Collocarsi tra due mondi stando in bilico su una parola: parlare di scienza o, almeno, utilizzare il vocabolario relativo all’attività scientifica per virarne subito il significato costruendo un’immagine come se si stesse osservando un quadro, è l’operazione da equilibrista che Carlo Invernizzi nel suo “Secretizie” attua. Ma è, in qualche modo, anche reclamare al proprio ruolo poetico una capacità di rappresentare che non è immediatamente visibile negli astratti bollettini che rendono la conoscenza scientifica una pura registrazione di eventi. Nella poesia di Invernizzi, gli ioni infigurabili vengono di fatto rappresentati con uno sciame di parole: pertiche luce, stambecchi luce, schidieluce e ricevono una colata di verbi che s’incaricano di raccontarne l’esistenza: allampano, fiammeggiano, s’avventano, arrambano, s’infugano. Ma ancora più frequenti sono i versi in cui il soggetto e il verbo vengono a mancare e quello che si consuma nel buio è pura luminosità: “Frammentità diafane / invano apparibili / nelle specole d’illuminio / dell’infosco indistinguibile”. Il passo è breve e notiamo che sul foglio vengono convocati tutte le parole con cui si indica l’inesprimibile: immanifestabile, imprevedibile, invisibile, inlimite, inconoscibile, impenetrabile, inesplorabile, indistinguibile. Quasi un controcanto al fuoco pirotecnico linguistico messo in atto per rendere l’inesprimibile un oggetto descrivibile. Siamo sull’orlo del paradosso, ma d’altronde anche di un esercizio portato a termine: l’irrappresentabile è di fatto reso vividamente dinanzi ai nostri occhi, diremmo, per la capacità di Invernizzi di rendere visibile la sua pagina, di renderla comunicativa come una superficie pittorica animata da colori e da moto, da luci e da pesi, in un tour de force che tende le parole, le deforma, le stravolge e dona loro una persistente scia.
da Secretizie
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Chi sa d’entropia
non ignora l’instabile
informe
movimento di molecole
che in polimeri s’aggrumano
derivano in trame inquiete
s’aggregano in macchie bilenche
erratiche
che brulicano
sui picchi della mente.
(1983)
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In fluttali altitudini
perpendicole fuggitive
di abbaglio in abbaglio
tra luminanze stigie
di là dal vuoto che remiga
dell’escluso confine.
(1988)
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(I colchici)
Esangui
eppure risplendenti
questi colchici sulle chine
lustri di gelobrina
impettiti nel loro niente
già in dissolvo
nel vortice senza fine.
(1996)
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Nel ventre del niente
viscere vortici
infoco di stelle
s’incende la vita
arsa
risplende invano al nascimento
ventoluce insazio d’incenero
in catastrofi senza fine
d’annichilo.
(2001)
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Nell’insecco
stremato da arsura
d’un tratto m’incolsero
nell’oscurità
allampi d’annaspiluce
scintillanti in vortico
sanguerossastri
sull’invertico di sprofondi tetri
in vano abbranco
troncati di baratro in baratro.
(2008)
Carlo Invernizzi vive e lavora a Milano e a Morterone. Fa parte del gruppo “poiesis” fondato da Maria Vailati. Pubblicazioni recenti: Carlo Invernizzi. Natura naturans, Milano 2002; Canto silente, Morterone 2006; Pura eco di niente, ivi, 2008; Ingrumolita, Roma 2008.