra del dubbio si sporge
il senno oramai sordo alla parvenza
del vero. Ma cos’è la verità?
Ciò s’insinua sull’orlo della voce
versandola nel cratere del cuore;
lì non giunge l’illustre potere,
l’udienza della parola che altrove
cerca il responso. Solo l’acqua esigua
della scelta già scorre sopra il marmo
del sentire che le mani non sfiorano.
***
Giovanni 19, 32-34
Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.
Marco 15, 42-43, 46
Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la Parascève, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d'Arimatèa, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l'entrata del sepolcro.
XIV Gesù è deposto nel sepolcro
Mentre trafora una lancia il tuo fianco
ne sgorga l’acqua dal fondo divino,
si versa un sangue di rose alle mani
che supplici riaccolgono uomo e figlio
nelle spoglie del cielo. Poi rimbomba
il tuono di questo strazio infinito
sulle stigma dell’aria. In un lenzuolo
le ricopre il sudario della sera,
se anche la tua tomba come un enigma
rinserra – e lo può? – un macigno di morte.
Nato a Milano, Roberto Valentini dal 1999 lavora come insegnante nella scuola secondaria superiore e sopra(v)vive a Bernate Ticino, al confine occiduo della provincia milanese. Laureatosi in filosofia all’Università degli Studi di Milano, ha collaborato con la cattedra di Storia della filosofia contemporanea II quale redattore della rivista “Magazzino di filosofia” diretta dal Prof. A. Marini; attualmente, oltre a proseguire tale attività, è fra i curatori del relativo sito web di filosofia contemporanea (www.filosofiacontemporanea.it). Si è interessato in modo particolare della filosofia francese post-strutturalista, della Nietzsche-renaissance e del pensiero di autori quali Blanchot, Derrida, Deleuze, Bataille; in questi anni ha pubblicato, fra gli altri contributi (recensioni e florilegi), saggi sull’insegnamento della filosofia, sul cinema di Kubrick e Il gesto di Alcesti (“Magazzino di filosofia” n. 19/2012), una interpretazione letteraria di alcune tematiche della riflessione di Maurice Blanchot. Ha presentato un proprio lavoro nell’opera collettiva Vita, concettualizzazione, libertà (Mimesis, Milano, 2008).
Sue liriche inedite, articoli, escursioni di carattere saggistico-espressivo ed un racconto sono presenti sul sito web della rivista letteraria “Lunarionuovo”, diretta dallo scrittore e saggista Mario Grasso, e sulla rivista “L’EstroVerso”. Ha pubblicato il volume Dante a rovescio. Il XXXIV canto dell’Inferno capovolto (selfpublishing, Tricase, 2012), le raccolte poetiche Il peso dell’ombra (Prova d’Autore, Catania, 2013), Fra terra e luce. Antipodi dell’uomo (selfpublishing, Tricase, 2014) e Il male degli occhi (Puntoacapo Editrice, Pasturana 2014). Per i tipi di Puntoacapo Editrice è in corso di stampa la raccolta Il beneficio delle brume. Sue liriche sono presenti nelle antologie Enciclopedia di Poesia contemporanea (Fondazione Mario Luzi Editore, 2015), Atti della XVII Biennale di Poesia di Alessandria (a c. di Aldino Leoni e Mauro Ferrari, Puntoacapo Editrice, Pasturana 2015) e sul numero XXVIII di “Carte nel Vento”, periodico on-line del Premio “Lorenzo Montano”. Per una collana della rivista “Magazzino di filosofia” è in corso di stampa il volume monografico La pietra, il dono e lo specchio. Sisifo, Alcesti, Narciso: tre gesti per esautorare la morte.
Ha ricevuto riconoscimenti al Premio “Lorenzo Montano” (2013, 2015), al Premio Internazionale “Cinque Terre” e la Menzione d’onore per l’opera Il male degli occhi al Premio Casentino 2015. Scontando come tutti la “nera foga della vita” di sabiana memoria, continua a coltivare l’impaziente passione delle lettere, preservando epistole, esercizi di stile, prose rapsodiche e innocenti endecasillabi – né pretenziosi né insinceri – dalla (nella) loro lieve agonia dentro uno stipo.
“…la vicenda di Giovanni Drogo e degli altri, ufficiali e soldati, che presidiano la fortezza Bastiani, non è che una metafora della vita nei suoi termini più universali e drammatici.”
In questa non banale constatazione iniziale risiede il nucleo dell’analisi che questo breve saggio compie del romanzo “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati.
In particolare in esso, pure accennando puntualmente alla semplice trama generale del racconto, viene dedicata particolare attenzione alla parabola esistenziale del protagonista, dalla necessità imperativa delle sue scelte iniziali alla drammatica simbologia del finale.
Rossella Cerniglia, con la sua analisi, rende conto lucidamente dell’evoluzione di Giovanni Drogo, della progressiva incomunicabilità e impossibilità di condivisione delle sue scelte etiche nonché della sua crescente inconciliabilità con i valori normali e comuni, all’interno dei quali era peraltro nato e cresciuto; infine, del suo progressivo processo di allontanamento dalla normalità sociale, simbolicamente rappresentato dall’atteggiamento dello stesso Drogo verso la città durante le licenze.
Ne emergono tutti gli squilibri, le instabilità e le microfratture di questa lenta epopea esistenziale, fino all’evidente sproporzione fra il peso della scelta iniziale del protagonista e l’esito ultimo finale della storia.
Vicissitudini di Giovanni Drogo: l’attesa del sogno nella realtà
Così, in questa stasi del tempo, a un certo punto, Drogo sentirà gli anni pesare su di sé, quasi all’improvviso. E nel racconto è come se il tempo - prima fermo, stagnante - si fosse messo in moto, scorrendo più velocemente, depositandosi sulle cose con ritmo crescente: improvviso segnale che la giovinezza è finita.
Ed è così che sotto il peso degli anni che, quasi a sua insaputa, si sono accumulati sul corpo e sullo spirito del protagonista, nel cadere delle speranze e delle illusioni, il tempo riaffiora e riprende il suo corso, divenendo divoratore inesorabile: infatti, solo all’interno di una vita vissuta come necessaria ricerca di senso e di valore, espressa attraverso l’ineffabile luogo che è la Fortezza, il tempo ha una connotazione tutta interiore. Fuori, il tempo reale, quello che fluisce nella “dimensione cittadina” -da cui Drogo si allontana per scegliere la Fortezza- è invece sotterraneo, inesplorato ed incessante mutamento. La dimensione della Città e quella della Fortezza rappresentano, infatti, due modi possibili di vivere, anzi di affrontare la vita, ne sono i simboli: dissipato e superficiale l’uno; interiorizzato e profondo l’altro. Non per nulla, nel suo breve ritorno in città per una licenza, Drogo ne coglie ormai la distanza definitiva, irrecuperabile dal suo sé. Avverte la strana improvvisa lontananza da tutto, che lo avviluppa con un senso quasi fisico di malessere; ogni cosa gli appare perduta per sempre, inspiegabilmente estranea, persino la vecchia casa, la sua stessa stanza, la madre, la sua quasi-fidanzata. Tutto, allora, i mobili, gli oggetti che gli erano familiari, le voci e i gesti delle persone care, quanto era stato per lui assai intimo, gli diventa,
a un tratto, remoto ed estraneo; ed egli, dolorosamente, prende coscienza di tale estraneità come pure del fatto che egli stesso è divenuto distante ed estraneo agli altri.
Ed è proprio questo senso di estraneità e lontananza dalla vita degli altri, dalla vita comune, che gli fa compiere quella scelta radicale - e di per sé eroica – che è la vita nella Fortezza, col suo farsi giornaliero non meno disadorno e incolore di quello da cui prende le distanze, anzi ancor più marcatamente monotono e vuoto, ma più consapevole della solitudine e del mistero di esistere, e col miraggio lontano di una irraggiungibile pienezza e felicità.
Tuttavia, il sogno, per Giovanni Drogo non giunge, o giunge troppo tardi, a dire che la sua vita si consuma priva di senso, anche e proprio per colui che tanto lo aveva desiderato, tanto invocato, e la morte è lo straziante epilogo di tanta attesa.
Giovanni Drogo, che per Buzzati è il paradigma non solo di se stesso, non solo dell’intellettuale che si misura con la realtà insormontabile del destino, ma dell’uomo intero che vive entro una realtà inesplicabile, Giovanni Drogo morirà solo, reietto e oscuro, lontano dalla dimensione ideale che tanto aveva invocato. I Tartari, infine, muoveranno guerra, ma solo quando egli, debole e malato, non potrà più prendervi parte. E questo – sembra voler dire lo scrittore – è il destino dell’uomo quando si misura con cose che sopravanzano i suoi angusti confini, la finitudine dell’esistenza stessa: il “senso” di essa rimarrà imperscrutabile, trascendente, e all’uomo sarà consentito solo un sofferto e dignitoso accettare, nel momento estremo, l’inevitabile struggente sconfitta: il limite insopprimibile, connaturato alla nostra esperienza terrena.
Rossella Cerniglia è nata a Palermo, dove vive. Laureata in Filosofia è stata a lungo docente di materia letterarie nei Licei della stessa città. La sua attività letteraria ha inizio con la pubblicazione di Allusioni del Tempo (con presentazione di Pietro Mazzamuto), ed. ASLA – Palermo 1980; seguono Io sono il Negativo (con prefazione di Nicola Caputo), ed. Circolo Pitrè – Palermo 1983; Ypokeimenon (con introduzione di Elio Giunta), ed. La Centona – Palermo 1991; Oscuro viaggio, ed. Forum/Quinta Generazione – Forlì 1992; Fragmenta (con introduzione di Giulio Palumbo), Edizioni del Leone – Venezia 1994; Sehnsucht (con prefazione di Maria Grazia Lenisa), ed. Bastogi – Foggia 1995; Il Canto della Notte (con nota critica di Ferruccio Ulivi), ed. Bastogi – Foggia 1997; D’Amore e morte, stampato a Palermo nell’anno 2000; L’inarrivabile meta (con prefazione di Elio Giunta), ed. Ila Palma – Palermo 2002; Tra luce ed ombra il canto si dispiega (antologia e studio critico comprendente anche i testi di altri quattro autori palermitani, a cura da Ester Monachino), ed. Ila Palma – Palermo 2002; Mentre cadeva il giorno (con introduzione di Giorgio Barberi Squarotti), ed. Piero Manni – Lecce 2003; Aporia (con prefazione di Salvo Zarcone), ed. Piero Manni – Lecce 2006; Penelope e altre poesie (con prefazione di Pietro Civitareale), ed. Campanotto – Pasian di Prato 2009. In ultimo, nel giugno del 2013, per l’Editore Guido Miano di Milano, ha pubblicato un’Antologia che propone un breve saggio delle prime dodici sillogi poetiche, con disamina di Enzo Concardi. Altre opere sono in attesa di pubblicazione.
Nel 1999 ha, altresì, pubblicato il romanzo Edonè...edonè. Nel 2007, ancora per l’editore Piero Manni di Lecce, viene stampato il suo secondo romanzo dal titolo Adolescenza infinita e infine, per l’Editore Aletti di Villalba di Guidonia, il libro di racconti Il tessuto dell’anima.
Collabora ad alcune riviste, ha ricevuto favorevoli riconoscimenti e attestazioni da parte di numerosi critici e letterati ed è stata premiata in diversi concorsi letterari. Suoi versi e profili critici sono presenti in antologie e riviste letterarie, tra cui L’Altro Novecento (vol. II e III) a cura di Vittoriano Esposito edito da Bastogi, 1997; nella rivista Poesia dell’editore Crocetti di Milano; in Poeti scelti per il terzo millennio (2008),in Storia della Letteratura italiana (vol. IV, (2009) e in Poeti italiani scelti di livello europeo ( 2012), dell’Editore Guido Miano di Milano; più recentemente in Il rumore delle parole ed. Edilet, 2014, e in Come è finita la guerra di Troia non so, ed. Progetto Cultura, Roma, a cura, entrambi, di G. Linguaglossa, e più volte sulla rivista telematica L'Ombra delle parole, diretta dallo stesso G. Linguaglossa.
Stelvio Di Spigno ha conseguito la laurea in Lettere e il dottorato in letteratura italiana. Vive a Gaeta e insegna ad Anzio. È poeta. Il suo ultimo libro ha per titolo Fermata del tempo ed è edito da Marcos y Marcos (2015).
Questa opera ci parla, come lucidamente certifica Umberto Fiori nella prefazione, “di un passaggio dall’adolescenza all’età matura, di una iniziazione al vero”. Tale passaggio viene registrato cercando di azzerare il flusso del tempo, imponendo al tempo una “fermata”, affidandosi all’ora per eccellenza: quella in cui ha luogo il ritorno al passato.
L’ora in cui la vita compie una svolta ha i suoi segni: i segni del tempo nei quali si ha a che fare con l’oscuro fondamento dell’essere. Ma, attenzione, quell’oscuro non significa tenebra, ma ombra che appartiene alla luce e che con la luce forma il mistero della vita.
La gentilezza e la mitezza, il sorriso e le lacrime sono forme di vita che ci aiutano a riconoscere e a rispettare le attese dei nostri compagni di viaggio, i loro desideri, le loro speranze, le loro angosce. Non c’è colloquio, non c’è dialogo, assicura Di Spigno, se non è accompagnato dalla ricerca e dal rispetto delle reciproche attese.
Confrontarci con il tempo, cercare addirittura di fermarlo significa confrontarsi con l’esperienza dell’ignoto che incessantemente emerge dalle nostre relazioni con le ombre enigmatiche e fragili che si intrecciano con le nostre esistenze.
Da “Le radici sepolte”
Largo e intento
il lago dove siamo stati congedati
dal sogno di una maniera di pace
fatto per uomini con gli occhi addolorati,
le acque che avremmo voluto dentro casa
nel tranquillo fluire del traffico cancellato dal mondo,
la completa fissità, l’essere corporalmente raggiunto,
vivere con gli amati e gli antenati, insieme nel puro silenzio,
per sempre nello stesso giorno
magari d’infanzia o adolescenza,
perché molto è il desiderio
di un paradiso abbarbicato al tutto
uniti con la faccia solo in questa terra,
senza dovere niente alla fatica e al lutto,
al mancare interno e al rischio dell’eterno.
Stelvio Di Spigno vive a Napoli dove è nato nel 1975. È laureato e addottorato in Letteratura Italiana presso l’Università “l’Orientale” di Napoli. Ha scritto la monografia Le “Memorie della mia vita” di Giacomo Leopardi – Analisi psicologica cognitivo-comportamentale (L’Orientale Editrice, Napoli 2007). Ha collaborato all’annuario critico “I Limoni” con recensioni e note sotto la guida di Giuliano Manacorda. Per la poesia, ha pubblicato la silloge Il mattino della scelta in Poesia contemporanea. Settimo quaderno italiano, a cura di Franco Buffoni (Marcos y Marcos, Milano 2001), i volumi di versi Mattinale (Sometti, Mantova 2002, Premio Andes; 2a ed. accresciuta, Caramanica, Marina di Minturno 2006), Formazione del bianco, (Manni, Lecce 2007, finalista Premio Sandro Penna), La nudità (Pequod, Ancona 2010), Qualcosa di inabitato, con Carla Saracino (EDB, Milano 2013). Il suo ultimo libro, Fermata del tempo, (Marcos Y Marcos, Milano 2015) ha ottenuto il Premio Nazionale di Calabria e Basilicata.
Le direzioni dello spirito
Non è una riflessione ragionata, come potrebbe apparire dal titolo, la silloge di Lino Grimaldi ”Filosofia e poetica”, né l’espressione in versi del rapporto tra il pensiero e la parola.
Piuttosto si tratta di un flusso di scrittura, una prosa poetica senza scansioni di ritmo e di punteggiatura, affidata al ritmo interiore, al “vero spirito sognante”, in cerca di una direzione, di un verso, propriamente di una vertigine.
Tra le direzioni nord-sud, nei grovigli del mondo, “poi cos’è questo / Mondo un groviglio di vie disperse”, come scrive l’autore, è nella centralità il luogo in cui poter trovare orientamento, “Al centro da dove diparte ogni moto d’universo”, e dove è possibile un punto di contatto sorgivo tra la parola e il pensiero: “Dal quadrivio vincolato al sapere di poesia e filosofia sorge l’alba rifratta dello / Spirito eccelso”.
Nell’intersecare narrazioni del mondo, proiezioni di altrove, inserimenti di citazioni religiose, letterarie, mitologiche, storiche e filosofiche, nell’accumularsi di visioni del reale e del sogno, Lino Grimaldi affronta i temi del mistero, dell’infinito, della conoscenza, dell’essere e del divenire.
Evidenziando un ostacolo, che incontra più volte, un limite diversamente declinato: “il limite della mente umana” di fronte al mistero dell’infinito e insieme il “Limite invalicabile dell’umano mistero”. Occorre allora un altro verso, un’altra direzione: dai percorsi lineari ad
un movimento che si verticalizzi, nella tensione verso l’alto, come scrive l’autore, “Si ergono pareti verticali nello spaccato del cuore del mondo si verticalizzano / Orizzonti” e ancora: “In saliscendi che ripetono le cantilene spoglie / Messe a nudo dalle crepe aperte sul divino”.
E la poesia e la filosofia?
Con una scrittura appassionata e dolente, variopinta, disillusa, sognante, che in alcuni tratti ci porta al dire di Maria Zambrano, anch’essa già occupatasi di filosofia e poesia nel libro omonimo, Lino Grimaldi porta il pensiero e la parola nei suoi incroci e nelle sue verticalizzazioni: dove un tempo trovava spazio il “pensiero del poeta ritrattore anche del / Principio filosofico” e ora “l’incerto filosofico / ridiventa spirito poetico”. E dove l’assoluto “si è riprodotto fuori e qui / Ancora moltiplicato per dolci colline”.
Filosofia e poetica
Diramazione sud
Diramazione nord
Mi pongo al centro come per ogni dove si spartisce un vero spirito sognante
lascia ai bordi stretti d’incompreso scorie sciatte di lungo pensare stare
penzolante senza cadere da una parte all’altra mi pongo al centro senza sbandare
anche quando ti cerco affannata ti cado al fianco così divori la mia
arrendevolezza se il cartello del destino indica l’alba gira a sud oppure
diramazione nord sempre equilibrato al centro del mondo anche e sempre
quando si fa una scelta tocco l’incrocio di meridiani e paralleli accorto per non
restare nelle paludi del dubbio fuori dalla catastrofe del mondo poi cos’è questo
mondo un groviglio di vie disperse sulla pelle di piane e monti e anche i grandi
mari che si incrociano e i grandi fiumi che si scaricano tutto prende
diramazione sud
Lino Grimaldi è nato nel 1935 a San Paolo di Civitate, in provincia di Foggia.
Vive a Cava dei Tirreni. L’ultimo suo libro è “Miscellanea” (seconda parte) pubblicato da Unigester nel 2018.
Dario Benzi, poeta, è stato più volte segnalato al Premio Montano.
In questa edizione il riconoscimento gli è stato conferito per la raccolta I frammenti, la musica edito da Cierre Grafica nel 2016.
Sono tre i movimenti attraverso i quali si articola in questo libro il cammino poetico di Dario Benzi.
Il primo movimento prevede un confronto tra la pienezza della physis e la finitezza dell’esserci. Il secondo movimento impone un dialogo tra due finitezze: l’io e il tu. Il terzo movimento sperimenta un incontro corale: un convegno tra le molteplicità dell’apparenza.
Ogni movimento ci parla di un accordo che tutti gli altri esclude. Ci parla di un esilio. Ogni volta che apriamo gli occhi e scopriamo che niente è più come prima. Scopriamo che qualcosa è apparso finché le nostre palpebre erano abbassate. Apprendiamo che vi è del rivelabile ogni volta che apriamo gli occhi, ogni volta che lo sguardo, incontrando un altro sguardo, viene “ricambiato”.
Lo sguardo compie la sua opera diurna e notturna semplicemente facendosi largo tra le palpebre o nascondendosi dietro di esse. È persino pensabile, a questo punto, l’irruzione di un miracolo. E il miracolo è nel canto silenzioso che non ha più bisogno di parole; in quel suono primordiale dalla cui inudita vibrazione sorge invisibile l’armonia del tutto: danza e moto cosmico.
***
Tempo di tracce e di segni
apparenti scomparenti pulviscolari
vetrine di cose di parole
vendute discaricate
rallentano strade dendriti
inquinate le falde dell’acqua del pensiero.
Dario Benzi è nato a Crema il 12/10/1950, medico ormai in pensione.
Nel 1990 ho pubblicato la raccolta di poesia “Il Gioco infinito” presso l’Editore Lalli, su proposta del Premio Letterario Editoriale “L’Autore” di “Firenze Libri”
Alcune poesie sono state pubblicate sulla rivista Cremona Produce, e inserite nel volume annuale “Si scrive” 2001, edito dalla Provincia di Cremona in collaborazione con gli scrittori del P.E.N. International, e alcune poesie sono state scelte per l’Antologia PO… ETARE 2004 di Cremona Produce.
Nel 2005 ho conseguito il 2° premio nella X Edizione del Premio Nazionale di Poesia Abbadia Cistercense del Cerreto
sempre nel 2005 una mia raccolta poetica inedita è stata menzionata nell’ambito della XIX Edizione del Premio Lorenzo Montano
nel 2006 ho ricevuto il “2° Premio ex aequo” al Premio Nazionale di Poesia Monte Netto di Capriano al Colle
nel 2004 sono stato inserito nell’antologia poetica “Rane.Un dito nell’acqua”, e nel 2007 nell’antologia “L’uomo il pesce e l’elefante”, entrambe appartenenti alla collana I quaderni di Correnti di Crema
nel 2007, una mia poesia inedita dal titolo “Il Vento” ha ricevuto una menzione d’onore nell’ambito della XXI edizione del Premio Lorenzo Montano, e sono stato invitato a partecipare alla Biennale di Poesia di Anterem
nel 2008, la raccolta inedita “Il rosso il nero/ il desiderio il vento” ha ricevuto una menzione d’onore nell’ambito della XXII Edizione del vostro premio,e sono stato di nuovo invitato a partecipare alla Biennale di Anterem
nel 2009, la poesia inedita “E qui” ha ricevuto la terza menzione d’onore nella XXIII Edizione del vostro premio, e sono stato di nuovo invitato con mia grande soddisfazione alla Biennale di Anterem
nel 2009 ho pubblicato la raccolta poetica “Il desiderio, il vento”, a cura di Flavio Ermini e con l’introduzione di Giò Ferri, nella la collana Via Erakleia, presso Cierre Grafica Verona
e nel settembre 2016 ho pubblicato “I frammenti, la musica ovvero Lo sguardo ricambiato” con la prefazione di Franco Gallo e la postfazione di Flavio Ermini, sempre nella collana Via Erakleia, presso Anterem Edizioni.
Un transito di ore, a partire da un’alba, si rappresenta nel testo "luce altra" di Giuseppina Rando.
Una poesia scarnificata nella sua essenza lirica, che sembra essere nata per sottrazione.
Una poesia che da un lato concede la lettura e nell’altro si fa petrosa, senza concessioni.
Nella parte in luce si concentra la descrizione del momento.
Nella parte in ombra, dopo l’attraversamento degli istanti più fulgidi, appare progressivamente un dolore sempre più forte.
I passaggi del tempo sono evidenziati dalla meridiana del sentire. Permettono di andare dal “rifulgere ogni istante” agli “anfratti dell’io”, consentono di passare, nel breve volgere di alcuni versi, da “un aperto orizzonte” a “piaghe senza sangue”.
Per quanto il giorno possa essere meraviglioso, il poeta sa quanto ne sia effimero lo splendore.
luce altra
sillaba dell’anima
d’antica alba
rifulgere ogni istante
di stelle
negli anfratti dell’io
nel silenzio dell’incognita terra
tra le cose
e accogliere
nell’aperto orizzonte della meraviglia
il principio
ricevono
piaghe senza sangue
fogliame di bosco
su corpi dolenti
ombre
dilaniate dal nulla
Giuseppina Rando poetessa, scrittrice e saggista , è presente in numerosi volumi di poesia, antologie e saggi. Collabora con diverse riviste.
Ha pubblicato testi di Poesia tra i quali :
Spuma di mare. Poesie (1970-1981),
Statue di gesso. (1982-1995),
Duplice veste ( 2001),
Immane tu ( 2002 )
Figura e parola (2005), -Cierre Grafica Verona –
Vibrazioni (2007) Noubs Chieti
Bioccoli ( 2008) Anterem Edizioni, Verona;
Geometria della Rosa, Aletti editore, 2017
Saggi : Profili di donne nel Vangelo (2001) Bastogi, Foggia,
Chiara. Una voce dal silenzio (2002).Edizioni San Paolo , Cinisello Balsamo,Milano .
Le belle parole ( 2013 ) Scrittura Creativa Edizioni, Borgomanero ( Novara ).
Nel Segno ,Racconti, (2011) Pungitopo, Patti Marina (Messina) ha ricevuto il Premio di narrativa - Sesta edizione - Joyce Lussu, Offida (Ascoli Piceno)
Claudia Pozzana è docente di lingua e letteratura cinese all’Università di Bologna. Ha tradotto i principali poeti cinesi contemporanei. Lei stessa poetessa, ha pubblicato con Damocle nel 2014 un libro di poesie scelte: Elisioni.
Da questo volume emerge con chiarezza l’idea di poetica di Pozzana, idea che così l’autrice sintetizza: “La poesia è nel vuoto delle parole, negli interstizi, là dove il verso sembra incagliarsi, dove la lingua inciampa”.
In quel “dove” c’è l’alterità. Ci sono la complessità e la profondità che l’essere umano fa sempre più fatica a reggere. Il calcolo e l’interesse ordiscono il nostro mondo e noi diventiamo dimentichi di noi stessi per non disperare.
Terrorizzato dalla morte, l’essere umano impiega ogni forza per occultarla. Ed è così che il mistero del dolore resta velato. È così che disimpariamo ad amare.
Pozzana ci chiede di non sottrarci all’enigmatico. Ci chiede di non vedere il mondo come terra di conquista e di conflitto, ma come terra da amare e da accogliere. Qui, amore e morte invitano a una danza armonica, che si configura come sperimentazione d’identità. Sottratto a questa danza, ci avverte Pozzana, il mortale è consegnato all’immobilità.
Elisioni ci guida su una terra pericolosa, vero e proprio banco di prova per gli umani, luogo di avventura; uno spazio in cui si cerca ciò che è stato represso e censurato dalla modernità e dalle macchine.
Ancora
Ancora dei versi?
Di versi àncora
l'ancora diversa
idea di tante lei
riversa convessa
disposta ancora
Quartetti
Su cui scrivere
una storia secolare
immanente al reale
un’astrazione
indicibile, arroccata
su corde e note
glissata e vibrata
allegra e pizzicata
che riesce a scuotere
l’apatia del giorno,
riapre un possibile
di invenzioni
incrostando di verde muschio
i raggi radenti
Claudia Pozzana ha pubblicato le raccolte di poesia Segmenti singolari (Poedit, 1995), e il trittico Scelte, Poetra e La curva del mare (Poedit, 2006). È docente di lingua e letteratura cinese all’Università di Bolo- gna. Ha insegnato negli Usa e in Cina. Ha tradotto e presentato in italiano i principali poeti cinesi degli ultimi decenni (La poesia pensante. Inchieste sulla poesia cinese contemporanea, Quodlibet, 2010); ha curato la raccolta del poeta Bei Dao, Speranza fredda (Einaudi, 2003), e quella di Yang Lian, Dove si ferma il mare (Scheiwiller, 2004). Ha inoltre pubblicato in colla- borazione con Alessandro Russo varie antologie di poesia cinese, tra cui alcuni numeri speciali della rivista “In forma di parole” (Poeti cinesi contemporanei, 1988; Un’altra Cina, 1999), e il volume Nuovi Poeti Cinesi (Einaudi, 1996).
In questo breve saggio Danilo Di Matteo ci ricorda innanzitutto la misura del pensiero di Lucio Magri, parlamentare, “comunista eretico”, co-fondatore del PdUP e del Manifesto, teorico della politica nella sua accezione più nobile di servizio alla collettività.
Particolare importanza nel pensiero di Magri sono l’incontro e il confronto fra politica e istanze sociali.
In questo senso, sottolinea Di Matteo, è da vedere il rapporto privilegiato della sua formazione politica con le reti di partecipazione democratica (consigli di fabbrica, movimenti come medicina democratica etc.) che proliferavano negli anni ’70.
Nel mondo contemporaneo, rileva ancora Di Matteo, dopo la diluizione delle ideologie e i riflussi individualistici, l’individuazione di soggetti sociali che possano essere interlocutori credibili nel confronto democratico diventa sempre più problematico.
Ma, ovviamente, in assenza di veri soggetti sociali, identificati con chiarezza, le istituzioni e la politica non possono raccordarsi ai singoli, aumentando confusione e disagio.
Per questo, esorta Di Matteo, pure nelle difficoltà del periodo storico, è necessario ripensare corpi intermedi che, oltre a motivare l’azione politica, rappresentino anche il giusto collante e il necessario tramite.
Lucio Magri e i soggetti sociali
(incipit)
Vi sono dei nomi, dei volti, delle idee che appartengono al nostro background, pur maturando negli anni posizioni e convinzioni diverse. Ѐ il caso, per me e per altri, di Lucio Magri, fra i fondatori de il manifesto e segretario del Pdup. Fece discutere e soprattutto riflettere la sua scelta di ricorrere al suicidio assistito in Svizzera. Ma non è su quello che mi soffermo ora. Ha destato di recente il mio interesse la pubblicazione in due volumi degli interventi parlamentari di questo comunista eretico. E scorgo nell’articolo di Luciana Castellina riguardante il Convegno alla Camera dei deputati dedicato a tali testi motivi e argomenti di grande interesse, veri e propri spunti per ulteriori considerazioni e domande.
Da un lato ella ricorda la capacità di una piccola formazione politica come il Pdup di rappresentare un punto di riferimento per la crescita di reti di partecipazione democratica “che ebbero – negli anni ’70 – una particolare fioritura”: dai Consigli di fabbrica a quelli di zona, da movimenti come Medicina democratica a Psichiatria democratica. Dall’altro evoca l’esperienza della nuova Rivista de il manifesto, rinata proprio sotto la direzione di Magri nel 1999. Un’esperienza conclusa sempre per sua scelta nel 2004 per mancanza – ecco la motivazione – di referenti sociali. Detto altrimenti: a lui sembrava troppo angusta e a suo modo macchiata di ignavia la prospettiva della semplice testimonianza. E qui si ripropone il tema della tensione fra il ruolo dell’osservatore e quello del partecipante, della capacità di coniugarli.
Danilo Di Matteo, nato a Lanciano (CH) il 22 marzo 1971, vive a Chieti e lavora come psichiatra e psicoterapeuta.
Collabora con il mensile mondoperaio, con il settimanale Riforma, con diversi siti web, scrivendo note e commenti di psicopatologia, politica, filosofia, teologia e recensioni di libri e riviste. Ha intervistato diversi personaggi pubblici.
È laureando alla triennale di Filosofia presso l’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara.
Guido Garufi è poeta e critico letterario. Ha fondato e diretto con Remo Pagnanelli la rivista “Verso”.
Le numerose raccolte di poesia che ha pubblicato sono tra loro connesse da quello che Mario Luzi ha definito “paziente lavoro unitario”. Fratelli è la sua raccolta più recente e di quel “paziente lavoro” è il vertice.
In Fratelli viene rappresentata dolorosamente una condizione umana ferita dall’esilio. E dalla solitudine che all’esilio si accompagna.
Come non capirlo? L’essere umano è prigioniero. È prigioniero di una terra arida e desertica. Qui pare smarrirsi ogni speranza. Eppure, ci dice Garufi, è proprio questo smarrimento che lascia intuire la vera dimensione della vita.
È proprio la sofferenza che fa riemergere la situazione emotiva della nostra origine, dove – sostiene Garufi – ancora vivono le ragioni del cuore, quelle ragioni che sanno cogliere il tema del dolore e nominarlo.
La spiaggia
(ai miei fratelli)
Penso a te, liberato nell’aria, sciolto e rarefatto
tra le nuvole del cielo e penso
ancora a quanto sia lieve per te, risorto,
il respiro e quanto ancora duri quaggiù l’affanno…
Se fosse così che dall’alto alitasse la vertigine
che dentro senti tu dolce amico o voce che esplori
la campagna e a volte siedi invisibile al mio fianco
quasi un tocco o un piccolo fiato che avverto
tra amicizia filiale e coro degli esclusi
mai assenti perché sempre qui ancora convocati
tra versi e non detti eppure forti, irrevocabili
e dolci presenze, nonostante il dolore
nonostante l’apparente lontananza.
Voci e lingue inquiete dell’infanzia
di questa strana maturità
sigillo tra profezia e amore.
Collage serie MAGARI, 2013 (sfondo di Emilio Vedova)
Sono nata a Treviso nel 1968 e ho pubblicato i libri di poesia Alla fontana che dà albe, quasi una preghiera ad Alda Merini (2002), Verso il tuo nome (2005, con prefazione di Alda Merini), L’obbedienza (2008, con prefazione di Isabella Panfido) editi da Lietocolle, e Come i coralli (2014) con Edizioni La Vita Felice.
Nel 2013 è uscito per Edizioni La Gru il racconto Vivi. Ultime notizie di Luciano D.
Mie poesie, apparse anche in raccolte e riviste e più volte trasmesse a Rai Radio3, sono state tradotte in spagnolo in Jardines secretos, Joven Poesìa Italiana, a cura di E. Coco (Sial, Madrid, 2008).
Con la cantautrice Laura Mars Rebuttini ho realizzato lo spettacolo Un piccolo miracolo, partecipando ad alcuni festival italiani di poesia.
Compongo anche collages e teatrini di carta (reperibili in rete su youtube o instagram).
Nota di Ida Travi su “Come i coralli” pubblicata su il manifesto del 19.6.2014
http://media.poesia.lavitafelice.it/news/allegati/manifesto_bidoia.pdf
https://ilmanifesto.it/parole-come-silhouettes/
Nota di Alberto Cellotto su “Come i coralli” pubblicata sul blog librobreve del 12.5.2014
https://librobreve.blogspot.it/2014/05/come-i-coralli-di-nicoletta-bidoi...
Nota di Marco Scarpa su “Come i coralli”
http://poesia.lavitafelice.it/news-recensioni-marco-scarpa-per-nicoletta...
Intervista a Felice Cimatti - Fahrenheit Rai Radio3 per la rubrica “Il libro del giorno’ del 27.12.2013 “Vivi. Ultime notizie di Luciano D.”
https://www.youtube.com/watch?v=VRmHioX-Taw
Finalista all’edizione 2018 del Premio Lorenzo Montano con la raccolta inedita “Finiremo per trovarci”.