Nuove avventure della parola, della parola che diventa flusso o frammento, della parola più intima o più esposta, scandaglio o periscopio.
Tra riflessioni e visioni, nelle diverse forme e mediante variegati stili, ci accompagnano in questo itinerario alcuni poeti e prosatori dell’edizione 2016 del Premio Lorenzo Montano: Maria Angela Bedini, Michele Cappetta, Enrico De Lea, Mauro Germani, Angela Greco, Emiliano Michelini, Alice Pareyson, Giacomo Rossi Precerutti.
Simili a parole che corteggiano altre parole, le presentazioni dei redattori della rivista “Anterem” per ciascun autore proposto: esperienza che proseguirà anche con la nuova, prossima a scadere, edizione del Premio scarica il bando della 31^ edizione del Premio Lorenzo Montano
In copertina: Forum Anterem 2016, immagini di Franco Falasca
…à rebours, una leggera vertigine ci prende alla lettura, di questo Rovescio.
Una norma acquisita ci porta a pensare a uno svolgimento in avanti del racconto, in avanti anche se parla del passato. Una parola scritta al contrario ci spiazza, ci rende di nuovo principianti se non analfabeti. E così una pellicola riavvolta, una animazione riportata al fotogramma iniziale, una storia che finisce con il suo principio.
Il testo di Michele Cappetta, che la giuria del Premio Montano ha premiato per la sezione Una prosa inedita 2016, ricorda per certi versi il racconto di Tobias Wolff “Una pallottola nel cervello”: La pallottola fracassò il cranio… indietro verso i gangli basali, e in basso fino all’ipotalamo… innescò una crepitante catena di ioni e di neurotrasmissioni… entrò nel tempo cerebrale… *
In Rovescio un cortocircuito temporale ci riporta indietro e indietro, dagli esiti finali dell’azione alle sue cause, dal nucleo fluido della scrittura, ai suoi gangli basali, alla materia ancora informe, al nero di un inchiostro ancora da versare.
*Tobias Wolff, Una pallottola nel cervello in Proprio quella notte, Torino, 2001
Il sangue fluisce nel cranio, il cuscino si sbianca, le schegge d’ossa si saldano, la pallottola esce, segue una linea retta, s’infila nella canna del fucile, l’indice abbandona il grilletto, il cane viene disarmato, l’arma si abbassa lenta, pende lungo il fianco, dal letto il respiro è regolare, l’uomo ha pupille dilatate, occhi vitrei e scarlatti, il lenzuolo si sposta appena, l’acqua lambisce i piedi nudi, si ritira nel bicchiere, il bicchiere riecheggia, disegna un semicerchio sul parquet, si solleva ricolmo, il piede si allontana, l’uomo cammina all’indietro, si avvicina alla porta, percorre il corridoio, il silenzio dilaga, le narici si dilatano, il viso è contratto, bagliori alla finestra, lui entra nel buio, la porta lo incornicia, la oltrepassa deciso, afferra la maniglia, la trascina con sé, attraversa il giardino, un piede si solleva, l’erba si anima, giunge al capanno, entra di spalle, estrae il proiettile, lo mescola con gli altri, si separa dal fucile, chiude il lucchetto, si allontana risoluto, il bosco ronza, la luna dondola, la casa tace, l’uomo l’aggira, varca l’uscio sul retro, accende la luce, si avvicina al lavello, afferra uno straccio, le mani si bagnano, apre il rubinetto, prende la spugna, un piatto pulito, lo strofina, lo sporca, ne prende un altro, l’acqua fluisce, torna nel tubo, il getto s’arresta, lui percorre la cucina, poi il corridoio, una porta è socchiusa, s’infila nella stanza, si accosta al lettino, le labbra sono ceree, le guance umide, sul pavimento un bicchiere, un piede lo sfiora, il liquido vibra, l’uomo allunga una mano, scorre fra i capelli, avvicina il volto, dà un bacio lieve, discosta le dita, indietreggia cauto, chiude la porta, raggiunge il salotto, si siede in poltrona, fissa il camino, le rughe sono crepe, le lacrime le tagliano, il pianto è muto, nel fuoco cenere, si addensa piano, si reintegra in scoppi, il bianco dilaga, acquisisce volume, le fiamme s’attenuano, diventa una palla, la carta schizza, fugge dai ciocchi, sfreccia violenta, torna all’uomo, le mani si uniscono, le dita si rilassano, il foglio si distende, i denti stridono, il respiro è ansimante, il foglio è un documento, il fulgore lo incornicia, le parole sottili, gli occhi braci, sono lucidi e cerchiati, una frase risplende:
-Affidamento esclusivo a carico della madre-. L’inchiostro è nero.
Michele Cappetta è nato a La Spezia il 21 luglio 1988. Dopo una carriera scolastica movimentata si è iscritto a Psicologia a Parma. Ma, per caso, si è imbattuto in un corso di scrittura creativa online, che lo ha condotto ad un corso di narrazione fiction, che lo ha fatto approdare alla Scuola Holden di Torino. Di colpo si è trovato a suo agio nel costruire altri mondi, nell’immergersi nelle parole e nel tentare di riordinarle, organizzarle.
Ora lavora come bibliotecario e coglie le opportunità che si presentano.
E scrive.
Con “Nell’incudine del bene e del male”, Maria Angela Bedini, consapevole di condurre la propria esistenza “alpina e fuggitiva”
presenta un ben scandito componimento in cui si riferisce a esperienze intimamente specifiche (si veda l’efficace concisione del verso
“tagliavo le teste ai miei sogni”)
senza tuttavia omettere immagini che richiamano condizioni più ampie, talvolta in grado di provocare meraviglia: cito, ad esempio, la pronuncia
“impigliata tra le nuvole del niente”.
Maria Angela sembra vivere come sospesa tra circostanze esistenziali che tendono a restare divise, prive di connessione.
Scrive l’autrice:
“entravo nella vita con il soffio della poesia
e la poesia mi uccise
aprivo il libro alle pagine d’oro
ed era fatto di sangue”
mostrando come nemmeno la scrittura sia in grado di porre rimedio, di alleviare la pena.
La conclusione
“il bel giocattolo della poesia
giaceva inerte sopra il prato
come uno stelo rotto”
è davvero emblematica (e coinvolgente) nel suo breve sviluppo: un certo tipo di oggetto (il “giocattolo”) che ognuno di noi, specialmente da bambino, ha avuto tra le mani, viene collegato a un’immagine di biologica distruzione tale da non ammettere, nella sua estrema semplicità, alcun possibile rimedio.
Eppure la parola “bene”, presente nel titolo e nell’incipit, svolge, a mio avviso, il ruolo di rendere testimonianza di una drammatica esposizione a una non momentanea contingenza che non esclude, a priori, possibili vie di uscita: è da notare, sotto questo profilo, che lo stile preciso rende particolarmente evidente come nemmeno l’esattezza del linguaggio possa essere considerata la soluzione del problema.
Il dire insomma non basta o, almeno, non basta ancora.
Nell’incudine del bene e del male
nell’incudine del bene e del male
mi muovevo alpina e fuggitiva
come Silvia avevo pozze di buio
negli occhi come Ofelia nei fiori
mi do sepoltura come Giuditta
tagliavo le teste ai miei sogni
come Antigone cantavo i canti dei morti
la bellezza che crolla mi tormenta
inchiodata alla gravità dell’ombra
crocifissa tra quattro fiumi di parole
impigliata tra le nuvole del niente
o innocenza favolosa dell’inizio
o carità della fine
o pazienza infinita della guerra
la ferità della notte è troppo dura
per i miei denti
la mia veste strappata di fango
è troppo corta per questa lunga morte
o principe avventuriero
o scudiero dei deserti
o regine spaesate nel dolore
entravo nella vita con il soffio della poesia
e la poesia mi uccise
aprivo il libro dalle pagine d’oro
ed era fatto di sangue
davo carne alle parole ed erano spettri
chiedevo voce a quelle sillabe
ed erano lame mute
maria adolescente maria furtiva
maria che nel corpo hai il corpo del mondo
maria dalle scritture ferme
maria dei ciottoli macchiati di neve
maria che hai casa in ogni parola
e ferita in ogni crepa del dolore
nella selva dei nomi la vita
incredibilmente scorreva
nella malizia del giorno ogni cosa
mi appariva fatta di vene d’inchiostro
entravo nella sera con il libro
e il libro mi trafisse
pronunciavo i nomi e ogni cosa
gettava i semi dell’abbandono
per amore del mondo la vita appassiva
per la gloria della malattia la carne soccombe
per la miseria della morte spariva
la vita pungente con i suoi atti tempestosi
io non potevo non morire
sopra quei fogli accesi
dove tramavo a fiotti
l’assurdo inganno dell’infinito libro
io non sapevo che morire sopra
le pagine bianche e sbigottite
intrappolata nelle stanze dell’orrore
io non potevo che patire sopra
le pene della malattia
che va diritta verso l’errore
io non portavo che spavento leggendo
a sorsi il libro del dolore
il bel giocattolo della poesia
giaceva inerte sopra il prato
come uno stelo rotto
Oscillazione costante tra il sapere e il non volere. Tra una situazione di fatto e una prevista, futura, Germani, dunque, si dispone a un'evasione, prepara con cura lo scenario in cui il rifiuto sia progettuale. Dove però la condizione di "marcata conoscenza " ( trova sinonimo) sia fattore basilare: "Scriverò la mia voce / condannata/ nello strappo del tempo / e mi scorderò / di me, di tutti / una volta / per sempre".
Condizione di un'uscita dal mondo troppo carica di immagini del mondo, oseremmo dire. Allora, forse, rovesciando il guanto, si potrà vedere che il progetto di Germani contempla la possibilità di una parola nuova, di una nuova lingua che sappia inventare un nuovo mondo. Una parola perfetta e impossibile "dove tutto si perde / e si compie". E che inutilmente determina uno scacco per la scrittura, la quale deve farsi carico di questa visione: "È una parola/ impossibile, un gesto / che salta le righe, / l'inchiostro bianco / che serva l'abisso".
La ricerca di una lingua arcana è votata allo scacco poiché s'impasta col corpo dei morti, delle cose inanimate, dei ricordi che man mano ritornano vita. Così come la scrittura stessa si cancella nella voce di qualcuno che non c'è.
IX
quanti delitti
nei corpi
e adesso dove
sono gli indizi,
dove gli anni
che furono raggi
improvvisi
e domande, vene
aperte di fiumi
lontani,
voci d’amore
e d’abisso, partenze
nei mattini
più chiari
XII
mi nascondo sempre
eppure mi guardano
dalle pagine, mi
dicono caro
fratello d’ossa
e di cenere cara
voce deserta
lo sai
noi ti scriviamo
leggendo nella
tana, noi
siamo il vento
delle vocali
e la terra delle
consonanti,
siamo la tua
notte segreta
la lama lucente
della parola
assassina
Mauro Germani è nato a Milano nel 1954. Nel 1988 ha fondato la rivista “Margo”, che ha diretto fino al 1992. Ha pubblicato saggi, poesie e recensioni su numerose riviste, tra le quali “Anterem, “La clessidra”, “La Corte, “Atelier”, “Capoverso”, “Poesia”, “QuiLibri”. E’ autore di alcuni libri di narrativa e di diverse raccolte poetiche: l’ultima in ordine di tempo è Terra estrema (L’arcolaio, 2011), preceduta da Livorno (L’arcolaio, 2008, ristampa 2013), entrambe finaliste al Premio Lorenzo Montano, rispettivamente nel 2009 e nel 2011. In ambito critico la curato il volume L’attesa e l’ignoto. L’opera multiforme di Dino Buzzati (L’arcolaio, 2012). Nel 2013 ha pubblicato Giorgio Gaber. Il teatro del pensiero (Zona) e nel 2014 Margini della parola. Note di lettura su autori classici e contemporanei (La Vita Felice).
Anime di carne è un canto che, a partire dal suono, possiede una voce che abbraccia tutti gli affetti vissuti e vivi della propria terra. Quartine di versi che (con una coda di poesia in metrica più o meno sciolta), ritmano e rimano un’ esistenza che affaccia la sua interiorità sul bordo segnato da una necessità (esistenziale, emozionale o più semplicemente naturale) oscillante tra “inventare e inventariare un mondo).
Una poetica, dunque, della narrazione intima, ma dove non c’è un racconto, non c’è una sequenza, anche minima, di fatti o ricordi; questi, come solo la poesia sa fare, ci sono, ma emergono dai segni plurimi e altamente significanti dell’ esperienza immaginativa a cui l’autore sottopone la sua percezione del reale. “Segnature del ritorno” le definisce lui stesso, sperimentate in parole insonni con grande capacità musicale, e ancor più proiettate in una visione pensante che sogna e segna un ritorno di vita: non una nostalgia ingenua, ma sentire che il richiamo di ciò che senza tempo ha luogo si muove in un altrove che è un momento di completa umanità. Perché la consapevolezza poetica risiede proprio anche in questa capacità di circoscrivere senza limitare, avendo a disposizione una parola vibrante, diffusa, polimorfa. E sicuramente è questa capacità trasformativa il tratto distintivo che Enrico De Lea ci mette davanti: rimemorare la scena col tocco del poco che la concretezza del poema rinnova.
In tutto questo l’andamento ritmico e la rima non sono secondari, ma strutturali: per mantenere in armonia, viva e ondeggiante, il ricordo e la sua presenza che trapassa in un futuro già passato. Così le “anime di carne” sono forma e direzione di un sentimento che veste la forza di una poesia che ha nomi e luoghi fisici, estratti dal tempo che li ha resi “simulacri o teatri” e che la mente possedeva solo come materia vuota, senza uso alcuno, per farne materia di parola vivente. Ecco perchè, nonostante tutto, ciò che è passato ha mantenuto un senso; che è lo stesso della poesia che lo ricrea: cioè parola che era ed è cosa, nei vecchi fantasmi e nella vita presente. E’ così che, in questi testi, la scrittura si muove, con un transito che riporta il canto di una solitudine fuori dal “buio...bordo del precipizio”. Dove la dimensione dello sguardo dell’autore è consapevole di una realtà che neppure la poesia può far tornare, perché l’inizio è andato, perduto in un oggi senza memoria, senza suono.
Tutto il poema è intriso di questa malinconia, che non significa abbandono, ma pensiero in più, sovrabbondante, difficile da tenere e ingiusto contenere. Poetare è anche debordare, attraverso interstizi emotivi o cerebrali, ma sempre sensibili alle ferite invisibili, quelle più intimamente vere. Quindi più buio che luce nell’umano passare; e non perché non ci siano accenni o riverberi d’illuminazione, ma perché questi spesso illudono e deludono. Enrico De Lea ha una percezione dell’esistente senza retorica e senza dogmi di realismo, e questo gli permette di avere coscienza che la ricollocazione poetica dà luogo al mondo di tornare a essere, nel luogo per eccellenza da cui scaturisce la scrittura: la mente. E se anche il mondo può apparire non vivo, egli ce lo dice chiaramente: “dalle ceneri vinto, lo riscrivo”.
(ritmi per voce)
Presto, finché la lingua esiste.
(J. Rodolfo Wilcock)
Io ero, quell'inverno, in preda ad astratti furori. Non dirò quali, non di questo mi son messo a raccontare. Ma bisogna dica ch'erano astratti, non eroici, non vivi; furori, in qualche modo, per il genere umano perduto.
(Elio Vittorini)
(certezze)
Ancora incerto
tra inventare e inventariare un mondo,
so per certo
che stirpi di serpi
scesero dalle Rocche dei titani
divenendo umani,
subietti a altoparlanti della Storia,
ebbero dèi e un dio in minuscolo
al cospetto,
accesero bracieri per i crocchi
d’anime d’intorno - anime
tutte di carne, dal racconto…
primi ritmi del cunto
1.
Certo del sangue, del fiume transitato
a un dopo della manifattura e del telaio,
al deserto capitale, al male edulcorato,
era la piazza ieri, l’essenza del merciaio.
2.
La diaccia architettura ci descrive,
gli spazi vuoti del passato invano,
bureaux marciti tra presenze schive,
gente di fuori, scampati da un lontano.
3.
Il ciclico azzardo di Bisanzio grava,
grigia ipoteca sulla civica visione,
non fu solenne il cedere alla fuga
nel lume indenne della possessione.
4.
Sempre in cerchi concentrici si segna
quel perdersi infinito dentro il mondo,
dei padri, delle madri, che non degna
l’epoca, col tempo allo sprofondo.
5.
E non ha luce che dia luce vera
la pienezza del marchio, in un mercato
d’immagini in omaggio, da bottega nera
del corpo umano, affitto o comodato.
6.
Oggi mio padre avrebbe anni ottantotto,
quieto furore nel rosso che albeggiava
per quel bene comune e senza ascolto,
tra Ionio a tutta vista ed occhio della lava.
(30 ottobre 2010)
7.
Sperimento l’insonnia come un bene,
che non fa bene, innanzitutto, al giorno
successivo, per quella sbornia che trattiene
al mondo, parole, segnature del ritorno.
8.
Un piccolo e nodoso codice, o radice,
piuttosto, di una legge di padri luminosi,
brandirlo, onorarlo, contro colui che dice
solo un presente oscuro, di estimi fallosi.
Enrico De Lea (Messina, 25.7.1958), originario del territorio tra Casalvecchio Siculo, nella Valle d’Agrò, la riviera jonica, Messina e lo Stretto, vive e lavora in Lombardia.
Ha pubblicato le raccolte di poesia Pause (1992, Edizioni del Leone), Ruderi del Tauro (2009, L'arcolaio), Dall'intramata tessitura (2011, Smasher), nonché la sequenza-poemetto Da un'urgenza della terra-luce (2012, Ass. La Luna, nella collana diretta da Eugenio De Signoribus).
Suoi testi sono apparsi sulle riviste “Wimbledon”, “Specchio” (de “La Stampa”), “Sud”, “Atelier”, “Tuttolibri”, “Registro di Poesia” (D'If) e “Caffé Michelangiolo”. È presente nell’antologia Poesia di strada 2010 - Licenze Poetiche (Vydia, 2011) e nel volume collettaneo Parabol(ich)e dell’ultimo giorno - Per Emilio Villa, a cura di Enzo Campi (DotCom Press, 2013).
È stato in più occasioni finalista al Premio “Licenze Poetiche-Poesia di strada” (Macerata), vinto nel 2010, al Premio “Miosotis” - D'If (Napoli) e al Premio “Lorenzo Montano” (Verona).
Ha pubblicato in rete in vari siti e blog, tra cui “Rebstein”, “Nazione Indiana”, “La poesia e lo spirito”, “Compitu re vivi”, “Poetarum silva”, “Carteggi Letterari”, “Arcipelago Itaca”, “Atelier”, “Carte nel vento” - Anterem, saltuariamente pubblicando anche su un proprio blog: “da presso e nei dintorni”.
Parlare di filosofia affidandosi alla narrazione è ancora possibile. Alice Pareyson lo dimostra con questo racconto, che ha come protagonista un giovane Schopenhauer qui alle prese con una serie di esperienze che nel 1819 lo condurranno a scrivere un’opera che influenzerà fortemente, tra gli altri, Nietzsche, Freud, Jung: Il mondo come volontà e rappresentazione.
Attraverso un colloquio con la madre e sulla base di elementi simbolici quali una tenda di raso rosso e un vestito vermiglio, il giovane Schopenhauer scopre che i fenomeni non hanno un valore in sé, ma solo in rapporto all’essere umano, come mezzo della volontà. Scopre che il fenomeno è solo apparenza.
“Il mondo è una mia rappresentazione” registra il giovane a conclusione del racconto. Infatti il mondo lo veniamo a conoscere proprio come una rappresentazione che risulta composta da un soggetto rappresentante e un oggetto rappresentato.
Il soggetto in definitiva conosce con le forme a priori, le quali tuttavia distorcono la sua visione, tanto che possiamo definire la vita come un sogno. Ma è un sogno che talvolta ha i connotati della realtà, e dunque ingannevole (pensiamo, per esempio, alla conturbante figura del padre morto “in una pozza di sangue”).
È necessario imparare a guardare nel non-appariscente. Infatti, la realtà non è come ci appare. È necessario andare oltre. Quell’oltre che si trova in noi stessi. Ecco perché solo guardando in noi stessi possiamo trovare l’altra realtà: la volontà.
«Solo i più superficiali non giudicano dalle apparenze. È una lezione che ho appreso dopo lungo tempo di osservazione del genere umano. E ora che sono vecchia, ho capito che stoltamente, mio caro Arthur, tende a razionalizzare tutto; ascolta tua madre, figliolo! Quel tuo amico, con quel nome lunghissimo, il tedesco... Giorgio Guglielmo Federico Hegel! Quello coi superpoteri filosofici! O quello lì, il francese... quello di tanti anni fa, Renato ... di Carta?»
Arthur la guardò con fare annoiato, sospirò e la corresse con aria di sufficienza: «Cartesio, mamma!»
«Oh, certo! Beh, insomma, guarda loro! Si sono illusi di poter comprendere la realtà! Hanno preso e categorizzato ogni singolo aspetto del reale, ma, dimmi, si può?! Non sai che è una follia tentare di capirla, la realtà? E quell'altro, il Ghepardo, o come diavolo si chiama, l'italiano...?»
Il giovane, di nome Arthur Schopenhauer, fissò ancora una volta la madre con uno sguardo annoiato. «Suvvia, mamma, quando ti ricorderai i nomi? Si chiama Leopardi, per Bacco!» «Ecco, la Natura è matrigna? Sì! Io, invece, sono tua madre, e ti dico: ascoltami! Non cercare di metterti in rapporto con lei, non sfidarla, perché è inutile! Come con quella ragazza che hai conosciuto... Lasciala perdere; può solo far perdere te!»
Arthur alzò gli occhi al cielo. «E poi,» soggiunse, «guarda quello stolto di tuo padre, lui non si ricorda mai nulla!»
Fece una pausa, alzò lo sguardo e, come se avesse avuto una visione, pensierosa ed esitante, sussurrò: «Eppure l'ho sposato...»
Il giovane, da poco avviato allo studio della filosofia, sbuffò: sua madre era davvero testarda e si ostinava su questioni più grandi di lei!
Spesso, nel salotto di casa sua si svolgevano incontri con eminenti filosofi e pensatori venuti da lontano. Arthur, da bambino, si divertiva a stare a sentire di nascosto, da dietro la tenda di raso rosso che separava il soggiorno dal resto della casa.
Quando fu un po' più grandicello e, con un’espressione che sua madre odiava, "nell'età della ragione", venne ammesso anch'egli alle "sedute" della madre e dei convitati di salotto; sentì ciò come qualcosa di mistico, una sorta di rito iniziatico.
La madre si guardò intorno e voltò le spalle al figlio. «Ma… mamma,» cominciò piano Arthur, «Platone diceva che i filosofi devono guidare gli uomini verso la vera realtà, liberandoli dalle apparenze e...»
«TU LASCIA STARE PLATONE!!» lo rimbeccò la donna, seccata; si era girata di scatto verso Arthur e i suoi voluminosi capelli, vorticosamente ondeggiando nell'aria, avevano accompagnato il movimento fulmineo.
D'improvviso, sua madre s'era fatta pallida, quasi cadaverica; Arthur guardò un po' più da vicino e notò che le sue guance erano scavate, e due profonde occhiaie solcavano quel volto sciupato.
C'era qualcosa che non andava, ma cosa? Forse aveva visto qualcosa che l'aveva turbata? Forse che, davvero, com’ella diceva, convinta, la realtà era così orribile ed era meglio rassegnarsi e, anzi, contentarsi, per vivere una vita felice, lontano dalla noia e dal dolore? Questo unico episodio segnò lui e le sue successive elucubrazioni; gli tornava in mente persino nei sogni.
Una notte, Arthur non riusciva a dormire.
Scese piano le scale fino al piano di sotto, e arrivò di fronte alla tenda di raso rosso.
Aldilà, c'era il salotto della madre.
Pervaso da una sensazione di eroismo e di mistero, la stessa che lo coglieva quando si trovava a esprimere un proprio umile giudizio in mezzo a quelle anime eccelse, prese un lembo di quella tenda, di quello che gli era sempre apparso come un sipario sulla realtà del salotto e contò: uno, due, tre... Scostò bruscamente la tenda e... si pentì d'averlo fatto.
Sul tappeto indiano, dono di uno di quegli uomini illustrissimi alla madre, vide una scena raccapricciante, il corpo di un uomo immerso in una pozza di sangue.
Immediatamente realizzò con orrore che si trattava del padre.
A un tratto, da dietro la tenda, che era ricaduta a chiudere il soggiorno, comparve la madre. Indosso, un vestito vermiglio; nel volto, sempre più cadaverica, quasi simile al morto; sulle labbra, un maligno sorriso.
«Ciao, Arthur.»
Il giovane la guardò con orrore ed emise un grido strozzato.
«Ti avevo avvisato che è meglio vivere felici nelle apparenze.»
Arthur chiuse gli occhi e li riaprì, sperando che fosse un sogno - un incubo.
La stanza cominciò a girargli intorno, i contorni andavano confondendosi.
Svenne.
Una mano fredda e morbida sulla fronte lo fece rinvenire.
«Arthur, che ci fai sul tappeto?» chiese con dolcezza la voce di sua madre.
«Nulla, mamma. IL MONDO È UNA MIA RAPPRESENTAZIONE. E tale deve rimanere.»
rispose tranquillizzato Arthur, con un sorriso, e indicò alla madre la tenda di raso rosso.
La madre sorrise compiaciuta: anche Arthur aveva capito la lezione...
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Alice Pareyson è nata a Milano il 15 novembre 1994, nipote del filosofo Luigi Pareyson. Ha frequentato il “Liceo Classico Alessandro Manzoni”, attualmente è iscritta alla “Facoltà di Lingue e Letterature Straniere” dell’Università degli Studi di Milano, dove studia in particolare Lingua e Letteratura Russa e Lingua e Letteratura Inglese.
Con un saggio sul sequenziamento del genoma, nel 2012 ha vinto il 1° Premio all’International DNA Day Essay Contest 2012.
Potenza della poesia, quando è poesia d’autore.
Come nel caso di “Campo di grano con corvi” di Angela Greco, dove l’avan-testo dichiaratamente artistico cita significativi dettagli di due emblemi della pittura, molto diversi tra loro ma caratterizzati da una simile tensione interiore: Vincent Van Gogh e Edward Hopper.
Da questa premessa che ne costituisce l’inaudito sfondo poetico, Greco agisce nell’ambientazione inserendovi una struttura dialogica in versi, come se le figure, quasi appena disegnate, diventassero infine protagoniste in un’opera del tutto nuova, ricca di dettagli colti nel momento massimo della loro forza comunicativa.
L’accrescimento figurale, un uomo e una donna, determina nello stesso tempo l’approfondimento del senso, in un moltiplicarsi di scene e frasi nelle infinite riflessioni di opposti specchi, tracciando con disincanto le possibili declinazioni delle solitudini.
Il risultato ultimo sembra corrispondere alla scena finale di un film, con le immagini che passano dagli esterni di Van Gogh agli interni di Hopper, con i dialoghi come voci fuori campo, tra “una speranza in meno” e qualcosa che “non basta, non in questo momento”.
Campo di grano con corvi
“Campo di grano con corvi”:
Vincent dalla sua finestra vede il giallo e l’azzurro
e segni neri e nevrili come solchi sul suo campo.
Col procedere delle stagioni gli amici si sono diradati
come accade ai fiori di pesco
(perché sia più remunerativo il raccolto).
“Il diluvio non è ancora finito. Dubito che finirà” - dice l’uomo
“Hai sempre una speranza in meno” - risponde la donna
(intanto il campo e i corvi sono sempre più materici)
“Questa pioggia non ha motivo di cessare.
E il corvo non muterà il suo colore al ritorno”
A bordo tela Vincent è fermo, ma non le sue mani:
gli ulivi sembrano attraversati da un vento preciso e pensa:
la creazione è ribellione al caos.
Appartamento in città. Mattinata di lavoro.
Il giallo dei tigli tenta di raggiungere l’azzurro.
La finestra aperta rivela un insolito novembre
e la strada brulica di cani al guinzaglio.
Fuori dal quadro Hopper è anche più infelice
perso nei toni freddi di solitudini alienanti
le sue creature hanno l’ultimo secolo nello sguardo.
“Eppure lei guarda verso il colore del cielo terso
ribatte a se stesso l’uomo
“Non basta. Non in questo momento.”
(Il copriletto sgualcito dice che lei è altrove
nel tentativo di afferrare il significato che sfugge)
Il corvo passa anche su questo cielo
stabilendo somiglianze.
Angela Greco è nata nel maggio del ‘76 a Massafra (TA), dove vive con la famiglia.
Ha pubblicato:
- in prosa: Ritratto di ragazza allo specchio (racconti, Lupo Editore, 2008);
- in poesia: A sensi congiunti (Edizioni Smasher, 2012 di cui è in uscita la seconda edizione); Arabeschi incisi dal sole (Terra d’ulivi, 2013); Personale Eden (La Vita Felice, 2015 premiato con segnalazione al Premio Lorenzo Montano XXIX ed.); Attraversandomi (Limina Mentis, 2015, con ciclo fotografico realizzato con Giorgio Chiantini).
- Ha realizzato: Uscita d'emergenza (2014) e Generazione senza (2014), libri d'artista; Irrivelato segreto (2015), opera poetico-fotografica su alluminio; Messa a fuoco (2015), fotografia su legno, per la sensibilizzazione sul tema Ulivo di Puglia.
È ideatrice e curatrice del collettivo di poesia, arte e dintorni Il sasso nello stagno di AnGre (http://ilsassonellostagno.wordpress.com/); è presente in diverse antologie e su diversi siti e blog, tra cui Literary, La presenza di Èrato, Versante Ripido.
C’è grande sapere formale nella poesia di Giacomo Rossi Precerutti: lo dicono la regolarità del verso, il minuzioso controllo del ritmo, la sintassi essenziale e il lessico raffinato.
Queste caratteristiche permettono di far emergere chiaramente il disincanto diffuso che si respira nel testo, attraverso parole dense, evocative, combinate in modo serrato.
La perizia nella costruzione del verso, la lineare musicalità di questo, fanno da contraltare allo sgretolamento del senso, agli spaesamenti cui il vivere induce.
Non si parla di lievi increspature di superficie o di piccoli disordini quotidiani portati alla luce, ma di abissi e voragini, tumulti di un respiro più ampio contenuti in “ogni mondo remoto”.
III.
Il tepore opaco dell’estate
filtra dalle bocche tese
della città, dalle mani pesanti
che straziano il suolo informe.
Naufraghi sulle stanche vie,
dimenticati i nomi e le forme,
soltanto il suono dei venti
ci soccorre, fragoroso.
Affrettiamoci ad aprire le maglie
sfregiate del pensiero, a zittire
il silenzio che odia ogni
bellezza; non è sbarrata
questa pagina, questa oscura
natura dei luoghi mortali.
La salvezza degli indugi
si spalanca, controluce.
Giacomo Rossi Precerutti è nato a Torino nel 1988. Ha pubblicato presso Crocetti la plaquette Fuoco d’assenza (2006) e la silloge Sono io, quell’ombra (2010). Finalista con un inedito alla XXI edizione del “Montano”, è presente nelle antologie edite da Torino Poesia.
Tra realtà e iperrealtà
Sono le immagini, sfigurate, frammentate e sovrapposte in un’accumulazione verbale che ammassa scorie di materiali, impressioni sensoriali e mentali, a connotare la raccolta “Phanopoeia” di Emiliano Nichelini, con riferimento al loro irrompere nell’immaginazione visiva, che E.Pound, definendo con Phanopoeia uno dei tre principi dell’arte poetica, sperimentò nell’elaborazione di una poesia frantumata e vorticosa.
Sono immagini che l’autore addensa in sommovimenti di dettagli lasciati in sospeso, in un dire spesso privo di legami sintattici e interrotto da frequenti cesure: “patire il significato. bilanciando una messinscena sotto il cielo del corpo. al supplizio dei fiori.” e ancora: “stare sulle viscere scorticate. nella gola dire carne e laser. tra le mie braccia voi lo conoscevate. l'intero fracasso meglio. vento dell'alfabeto.”
E sono immagini colme di riferimenti personali, storici, cinematografici, dove il sé e il sociale, la realtà e l’iperrealtà si mescolano in uno squarcio scorticato della contemporaneità, “tra gli oggetti perturbati in lontananza dove / lo sguardo è a mani vuote / impigliato nel solco finale come falce / si fa sentire oltre il reale”.
Quasi sequenze filmiche spezzate e ricomposte senza nessi evidenti, tra inquadrature a campi diversi, “rapidissimi primi piani”, dettagli di figure e “labbra inopportune”.
Nel suo dire che trasforma la realtà e si trasforma, Emiliano Michelini sperimenta stili diversi, quali endecasillabi a rima incrociata, la prosa poetica, terzine, quartine, cinquine e versi liberi.
Come a rispecchiare, nelle frasi frammentate e nelle linee melodiche non coese, il caos personale e storico, che fa i conti con il senso di vuoto che pervade ogni cosa, come batte e ribatte l’autore, in ostinato, nel testo d’inizio: “la lingua batte sul verbo del vuoto / del vuoto ch'è vuoto nel vuoto del fuoco /… senso del nulla che sta sottovuoto / come maceria la lingua e il suo odore”.
***
la lingua batte sul verbo del vuoto
del vuoto ch'è vuoto nel vuoto del fuoco
solo del verbo se piange d'un fioco
fiore a due petali nell'ultravuoto
senso comune nel vuoto remoto
vuoto di senso non un fuorigioco
no niente sarcasmo né videogioco
ma senso che è senso se è fiore di loto
ma no non manca di senso o memoria
e' solo smarrirsi al cuore del senso
ciò che conta qui non c' è controsenso
non c'è né follia né lezzo di gloria
borghese di rappresentanza è scoria
soltanto una scoria niente compenso
in moneta o in natura solo un denso
strepitio di clangori è la storia
tutta la storia è soltanto rumore
o anche terrore del nulla del vuoto
del vuoto di senso vuoto che a nuoto
nuota nel verbo financo al suo odore
lezzo di senso parola d'onore
lezzo e memoria d'un ruolo devoto
senso del nulla che sta sottovuoto
come maceria la lingua e il suo odore
***
una memoria della vita trascorsa, se è
la poesia ad averlo ridotto così. oppure è
il sonno ad averlo ridotto così.
dalla guancia risale il sangue in faccia,
l'interno dei lati, fatti bene.
ha una bocca tra parentesi.
labbra inopportune
Pubblicazioni di Emiliano Michelini:
piccola plaquette poetica inclusa nell'antologia "scorie contemporanee" (e-book edizioni la gru,
2007)
partecipazione con un testo poetico (“io non so se / per questa vita è meglio”)all'interno del volume
collettaneo "Calpestare l'oblio" (e-book 2010, poi cattedrale 2011)
primo libro organico di testi poetici "La circolazione del sangue" maggio 2013 (Sigismundus
editrice, Ascoli Piceno, 2013)
secondo libro organico di poesie "La luna vista dal mc donald's" in corso di stampa presso Oèdipus
Editrice (SA)
presente con alcuni testi poetici su riviste cartacee ed on-line dal 2005.
Sebastiano Aglieco, Alessio Alessandrini, Pietro Altieri, Angelo Andreotti, Marcello Angioni, Cristina Annino, Gian Maria Annovi, Lucianna Argentino, Davide Argnani, Giuseppe Armani, Alessandro Assiri, Daniela Attanasio, Dino Azzalin
Luigi Ballerini, Paola Ballerini, Maria Angela Bedini, Daniele Bellomi, Primerio Bellomo, Pietro Antonio Bernabei, Armando Bertollo, Giorgio Bona, Leonardo Bonetti, Doris Emilia Bragagnini, Silvia Bre, Alessandro Broggi, Roberto Bugliani, Antonio Bux
Laura Caccia, Rinaldo Caddeo, Nanni Cagnone, Maria Grazia Calandrone, Giovanni Campana, Mario Campanino, Enzo Campi, Giovanni Campi, Martina Campi, Emanuele Canzaniello, Maddalena Capalbi, Michele Cappetta, Allì Caracciolo, Alessandra Carnaroli, Lorenzo Carlucci, Peter Carravetta, Alberto Casadei, Mauro Caselli, Guido Caserza, Alessandro Catà, Alessandra Cava, Roberto Ceccarini, Giorgio Celli, Alessandro Ceni, Rossella Cerniglia, Viviane Ciampi, Laura Cingolani, Gaetano Ciao, Domenico Cipriano, Roberto Cogo, Osvaldo Coluccino, Tiziana Colusso, Silvia Comoglio, Federico Condello, Nicola Contegreco, Antonino Contiliano, Marina Corona, Marcella Corsi, Elena Corsino, Erika Crosara, Albino Crovetto, Lia Cucconi, Miguel Angel Cuevas, Vittorino Curci
Mauro Dal Fior, Anna Maria Dall’Olio, Chetro De Carolis, Alessandro De Francesco, Enrico De Lea, Chiara De Luca, Lella De Marchi, Evelina De Signoribus, Silvia Del Vecchio, Pasquale Della Ragione, Stefano Della Tommasina, Tino Di Cicco, Vincenzo Di Oronzo, Letizia Dimartino, Edgardo Donelli, Paolo Donini, Antonella Doria, Patrizia Dughero, Giovanni Duminuco
Marco Ercolani, Franco Falasca, Gabriela Fantato, Anna Maria Farabbi, Roberto Fassina, Silvia Favaretto, Francesco Fedele, Federico Federici, Annamaria Ferramosca, Paolo Ferrari, Aldo Ferraris, Luca Ferro, Paolo Fichera, Massimiliano Finazzer Flory, Rita Florit, Giovanni Fontana, Luigi Fontanella, Biancamaria Frabotta, Kiki Franceschi, Tiziano Fratus, Mario Fresa, Lucetta Frisa, Adelio Fusè
Gabriele Gabbia, Miro Gabriele, Tiziana Gabrielli, Marinella Galletti, Carmen Gallo, Gabriella Galzio, Paolo Gentiluomo, Mauro Germani, Alessandro Ghignoli, Gianluca Giachery, Lino Giarrusso, Andrea Gigli, Patrizia Gioia, Carolina Giorgi, Marco Giovenale, Alfredo Giuliani, Lorenzo Gobbi, Marcello Gombos, Llanos Gomez Menéndez, Giuseppe Gorlani, Alessandra Greco, Angela Greco, Cesare Greppi, Maria Grimaldi Gallinari, Giovanni Guanti, Ermanno Guantini, Vincenzo Guarracino, Mariangela Guàtteri, Gaia Gubbini, Gian Paolo Guerini, Stefano Guglielmin, Andrea Guiducci
Giovanni Infelìse, Maria Grazia Insinga, Carlo Invernizzi, Stefano Iori, Gilberto Isella
Ettore Labbate, Loredana Lacroix-Prete, Marica Larocchi, Vincenzo Lauria, Alfonso Lentini, Tommaso Lisa, Oronzo Liuzzi, Andrea Lorenzoni, Francesco Lorusso, Ghérasim Luca
Loredana Magazzeni, Marianna Marino, Francesco Marotta, Giulio Marzaioli, Stefano Massari, Mara Mattoscio, Luciano Mazziotta, Daniele Mencarelli, Manuel Micaletto, Emiliano Michelini, Francesca Monnetti, Daniela Monreale, Emidio Montini, Romano Morelli, Sandra Morero, Alberto Mori, Alessandro Morino, Renata Morresi, Gregorio Muzzì
Luigi Nacci, Giuseppe Nava, Stefania Negro, Davide Nota, Marco Nuzzo, Francesco Onìrige, Cosimo Ortesta
Luca Paci, Marco Pacioni, Alessandra Paganardi, Carla Paolini, Alice Pareyson, Angela Passarello, Giuseppe Pellegrino, Camillo Pennati, Gabriele Pepe, Roberto Perotti, Luisa Pianzola, Renzo Piccoli, Antonio Pietropaoli, Pietro Pisano, Stefano Piva, Gilda Policastro, Chiara Poltronieri, Giancarlo Pontiggia, Nicola Ponzio, Michele Porsia, Maria Pia Quintavalla
Jacopo Ramonda, Giuseppina Rando, Andrea Raos, Beppe Ratti, Luigi Reitani, Vittorio Ricci, Jacopo Ricciardi, Giuliano Rinaldini, Alfredo Riponi, Gianni Robusti, Marta Rodini, Cecilia Rofena, Andrea Rompianesi, Stefania Roncari, Silvia Rosa, Sofia Demetrula Rosati, Lia Rossi, Pierangela Rossi, Giacomo Rossi Precerutti, Greta Rosso, Enea Roversi, Paolo Ruffilli
Luca Sala, Tiziano Salari, Luca Salvatore, Rosa Salvia, Lisa Sammarco, Massimo Sannelli, Marco Saya, Viviana Scarinci, Antonio Scaturro, Evelina Schatz, Fabio Scotto, Massimo Scrignòli, Loredana Semantica, Luigi Severi, Ambra Simeone, Stefania Simeoni, Maurizio Solimine, Lucia Sollazzo, Marco Sonzogni, Pietro Spataro, Fausta Squatriti, Giancarlo Stoccoro, Maria Paola Svampa
Antonella Taravella, Gregorio Tenti, Italo Testa, Matilde Tobia, Maria Alessandra Tognato, Silvia Tripodi, Luigi Trucillo, Guido Turco, Giovanni Turra Zan
Liliana Ugolini, Tonino Vaan, Roberto Valentini, Camillo Valle, Sandro Varagnolo, Matteo Vercesi, Maria Luisa Vezzali, Ciro Vitiello, Simone Zafferani, Paola Zallio