Si rincorrono e paiono quasi sovrapporsi in tragica sequenza le notizie di femminicidi e di stragi familiari. E se tali fatti di cronaca trovassero una sia pur parziale chiave di lettura nei discorsi delle donne dei decenni passati? Forse ragionamenti che sembravano iperideologici mostrano ora la loro validità e la loro fondatezza.
Così proprio nella distinzione fra emancipazione e liberazione femminile potremmo scorgere uno dei motivi di fondo di ciò che sta accadendo: semplificando un po’, si è avuta emancipazione (incompleta) quasi senza liberazione. Liberazione da stereotipi, consuetudini, tabù, modi di pensare e di porsi. E non di rado le donne, pur acquisendo nuovi ruoli e avanzando nella scala gerarchica (non sempre, non in maniera compiuta), hanno finito per far propri simboli e pratiche dell’universo maschile. Rinunciando a quella rivoluzione pacifica della differenza sessuale e di genere. Come non ricordare, a tal proposito, il libro del lontano 1989 di Luce Irigaray Il tempo della differenza? Accanto a un “eros” sordo e cieco, espressione del “maschile-neutro” indifferenziato e primitivo, e accanto all’amore asessuato (agapé senza eros), vi è la tenerezza (filotés), un amore “nel contempo carnale e spirituale” (non è un caso, forse, che papa Francesco si richiami spesso proprio alla tenerezza).
“Questa definizione dell’amore vuole che i sessi siano chiaramente differenziati, che una distanza li separi fra di loro e dal cosmo, che non siano ridotti a copulazione costante né a un accoppiamento il cui solo scopo sia la procreazione”. Proprio Afrodite finisce per divenire l’incarnazione dell’amore come libertà e desiderio umano. Già: desiderio e libertà come binomio inscindibile. Desiderio senza libertà comporta, al contrario, la negazione dei due universi differenziati, quello maschile e quello femminile, e la sopraffazione da parte del “maschile primitivo”, troppe volte fatto proprio anche dalle donne. Un maschile-neutro, dunque, volto a conservare o a ottenere lo scettro del potere e del dominio, nella mancanza del rispetto per l’altra o per l’altro.
La liberazione femminile comporterebbe, al contrario, una liberazione per gli uomini e per le donne e, in definitiva, un mondo migliore, meno violento e caotico. L’emancipazione, da sola, può in parte consentire alle donne di superare la marginalità, ma non le sottrae alla subalternità.
La categoria “Saggi brevi” – molto frequentata dagli studiosi impegnati ad approfondire le tematiche care ad “Anterem” – si arricchisce di un nuovo contributo. E’ di Alessandro Medri, il quale dimostra come sia possibile leggere il romanzo The return of the native di Thomas Hardy alla luce della teoria girardiana del desiderio mimetico; teoria che peraltro consente di formulare una interpretazione complessiva della psicologia umana, a parziale rettificazione delle tesi freudiane.
La tematica alla quale questo saggio – che ha per titolo René Girard, Thomas Hardy e l’essenza del desiderio – porta in importante contributo è “Poros e Penìa” (cfr. “Anterem” 61, dicembre 2000).
Alessandro Medri è nato a Lugo il 21 / XI / 1978. Ha conseguito la laurea in Filosofia presso l’Università di Bologna nel 2002, con una tesi di laurea dal titolo Intellectus fidelis. Percorsi tra Heidegger e Bonaventura da Bagnoregio per una interpretazione della metafisica occidentale. Ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento presso la S.S.I.S. di Bologna nel 2009 con una tesi sulla dialettica di Hegel.