L’arte della sapienza
‘La solitudine della Sapienza’, di Sofia Demetrula Rosati, è un’articolata riflessione in versi concernente il tema dell’umano conoscere.
Introdotto da un esplicito “prologo”, il componimento si apre con una pronuncia emblematica:
tra le mani compassi
le geometrie euclidee non compiacciono
il cuore si esercita sul ritmo e non
procede ma persiste
subito seguita da un’altra non meno esplicativa
la saggezza ha la stessa consistenza del tempo
anticipa costantemente il suo ritardo
Che cosa dire?
Certamente l’umana esistenza è esposta all’incertezza e all’enigma, nondimeno migliorare è possibile: davvero rilevante, perciò, è l’umana attitudine a interrogarsi.
Quanto, poi, alla poesia (praticata dalla nostra autrice con non comune scrupolo), si tratta di un dire particolarmente propenso a ridimensionare i riduttivi schemi logici per evocare un quid nel cui ambito gli uomini sono immersi più di quanto potrebbe, a prima vista, sembrare.
Insomma, per Sofia Demetrula, scrivere versi è la risposta, perché per lei il gesto espressivo veramente originale è fecondo proprio per il suo ricondurre il segno idiomatico all’esordio dell’incontaminato impulso.
Senza dubbio
la fioca luce del sole non intende
dare senso a ciò che illumina
nondimeno il poterlo scrivere è vivida testimonianza riguardante il mondo e chi lo abita.
Non resta altro da fare che impegnarsi nell’opera d’arte alla quale tutti si possono dedicare, ossia quella, appunto, di abitare meglio il mondo?
Questo sembra lo scopo ultimo di ogni conoscenza e, in maniera implicita, l’invito rivolto, dopotutto, dalla nostra poetessa. (m.f.)
la solitudine della Sapienza
dialogo con Qohélet - di Sofia Demetrula Rosati
prologo
s’interroga il sapiente Qohélet, l’uomo più scomodo dell’antico testamento. colui che non mette in dubbio il suo Dio, non chiede nulla e nulla si aspetta. non è il Giobbe che ci sollecita ancora oggi insinuando il pensiero di un Dio che, a fronte di una totale devozione, non sa elargire in base a criteri di giustizia. no, il Dio di Qohélet sembra, egli stesso, solo di fronte alla Sapienza. sembra totalmente disorientato da essa. non sapere come dialogare con Lei. non esiste Sapienza tanto grande da non poter essere offuscata da un unico solo errore. e allora a che serve inseguirla, desiderarla, possederla. se poi, Lei, non si fa possedere.
e allo stesso modo s’interroga il Poeta. l’essere per il quale il dubbio è l’unica certezza. s’interroga su quella stessa Sapienza che tra le sue mani si fa strumento consapevole d’inafferrabilità.
dialoga il Poeta con Qohélet e si fa sincronia di voci. lacerando con quesiti che conducono all’impossibilità di risposta. e se anche la Sapienza fosse, in ultima istanza, asapiente? se la Sofia non fosse altro che un’egocentrica manifestazione di sé? se l’atto stesso del conoscere fosse un passaggio diretto perché la terra torni ad essere polvere. e tutto solo fumo di fumi? e se solo la parola scritta riuscisse a farci aggrappare a qualcosa che somigli a delle sagome in carboncino? se la parola scritta fosse l’unica Sapienza? non per il contenuto, ma per il tratteggiare. se fosse proprio questo movimento, il movimento dello scrivente a dare ordine a ciò che non ha mai chiesto di essere compreso? e se la poesia fosse l’ordine ultimo al quale poter accedere? l’unico senso. la conoscenza di ciò che non può avere senso?
dialogo
1
Qohélet
Un cuore saggio procede diritto
Un cuore storto divaga
Io
tra le mie mani compassi
le geometrie euclidee non compiacciono
il cuore si esercita sul ritmo e non
procede ma persiste
la saggezza ha la stessa consistenza del tempo
anticipa costantemente il suo ritardo
storto è all’opposto per diritto
2
Qohélet
E il sole che si leva
È un sole tramontato
Ogni sarà già fu
E il si farà fu fatto
Non si dà sotto il sole
La novità
Io
ogni ripetizione sorprende l’istante nuovo che
la precede e quello che la insegue per ispirazione
la novità è in tempo relativo
non vedo nulla che non sia già stato
l’eternità inaridisce i terreni e li rende incolti
3
Qohélet
Che cosa è che fu
Se quel che fu è
E se Dio fa che torni
Il fuggito?
Io
se il fuggito torna
determina un percorso
l’inizio e la fine si avvicendano nella costruzione
dello spazio e del tempo il fuggito
percorrendo coniuga il verbo che si fa carne
quel che fu fu
quel che è è
4
Qohélet
E l’altezza mette paura
Ti agguantano spaventi per la via
E il mandorlo biancheggia
La cavalletta s’intorpidisce
Il cappero pende inerte
E l’uomo se ne va
Alla sua casa indefinita
Tra i piagnistei rituali
Delle donne nel Suk
Io
spaventare l’altezza per il
trionfo del nulla
anche se sono a terra
calpesto sudari sgualciti
la stagione è incerta
tra un finire d’inverno
e un’estate che avvizzisce
l’uomo se ne va
di lui solo un tratto in carboncino
le donne fanno festa nel Suk
5
Qohélet
Per qualche mosca
Si guasta un vaso d’unguento
Di profumiere
Poca stoltezza offusca
La gloria di un sapiente
Io
In un campo di stolti
poca sapienza dà gloria eterna
il giudizio condensa l’odore del giudicato
in piccole ampolle vendute a poco prezzo
al mercato delle spezie
6
Qohélet
Sapienza è meglio che ordigni da guerra
Ma quanto bene si perde
Per un unico errore
Io
Che fece il gran rifiuto!
ebbe a dire il poeta schivato
7
Qohélet
E vedo tutto il lavoro di Dio
ma a tutto quel che accade sotto il sole
un senso l’uomo non riesce a dare
gli uomini si affannano a cercare
senza poter trovare
e il sapiente che dice io so
resta senza trovare
Io
la fioca luce del sole non intende
dare senso a ciò che illumina
gli uomini cercano con le spalle curve
e la testa china tra la polvere
con poca saggezza qualcuno
raccoglie ciottoli lungo il cammino e
con passo pesante il viandante
spaventa le lucertole stese al sole
8
Qohélet
Due coricati insieme
si scalderanno
Ma a chi è solo
quale calore?
Io
la solitudine non consuma le ossa solo calore
un falò di libri ho dovuto organizzare
per la lunga attesa del gelo
ho sperimentato giacigli di parole
coricàti sul letto le nostre scapole non
hanno bocche per dialogare
voltàti ognuno dal proprio lato
con una pietra focaia in mano
senza sapere cosa farne
La traduzione del testo di Qohélet qui utilizzata è tratta da: Guido Ceronetti “Qohélet. Colui che prende la parola”, Adelphi edizioni, Milano, 2001.