fin troppo facile intuire tra le righe le cesure
tutto il recidere delle forbici, tutto il piovere nel buio
a frenare l’entusiasmo di esser neanche a metà strada
da vamos a la plaza
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Chissà Jonas come si scrive duemila
su questo muro che è pelle da sporcare
perché colla ce n’è ma più nulla da attaccare
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Di questa violenza a lato che riparte in storie fisse
contro la noia delle luci spente, degli anni che ci sembrano
risplendere soltanto quando escono di scena
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Ognuno si sente i libri addosso
come evoluzione di una lettura nervosa
che da carne diventa superficie
delle periferie dove ci hanno infilato
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Se devo esser povero bisogna che ci creda
che resti all’ingresso del sonno di domenica
coi piatti da assaggiare imparati da un profilo
se è carne o benzina quella che dobbiamo versare
su questo cuore obeso a cinque litri da una tanica
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Coi mali immaginari a tappezzare la tana
con la croce al collo diventare come loro
parenti alla lontana
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La voce più bassa il nemico più grande
piano piano torna ferro il legno
non c’è più niente di civile che ci lascia in pace
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Il sostegno scucito dal gorgoglio dei morti
il nostro cercare con gli scarti
Alessandro Assiri con la silloge “In tempi ormai vicini” sceglie di riportare alla nostra attenzione un tema storico, politico e lo fa con quella appassionata presa in carico che è tanto più vera quanto più è amara, a tratti cinica. In ogni caso coinvolgente. Le stragi di Brescia e di Bologna costituiscono un unico contenitore delle emozioni e dei pensieri dove la sorpresa, l’annichilimento dei presenti, passati in un istante dalla quotidianità alla tragedia, sollevano appunto la ferale questione: quale distanza c’era tra quotidianità e tragedia? Non era già tutto presente? Non dovevamo già essere tutti consapevoli della situazione storica e poi qual è la differenza, visto che esiste, tra l’essere sopravvissuti alla tragedia e la voglia di lottare affinché non più accada?: “senti come tace il tuo pugno alzato / adesso che indietreggi perché sei rimasto vivo / tra una scarpa calzata e un’altra perduta”. Naturalmente la voce acre di Assiri nel raccontare anche l’esito processuale non si esime dall’esprimere giudizi e critiche, ridisegnando il profilo del poeta impegnato: “Entra la corte svolazzan le toghe papaveri alti il resto son seghe / tutti i colpevoli trovati in serata con alibi pronti e corsia riservata”, giudizi che non risparmiano anche il modo in cui si credeva di essere impegnati in quel tempo storico, forse coinvolti più in un gioco che in una azione incisiva e responsabile. Ma il tempo storico è sempre anche il tempo presente della coscienza e allora un confronto tra i due stati dell’io porta il poeta a scoprire un orizzonte solo falsamente mutato dal digitale o dal precariato, ma ancora più inconsapevole e assuefatto: “Un paese che si indigna a gettoni di presenza / ha dimenticato che piazza è azione in potenza”. Eppure, il poeta ci avvisa che sono proprio i morti delle stragi a costituire per noi la possibilità di un passaggio a una più civile vita: se vivi fra noi vivi. (R. P.)
Alessandro Assiri è nato a Bologna nel 1962. Da molti anni vive tra il Trentino, Bologna e Verona, città dove gestisce la Libreria Bocù insieme alla sua compagna. Si occupa di arte e promozione culturale. Tra i suoi ultimi volumi di poesia ricordiamo Modulazione dell’empietà e Quaderni dell’impostura pubblicati con Lieto Colle, La stanza delle poche righe (Manni), Cronache della città parallela, poemetto in versi insieme a Serse Cardellini, Thauma Edizioni. Scrive in http://lastanzadellepocherighe.blogspot.it