Un’ambientazione filmica, costruita in piena luce, in un interno giorno che la regia dell’autore descrive come in un disadorno atelier e che trasforma in esterni mediante le onde di una radio, con il suo sonoro che passa, seguito dallo sguardo di una telecamera, da una parete a un marciapiede, con il semplice spostamento dell’operatore, fino a quando “cambia il set”. Fotogramma per fotogramma, inquadratura dopo inquadratura, decibel per decibel.
Come se avessimo ricevuto una nuova innervazione, l’aggiunta di un nervo che determina un senso ancora da sperimentare, che ci consente per la prima volta di esplorare un destino. In questo tempo in sospensione, il destino coincide con l’origine, resa evidente da una “scimmia primordiale”.
La sceneggiatura di Marco Saya all’improvviso prevede un ciak che muove nell’introspezione, dominato da un nero diffuso che allontana le stelle, fino alla redenzione del bianco.
Non tutto è incorreggibile. Non tutto accade come sembra. Rimane sempre un tempo senza nostalgia che recupera e motiva il nostro presente, nella metafora di una stanza bianca.
stanza bianca
Sei in una stanza bianca,
vuota con dei chiodi alle pareti,
cornici senza tele sul pavimento,
legni sparsi contorni di una
radio che urla la sua frequenza
sulla strada, una macchina
in retromarcia azzoppa la folle corsa
dei decibel, cani che latrano nel saloon
di un bar, rivoli-bava di birra lungo
il marciapiede.
Cambia il set:
un punto solitario,
la scimmia primordiale,
una stella lontana,
il nero del buio acceca la luce
della domanda.
Scuse ... in ritardo
la stanza bianca ti chiede scusa,
la pelle della specie non ha saputo
proteggerti dal sole del tempo.
Marco Saya è nato a Buenos Aires il 3 aprile 1953.Dal 63 risiede a Milano. Editore, musicista jazz e autore. Ha alle spalle diverse pubblicazioni per la poesia.