Il tema dello sguardo, del distinguere con gli occhi per conoscere, presente nella maggior parte delle poesie di questo volume è intrecciato indissolubilmente con un altro tema: quello della separazione e della fine che è poi quello dell'impossibilità di vedere. Vedere è dunque avere una relazione con un altro essere. Perdere una persona è come perdere gli occhi. Ma vi è anche un vedere con la sola mente, modo che si attiva quando nella perdita si ritrovano tute le immagini accumulate in precedenza. È solo a questo punto che la scrittura trova dichiarata necessità: "individuare uno ad uno / ogni grado di necessità / assegnare come un nome / una mappa affidabile di ogni tua / minuscola escoriazione". La scrittura ricostruisce l'immagine. Ne ricompone le fattezze con la sua tecnica restitutoria/restaurativa. Certo, appena consolatoria, ma necessaria. Essa consente di avere a disposizione un ulteriore spazio progettuale "abitare i soffitti cavi delle parole / e tendersi a raccogliere / solo i tempi imprecisi delle cose". La scrittura consente di allargare le maglie della visione, tessere relazioni tra i corpi del quotidiano e i corpi della storia mantenendo tutti gli avvenimenti sul piatto di un presente che, miracolosamente, è di nuovo sotto il nostro sguardo.
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Come abitare in un paese straniero
ogni notizia che giunga da te
abbatte aerei, rovina raccolti
costruisce mura intorno
a un cielo bucato
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Quanto basta a specchiarsi e riaversi
senza più attendere il nome delle cose
legare al letto ciò che non ci sopravvive
con la bocca sulla bocca difendere
ciò che non detto pure esiste
ma poi arriva
l’elenco necessario delle cose che hai
e non t’importa più di perdere
ciò che muto non ti somiglia
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Non restare buchi neri
fondi fedeli al vuoto
affilare la lama che separa
i lati bianchi della strada
nel paese che nasconde
il cielo nelle cave
essere terra non chiamata
invocazione senza nome
distanza da percorrere sottovoce
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Stringersi la gola e attendere
prima di respirare ancora
il tempo di cancellarsi la faccia,
il fiato, le rughe sulla fronte
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Nella gravità delle cose
che non cadono
sostenere lo sguardo
del disastro
Carmen Gallo è nata a Napoli dove insegna Letteratura inglese all’Università L’Orientale. Si occupa di poesia metafisica inglese, teatro elisabettiano, teoria del romanzo e critica angloamericana. È stata finalista due volte al premio Mazzacurati-Russo (2009-2010; 2011-2012), e ha ricevuto una menzione speciale al Premio Montano nel 2011. Alcuni suoi testi sono stati pubblicati su blog (Poetarum Silva, Poesia di Luigia Sorrentino, Transiti Poetici, Carteggi letterari, Formavera, Interno Poesia, Nazione Indiana, Nuovi Argomenti), in antologie (Registro di Poesia #3, 2010 e Registro di Poesia #5, 2012, Edizioni D’If, Napoli), e su rivista (Smerilliana, Argo, e a breve L’Ulisse). Nel dicembre 2014 è uscito il suo primo libro di poesia: Paura degli occhi, per L’Arcolaio, Forlì. Alcuni testi sono stati tradotti in francese da Clement Levy per la rivista online Remue.net.
Dal 2015 cura, con altri colleghi, il Seminario di poesia comparata presso l’Università Federico II, e da quest’anno partecipa al Laboratorio di poesia in carcere della Fondazione Premio Napoli.