In questo numero presentiamo alcuni poeti segnalati per “Opera edita” nell’edizione 2013 del Premio Lorenzo Montano: Alessandra Carnaroli, Romano Morelli, Anna Maria Farabbi, Adelio Fusé, Alessandra Paganardi, Lucetta Frisa, Beppe Ratti. A distanza di tempo dalla loro pubblicazione.
A distanza di tempo, rimane attiva la possibilità di riscoprire o di mantenere ancora viva l’attenzione su libri importanti. Tutto questo si inserisce in maniera naturale nella costante opera di affermazione della poesia che il “Montano” svolge ininterrottamente da 28 anni.
Per continuare ad alimentare questa storia, per rendere ancora più ricca questa geografia letteraria, ricordiamo a tutti i poeti, saggisti e prosatori che il termine ultimo per inviare i lavori alla 28^edizione scade il 15 aprile 2014.
scarica il bando della 28^ edizione
In copertina: fotogramma dal video “Lettere incompiute” di Camillo Valle.
La violenza degli uomini sulle donne, è questa quella che viene di volta in volta definita in gergo politico-istituzionale “violenza di genere”, “violenza sessuale”, “violenza (di chi?) contro le donne”. Non solo una questione di lessico. E’ la sentenza di scomparsa del soggetto che offende e del perché offende. Infatti fatalmente perdendosi la definizione chiara del delitto “violenza degli uomini sulle donne” si opera quella mutazione per la quale la rappresentazione del discredito finisce per soffermarsi sulla presunta incapacità delle donne a salvaguardarsi. (...)
Stefania Cantatore, dalla nota che accompagna il volume
(...) Una sussultante Spoon River sfiammante breve, fitto di putrefazioni e ancora urlante il suo dolore, è quel che erge il suo canto sulle coste di questo mare di terra. Sepolcreto della carne incendiata per sacrifici alieni e incomprensibili, altare sanguinante proteso verso il nulla; ed è, lo stesso alieno, lo stesso incomprensibile, la stessa calamita del nulla, che si accalcano da ogni angolo e da ogni cronaca sui lembi che abitiamo, che ci abitano, a togliere senso e respiro. (...)
Tommaso Ottonieri, dalla nota che accompagna il volume
Per un recente approfondimento teorico di Stefano Guglielmin:
http://golfedombre.blogspot.it/2014/03/alessandra-carnaroli.html
da “Sfilate” (I fatti a sinistra, le colpe a destra, le donne nel mezzo)
Alessandra Carnaroli (1979) ha inoltre pubblicato “Taglio intimo”, Fara 2001 e “Scartata”, finalista Premio Delfini 2005.
L’essere umano è essenzialmente un essere interrogante.
Sa di non sapere; non può non sentire attorno a sé il Mistero che si aggira irrequieto, non può non chiedere ragione della propria morte. Dunque vuole, deve sapere. Pascalianamente, ciò lo rende la creatura più miseramente grande. (...)
Non c’è quindi né verità né risposte, solo un cercare.
Ma, mentre inevitabilmente, “naturalmente”, si interroga, l’essere umano vive, cioè si consuma, cioè subisce il tempo, anche sotto forma di Storia – il tempo collettivo che collide con quello biografico, lo stritola e dilania – e alla fine muore: la poesia è la forma linguistica più appropriata, raffinata, più pienamente umana per esprimere questo replicarsi eroico di uno sforzo che si frange ogni volta contro l’eterno Zeitnot dell’interrogare, che ogni volta si piega sfinito sotto l’inesauribile inadeguatezza del linguaggio.
dalla Premessa dell’Autore
da Poesie 1995-2010
1
Solo qui mi piace, solo
ora, solo così.
Solo: ritto sul bordo del vuoto abisso, fiero
e sconfitto,
nella notte fradicia a fissare la morte che mugghia e chiama
di sotto,
e stùpido
sfidare il fitto silenzio eterno –sopra-,
che ghiaccia e striscia nel buio.
Né traslocare nelle Utopie
né chinare pavido il muso:
ma
qui, inchiodato, a parlare di spettri.
3
Canto quindi l’Essere
che si sottrae, l’ineludibile richiamo,
la vocazione mortale dell’Altrove –
metastasi dell’incubo
che ci perseguita e vuole
vittime tante e
sempre nuove –
e che ci rode, ci spinge
lontano da oggi, da qui, da noi.
Questa nostra Chimera canto,
questo sogno, questo mostro
duro,
questa menzogna grande
che ci fa pellegrini senza dio,
questa rogna
che ci mangia
7
Adora pure l’icona di chi è passato
in quel solito estremo rifiuto
del tempo tenace;
puoi farne un altare
ma sappi che comunque passa e cancella
ma vero è che contro il tuo andare testardo
mai il risultato
Dove hai creduto di abitare
eri solo ospite.
Romano Morelli è nato a Liegi nel 1953. Vive e lavora a Padova.
(...) Abse è il nulla; la stupefazione di ciò che è inesprimibile fino all’ammutolimento e, per questo, sancisce l’impossibilità di una minuziosa, totalizzante, descrizione e spiegazione. Dichiara una volta per tutte la negazione del dire fino in fondo; significa limite insuperabile; (...)
da una nota dell’Autrice
Trama
ho attraversato l’abse, il nulla
nel nulla ho trovato un paese
nel paese sono entrata
attraversando questi nodi pubblici:
la prima porta
la bottega dell’acqua
l’osteria del buio rosso
la piazza
la scuola
la biblioteca
l’ostia
l’asilo
l’ospizio femminile
il cimitero
ho infilato ogni filo creaturale nella mia cruna interiore
nascendo questo poema
io viaggio e canto
portando ovunque comunque
l’io profondo nel mio corpo che è la mia casa
La carovana di sale
preistoria del poema
link
Esco dal paese. Credo sia inverno perché nevica. Il cielo è bassissimo. Ha una densità perlacea che si sfalda in petali ghiacciati, toccandomi. Il freddo imbianca il sangue e il bianco si vede dentro il mio corpo, nella vastità della notte che è nel mio corpo.
Mi siedo su una pietra di confine. Apro la matrioska che Paola Febbraro mi ha regalato prima di morire, la sfoglio come una cipolla cosmica e mi sembra di piangere. Ha le stesse qualità della conchiglia: diffonde onde sonore.
Penso alla cultura orale delle campane, alle creature che si raccolgono attorno ad un batocchio e ascoltano. A coloro che, per comunicare, accendono falò in cima ai colli, ai monti, ai fari di terra tra le dune del deserto. Di popolo in popolo, di paese in paese.
Anna Maria Farabbi è nata a Perugia nel 1959. Ha pubblicato numerose opere di poesia, narrativa, teatro, saggistica e traduzioni dall’inglese e dal francese.
Preceduta da Il boomerang non torna, (2003), Orizzonti della clessidra distesa (2005), Canti dello specchio bifronte (2009), L’obliqua scacchiera conclude una tetralogia degli “oggetti anomali”.
È certo inconsueta una scacchiera inclinata, ed è tanto più sorprendente la posizione dei pezzi suoi “ospiti”: questi, a dispetto di una superficie di appoggio, che congiura contro di loro, non cedono allo scivolamento e rimangono ben saldi e ritti, perfettamente in equilibrio. O così appaiono, in una orgogliosa dichiarazione d’intenti e nella proiezione di una sfida, agli occhi dei giocatori. Anzi dell’unico giocatore. Il quale, unico suo malgrado, affronta anzitutto se stesso: è lui, e nessun altro, il suo proprio avversario, persino ogni avversario possibile. Alcune partite non consentono fughe.
Dalla nota redazionale
Dalla sezione “L’ora cava”
4
abito uno spigolo in linea
con il mio omonimo più distante
non un fremito di ciglia:
eppure è possibile
mi deposi in una gabbia illimitata
tempo a seguire e il sottosuolo
nell’intimo perforai
rimpiango la donna allegra
i suoi capelli baciati dalla pioggia
ma l’uomo ostentava dita lorde
le unghie difformi
quale la ragione del filo
e di un serrato tenersi?
facitore e guardiano
di rapsodici passaggi
l’enigma si rinsalda invano
22
è pur sempre un indefesso tramontare
che ammassando sottrae
alle tempie non si ammaina
né concede amnistie il pulsare:
da sé in sé s’inietta
soffio oblungo infine
suono della neve
antevita e postvita
24
è questa l’ora cava
di un finto compiuto prodiga
di ogni persistenza
ultima dissolvenza
sblindato riflesso mi attendo
ma nello specchio non s’infrange
il mio originale
Dalla sezione “La Quinta stagione”
80
elisio sfacelo di fedi
e rivalsa di sogni insopiti:
il sasso che nell’acqua non affonda
o i lombi di Venere
che dilaniando rigenerano
o là nell’oscuro la luce
che s’irradia ferma
sotto il cielo in Natura avvizzita
cartocci di foglie bistratto
ma c’è ancora sangue:
non sono asciutte le vene
della Quinta stagione
Adelio Fusé (1958) vive a Milano e lavora nell’editoria. Ha pubblicato, oltre ai libri di poesia citati in premessa, saggi su Sade, Kafka, Sartre, Handke, Eno (Materiali Sonori-Auditorium 1999) e il romanzo North Rocks (Campanotto 2001). Ha fatto parte della direzione di “Legenda” (Tranchida 1988-1995).
(...) Alessandra Paganardi ha naturale familiarità con il dolore della mente, con la malinconia dell’esistenza, con le virgiliane lacrimae rerum che si addensano su ogni destino, ma sente la sua poesia come arma complessa e potente di salvezza: complessa, perché riverberando il dolore nelle parole c’è la possibilità di accentuarlo, ma potente, perché trattando l’angoscia dentro la scrittura, dentro la materia di parole vive che ricordano e reinventano, la si può anche esorcizzare. Da sempre, parafrando Char, il poeta non può che fare arte di fronte alla morte.
Dalla prefazione di Marco Ercolani
Dalla sezione “Farsi altro”
La cava
È duro il salto – come questo marmo.
Bisogna flettere il calcagno freddo
alla salita, rendere le suole
alla polvere che si fa più scura
nel passo. Appiattire il respiro
alla pietra. Poi l’ultima stanza –
quell’orecchio di Dionisio svuotato
nel venerdì di Pasqua, dadi immensi
allineati come case a schiera.
Non sarà mai acqua
il fiume – è un rumore la voce
impigliata tra fango e sassi.
Ci siamo messi in fila anche noi –
rocce cave per il tempo che attende
di tagliare i ricordi, di spostarli
via dalla mente in blocco, uno su uno.
E tutto ricomincia a farsi altro.
Dalla sezione “Museo e parola”
I
C’è un horror vacui fin nelle pareti –
non amano l’assenza, non si deve mai
aspettare. Prima un po’ di brutta carta
da parati, quindi l’invasione
barbarica dei quadri.
Questi fiori sembrano tutti veri
- i seni all’erta, ripartiti in due
dal sentiero del cuore. Che la vita
mimi la vita, dove non sa andare
dritta e bella. I vasi alle finestre
paiono finti, covano l’abbraccio
osceno di una bambola di gomma
dicono un’intenzione di cemento
di stare sempre qui, di non morire.
Dalla sezione “Voci in ombra”
VII
Di quella pietra nel cemento
non è rimasta che un’impronta vuota.
La terra ha una memoria minerale
si riempie quando passa forte il vento
o il piede indelicato del passante
a scalciare la vita
allora il vuoto sente ancora il grave
un diapason che mai nessuno vede –
la cartina si tinge dietro gli occhi
se ritorna il dolore.
Alessandra Paganardi (Milano, 1963) ha pubblicato, oltre a varie plaquettes, le raccolte di poesie Tempo reale (Novi Ligure 2008), Ospite che verrai (2005), Poesie (Facchin Editore 2002).
Ha pubblicato la raccolta di saggi critici Lo sguardo dello stupore: lettura di cinque poeti contemporanei, Viennepierre edizioni 2005, finalista al Premio Nabokov 2008.
Dal 2003 è redattrice della rivista “La Mosca di Milano”.
“L’emozione dell’aria”, chiama l’autrice la musica (...)
L’autrice passa dapprima in rassegna i tempi del metronomo (adagio, allegro, presto, ecc...) e quindi la dimensione fisica temporale, il rapporto essere-tempo o, anche, le modalità dell’accordo dell’essere col tempo. (...)
C’è, sotto l’aspetto formale, questo richiamo dell’autrice al passato, alla tradizione, reso evidente dagli omaggi ai vari autori citati dalle diverse poesie, e dunque il riconoscimento di quanto di salvifico dal passato ancora ci viene: la musica / desiderio senza parole / annuncia / allude / elude / spacca l’opaco / va e viene negli strumenti / fa festa.
Dalla nota di Gianmario Lucini
da Desiderio senza parole
Allegro
agitazione
aria di strana festa
in seguito nomineremo
accordi
umori
distanze
altezze
timbri
che di colpo mutano registro
alterano prospettive
rovesciando mondi
ma per questo
bisogna attendere
l’inizio è sempre vivace
Presto
non va sprecato il tempo
all’inizio sembra lento
presto è rapido rapido
noi si indietreggia e avanza
sarà sudore o danza
immobile ancora e canto
immobile in gola e si sa
che l’incontro annunciato
di messaggeri e messaggi
non c’è mai stato
né ci sarà
Tempo di marcia
si dovrebbe solo obbedire
obbedire a un unico ritmo
bianca linea e nient’altro
che spicca su questo nero
e non spezzare
mai le simmetrie non spezzare
mai le simmetrie che marciano
marciano senza mezzi toni o cadute
e ci sgravano
dal pensare e dal patire
Lucetta Frisa è poeta, traduttrice, lettrice a voce alta. Tra i suoi ultimi libri di poesia: La follia dei morti (Campanotto, 1993), Notte alta (Book, 1997), L’altra (Manni, 2001), Se fossimo immortali (Joker, 2006) e Ritorno alla spiaggia (La Vita Felice, 2009).
(...) Quanta numerologia? Quante lingue? Quanti anagrammi? Quanti acrostici scalari combinati a mitografemi? Quante interpretazioni riuscite a provare, per pelle e per potenza cerebrale? Nel contagio interrogativo s’annida la cifra stilistica di Beppe Ratti: una consonanza che è risonanza, quasi una tac delle emozioni e delle reminescenze – per pungolare il Lettore all’interazione, per spronare il Lettore a sondare le reazioni, peculiari e soggettive, suscitate da una poesia entusiasta, etimologicamente accesa per divino scintillìo.
Dalla prefazione di Chiara Daino
da “Talavera de la reina”
***
carnets: che narcisistico accanirsi
in iscariota cartastraccia, se scrivere è
scavare varicose, sceverare crevasses e
viscere, survécu
poiesi, aposiopesi:
achrome carme un bianco abc.
dittico apodittico:
aritmetica metrica,
ermetica, meretricia
lettera, lettiera rettilario irrealtà.
linguistica: papille, papillons,
Saussurre sussurro lips pispillìo os-oris.
encriers, un arco iris, temperare pencil,
pinsel tremper
a3: crepacci
c4: calamai; arcobaleno
***
una beck’s, un amaro:
la sete extinguenda
sed lex to rape
terapia –d’amore?-
sixteen exaltée
cucurucucù cuore.
tra lux e brux
ori-gine, vortex
cadavres exquis
rivederci ex aequo
tu quoque tacque
abràxas bruja
bruxa la ex
(distico: accadesti, distacco,
learn anelare unreal.
poesia posdatata: Aspasia depossedetti.
polvere lips overlap beLIEvers,
frottole lover fallout afterall leftover)
***
tantalo: mai, nunca, nunc, maintenant.
cancello nichil Ancel silence:
oudè en rìma,
ode in rima
(i titoli tolti, litoti, altolì:
nier dernier, rimozione rimo –
e rimiro mir, abc acabo)
Beppe Ratti è nato nel 1964 a Milano.
Ha pubblicato “Alfabeto fallibilità” per Gattili Editore, “Atlant idéal catraz” per Sartoria Utopia.
Ogni lettera è misteriosa. Nessuna sa esattamente cosa le è concesso di scrivere...
Questo è l’esergo del brevissimo “corto” poetico di Camillo Valle. C’è il gesto della scrittura, la penna e la mano, scavato nel simultaneo esistere – né vicino, né lontano – della città rappresentata da ciminiere e condomini, oltre che dalla natura che può esserci al di là, reale o sognata, immaginata. I nitidi dettagli cromatici dell’attrice sfumano nei non colori dei non luoghi e viceversa. Il sovrapporsi delle cose avviene quasi naturalmente, tra l’ineluttabile e il possibile. In questo spazio, è vero, “ogni lettera è misteriosa”. Tutto lo scorrere delle immagini trova eco nella tensione musicale.
Per un approfondimento sull’autore: http://indipendentidalcinema.it/riflessi/