da “I fiumi”
Il traguardo della pioggia 1
Il dolore non è passare di qua
per la lunghezza identica
tra gli assalti nelle stanze sopra il terreno
neutro dei soldati tra le mie lingue enormi
il segreto che compare in superficie
e nuota e si fa lungo qualcosa che sarai
nel metallo più semplice,
io non voglio saperlo
il ricordo non ha amato mai ha galleggiato
in voi per me i morti che conversano
e preparano lettere
niente da vendere in voi per me
il sole in collera il mio tu.
***
Me dentro cammina sicuro questa campagna
un paesaggio mano nella mano certo che tutto finirà,
soltanto un istante ritto in piedi poi l’innocenza
della luce depreda luminosità via
reni mandrie febbre
chiunque trova ciò che aveva cercato,
nulla era fuori come tutto fuori di me.
da “La natura delle cose”
Splene
Dove le acque dolci e salate s’incontrano
spigolo il piede sul tuo passo e i pesci
emergono all’angolo dell’occhio
con le tibie sommerse del fiume,
l’elenco del mare:
livido un fiume di fatali acque letargiche
richiama i petti sfondati degli uccelli,
descrive un tracciato e cammina
quell’acqua tagliata:
acqua desolata
amata soltanto dal silenzio delle piante,
dai gesti e suoni d’un solitario animale
dove s’incanna
il fiume all’orlo della vasca e
il mare accelera in eterno
gli spiriti mangiati negli stomaci dei pesci.
La ricerca della narratività nei testi poetici di Alessandro Ceni si compie proprio mentre continuamente se ne interrompe il fluire con associazioni non lineari. Il racconto allora si compie in maniera simbolica, giacché al livello di concatenazione di nomi e verbi e aggettivi la profusione di rimandi ad altro annulla l’accumulo e pertanto quel che resta parrebbe un rimando al simbolico in quanto tentazione, ma anche disillusione costante rispetto al traguardo: “Oggi, / sobborghi di fiato, il tempo dissellante / il pungitopo, demoni domani in chiesa di colui / che accende seni di menta, attribuendosi una / maternità da uomo dagli alberi fino al sole”. Non a caso il vuoto è parola agganciata sia al soggetto (“il mio ovale nel vuoto”), sia alla religione (“in un sudario vuoto”), sinonimo della parola “senza”, la quale si presenta con ancora maggior frequenza, elencando la lista di ciò che manca e rende il mondo letteralmente inabitabile. A disegnare una scenografia simmetrica di attese concorre a tratti il tono supplice, a tratti raggelato, per la disillusione: ”la morte è a destra e dispari: / non vedo cimiteri adatti per noi”. Il cosmo sia interiore sia esteriore, come esploso, frantumato, si rileva non ricomponibile. Persino gli amanti sono caduti nella trappola: “E ci separerà la vita non la morte”. D’altronde, con il procedere della scrittura, anche il dettato si fa più asciutto e poco incline all’aggettivazione. Anzi pare che i sostantivi finiscano col bastare a loro stessi o che si accompagnino in ogni caso ad aggettivi che acquistano la densità di un oggetto: ”Noi eravamo fermi, vi dico, il mare ci portava / come immobili sogni dentro un’immobile mente” fino all’esergo in cui il cosmo pare franare nell’io, spodestandolo persino della propria identità: “così, dinanzi a voi, piante mi nomino al neutro / l’indivisibile, il sempre scisso”. (R. P.)
Alessandro Ceni è nato a Firenze nel 1957. Tra i suoi libri di poesia ricordiamo: I fiumi, Marcos y Marcos 1985; La natura delle cose, Jaca Book 1991; La ricostruzione della casa, Effigie Edizioni 2012. Oltre che poeta è traduttore e pittore.