I. LIMEN
È visione il segno
nel bianco
della pagina campo
e coltura
È e non è
sa e non sa
il suono dell’ombra
pro-logos e impronta
sulla bocca dell’antro
nient’altro
II. «NEL CAOS DELLE COSE»
Dal di dentro all’oltre
tra l’origine
e l’in(de)terminato
è un tumulto il principio
la fine in-finita
l’eterna contesa
«a sfera radiosa»
tendono
le cose prime
il respiro e la carne
nell’ora dell’ignoto
che viene
III. TRA SILENZIO E VOCE
In soglia - di soglia - in soglia
l’Uno e il suo contrario
davanti agli occhi
della Notte
l’«Antinotte»
spalanca il Nome
dell’essere-assenso
al silenzio
duplice eco dell’Altro
altrimenti che della parola
che si fa incanto
e nostalgia
dell’impronunciabile
Con “Dal segno alla parola”, Tiziana Gabrielli presenta una sequenza elegante, nel cui svolgersi gli spazi bianchi paiono esprimere, più che il silenzio, la muta cadenza di un sussistere poetico.
In particolare, alla terza sezione, la poetessa si sofferma sul gioco dei contrari, ossia su come ogni concetto venga definito anche per via del suo opposto, in un contesto che, ben lungi dall’essere considerato sterile, è avvertito quale essenziale àmbito dell’umana esistenza.
Un dubbio viene suscitato dal titolo, perché, se la parola è segno, appare impossibile ipotizzare il passaggio da un’entità a se stessa.
Forse per segno s’intende una traccia a priori confusa, poco chiara?
Non saprei, giacché il segno, proprio in quanto tale, indica qualcosa e, dunque, è già lingua.
Un certo gesto, ad esempio, può benissimo sostituire una certa parola.
Forse s’intende, con atteggiamento incline a una sorta di surrealismo idiomatico, il passaggio da un tratto a un identico se stesso? Oppure a uno eguale e contemporaneamente diverso?
Il persistere del dubbio non m’impedisce di apprezzare una poesia davvero espressiva, in grado d’insinuarsi all’interno della lingua con intelligenza e sensibilità.
E qual è l’esito di ogni buona versificazione se non quello di far emergere, tra le pieghe del linguaggio, vividi tratti capaci di riferirsi in maniera originale all’accidentalità del nostro stesso esistere?