Dalle giornate della III Biennale Anterem di poesia, filosofia e musica, riportiamo i contributi teorici di Giorgio Bonacini (Oscurità 1) e Flavio Ermini (su “Viaggio attraverso la gioventù” di Lorenzo Montano), seguiti dalla cronaca in versi dell’ultimo evento (“Controcanto di giornata”) composta da Carlo Penati.
“Controcanto di giornata”
Cronaca in versi del settimo appuntamento della Biennale Anterem di poesia
Sabato 5 dicembre 2009
di Carlo Penati
la parola abbonda
abbandonata nell’aria
Stefano Baratta, La parola nella psicoanalisi
i nomi di Jung ho chiamato a raccolta
conclamanti forme dell’anima
per pronunciare la parola indicibile
che la psiche crea a ricrea
adattando e riorganizzando il mondo
anima-madre eccede,
soffocanti abbracci
invadono il conscio
anima-donna rivela il simbolo
e nell’archetipo profondo
traccia impronte che svelano
il sentiero dell’ombra
dove le parole affiorano
gravide di ogni senso cercato
Trio musicale: Stefano Baratta, Stefano Benini, Andrea Tarozzi
scivolano suoni a risvegliare
gli animali quieti dell’anima
turgidi risvolti dei ritmi spezzati
nel jazz regolatore d’influssi
l’emozione ondeggia negli specchi
dei flauti che tessono e ritessono
sul moto estenuante del piano
lasciami scendere senza freni:
l’arrivo è solo un abbraccio
e riparte il cuore palpitante
dal silenzio
che cosa sale dal fondo dell’anima?
o il suono confonde i piani
e non mi avvedo di quanto scende
palpitando nell’inconscio?
scende e sale in appassionata danza
gioioso battere di tasti in sequenza
che parlano voci lontane
evocando dai fiati risposte di memoria
ingenui scambi di ruolo
all’apice il rigo s’arrotonda
e solleva e risolleva la passione
insisti sulle corde già tese,
continua il sentiero dell’accordo
scomposto e ricomposto ad libitum
come accarezza il flauto la soglia
di stanze profumate ed assenti
Rosa Pierno e la poesia di Rinaldo Caddeo
l’ombra avvolge a poco a poco
che strano gioco il suo impalpabile movimento!
più mi ricopre e più nasce conoscenza
più è oscuro il giorno
e più la parte chiara di me affiora
stende una patina di luce
proiezione di leggera sostanza
Rinaldo Caddeo
sostanza oscura è l’ombra
sorella muta che accompagna
nella sua pretesa insistente
ogni passaggio di vita
un corpo che non proietta ombra
è la figura nitida del passato glorioso
laddove implode ogni conclusione
e l’epilogo consegna
mani piedi e sangue
all’alfabeto della nostra vocazione
Rosa Pierno e la poesia di Mauro Germani
superstiti parole s’affrettano
nelle strade e negli odori
tra ricordi e sogno
dove morti e vivi si susseguono
nel prendere e strapparsi la parola
solo negli altri mi ritrovo
Mauro Germani, Livorno
Livorno èl’altra
quella che non appare
e invoca il mare e la sua terra
che s’immerge in un cielo scoperto
domande in bilico all’altare
di divinità prive d’ascendenza
lì la voce brucia ferita dagli anni
e si perde in un vento straniero
Francesco Bellomi al pianoforte uno
John Cage Dream 1948
sogni sonori le note di Stravinskij
FA-RE-FA-RE lattiginose, testicolari
nel cerchio dei suoni prescelti
che escludono per sempre i diversi
attorno a sette note sogna John
e solo a quelle assegna un compito impossibile:
colmare d’immagini la sera
che avvolge Verona e i suoi poeti
nel rito dei segreti ormai svelati
Flavio Ermini introduce Franco Rella
Hölderlin sull’esergo dice la vita:
solo genera parola
chi interroga il proprio cuore
e sprofonda lo sguardo
nell’anima del vasto mondo
le strade in cui ci avventuriamo
nell’abbandono di ogni apatia del pensiero
Franco Rella, La parola postuma
fuori dalla città i poeti,
menzogneri che traviano dal vero!
l’essenza delle forme persa
nella paralisi dell’anima
ecco la ragione s’impone
sull’antico dissidio tra poesia e filosofia
la poesia irresponsabile della verità
inganno di versi affascinanti
distoglie la mente dall’oggetto
diaforà di strade antagoniste
innamorato che si stacca
nel sacrificio della poesia bruciata
dalla tragedia dell’amore
vinto l’agone col Simposio
ma resta il vuoto della rappresentazione
che Benjamin richiama con Cartesio
nel gioco del rimando
tra ciò che vedo e la sua specie
m’inoltrerò con coraggio nella culla delle parole
a catturare lo stupore del sogno
e immergerlo nel logico rigore
dell’ermeneutica più pura
custode dell’inesprimibile
attizzi il fuoco degli spiriti
che frantuma nell’orrore ogni forma
prima che la parola sapiente ricomponga
nell’unità di senso
l’incomposto sgranarsi di sostanza
nell’onirico volgere dell’estasi
la singolaritàconfina ai margini della città
ma la tragedia accomuna
chi pensa e chi poeta
in un identico coro della vita
il poeta è vincolato all’ombra
nel gorgo di bene-male indistinti
nell’indecisione che gli spetta
è la metafisica il campo dell’incontro?
la contraddizione sfuma nella coesistenza del diverso?
l’apparenza è il volto noto dell’ombra
dove l’indicibile alligna
e viene a volte in superficie
nella stentata trama dei ritmi di parole
attrito surreale del senso sulla carne
della realtà sullo spazio estetico
pensiero-sentimento
la polis riaccolga con gioia
chiunque ci doni conoscenza
Francesco Bellomi al pianoforte due
composizione su cinque tasti scelti a caso usando il timbro-ritmo e non la melodia
insiste il tasto in un ritmo d’industria
ma il timbro della natura riaffiora
nello strappo di un FA alto
che acutamente rimanda
al volgere del sogno
Rosa Pierno e la poesia di Giuliano Rinaldini
uno sguardo che non vede
pone la memoria sugli oggetti
che il tempo rende ossario
e la natura sviscera l’immondo
dell’artefatto di ogni morale
Giuliano Rinaldini, Sequenza del fico
sussulto nei rovesci della terra
allo sguardo che animali di pianura
disegnano nella messe di campi sfioriti
e il coro dei canneti scompone
il rettifilo senza spessore della strada
Rosa Pierno e la poesia di Giovanni Turra Zan
gli insetti della convivenza
nell’acido sussulto di versi civili
intrusi aggettivi dirompono
dall’accogliente placidità del giorno
Giovanni Turra Zan
distoglie da ogni oggetto
il rimando a sensi altri
di parole composte in segni alterni
che culminano in immagini
risolte dall’incavo di un prisma
Filippo Ravizza, Il turista
senza scampo m’affaccio
sul cerchio dell’essere/nulla
e mi sdraio al sole dei ricordi
nei luoghi che ri-conosco miei
il vero destino è un muro bianco
e oltre andare è il verso
Alberto Mori, Fashion
la vita viene detta dalla moda
strascicata la parola f-a-s-h-i-o-n
è suono di cromi di tessuto
che vestono il futuro
l’olfatto trattiene il rigonfio dei corpi
in abissi lastricati di lustrini
Francesco Bellomi al pianoforte tre
Tasti scelti dal pianista ed altri scelti a caso
ascolta l’anima e il conto del tempo
nel riverbero di note
che l’abitano ab origine
il cerchio ostinato del ritorno
come un temporale in fuga
rilascia lente gocce
di luce compulsiva
Flavio Ermini presenta Silvia Ferrari
piacere nell’ascolto di parole
che danno consistenza all’inconcluso
con l’aggiunta di un provvido segno
Silvia Ferrari, La parola nell’arte
la parola erompe nell’arte
decostruendo il campo dello sguardo
fino al contratto spasmo degli esse-emme-esse
ogni espressione ha senso
se solo rimanda ad altro
così l’elettronica diventa gregoriano
e la sinestesia racconta il nuovo incontro
dei linguaggi controversi
Francesco Bellomi al pianoforte quattro
basso ostinato accende ricami
di foglia, alloro, rincorse
velluti e tragici ossimori
Emanuele Modigliani
la prosa distende il racconto
in periodi di tempo e di senso
nel breve identico corso
di scene stirate sui muri
Carlo Penati, Vorrei imprimere un vuoto nell’aria
l’aereo s’innalza pesante
gravido delle spoglie di vite
sempre in agonia
nel duro lavoro del senso quotidiano
alla ricerca, ahimè, dell’infinito
Francesco Bellomi al pianoforte cinque
giro di do nascosto
maschera, confondi la ragione
di un cerchio ripetuto di note
se trovi la cifra che apre
verità di musica interna
contorno di rassegna
gran finale
Carlo Penati (Legnano 1954) è stato redattore del periodico di ricerche e analisi linguistiche "Pianura". Nel giugno 2008 ha vinto il 29° premio letterario "Città di Moncalieri". Sempre nel 2008 ha pubblicato Vorrei imprimere un vuoto nell'aria, Fara Editore, prefazione di Luigi Metropoli, segnalato al XXIII "Montano".
Le parole, quando pensano il vero, si muovono all’interno di un sistema che ha a che fare, in qualche modo, con una zona franca della materia in cui ogni trasformazione sembra, se non attuabile, possibile.
Tutto è, concettualmente, materia; e ogni contrapposizione genericamente intesa sotto dualismi del tipo palpabile/impalpabile, sensibile/insensibile, visibile/invisibile, ecc., è priva di senso in termini concreti.
La poesia non ha preferenze operative: èessa stessa a determinare una selezione, svolta in astratto, per una considerazione fisica che permette di scrivere e di misurare la significatività dei propri testi.
Se guardo il mio linguaggio (che è anche una riflessione implicita sull’an- damento e sulla forma del vivere) penso al modo in cui i suoi tratti “irridici- bili” implodono all’interno della sua stessa assenza di potere.
Credo che ciòpossa rientrare in un’idea patafisica; una sorta di felicità mentale in cui però, alla scienza delle soluzioni immaginarie, devo aggiun- gere una metodologia dell’indecisione materiale.
Cosìil procedimento slitta su zone deformate, in modo tale che l’unica contrapposizione valida è forse quella fra realtà e reale, dove la poesia non si occupa, né potrebbe in alcun modo farlo, della realtà.
Si preoccupa invece della sua insistenza, della sua presenza che deborda in luoghi e tempi non giustificati dalla fatica o dallo sforzo di un io che non è mai, per fortuna, né curativo né rispondente a sé.
Bisogna allora organizzare un nucleo di tensioni che siano, nello stesso tempo, impermeabili e traspiranti, per far sìche la scrittura fuoriesca e di- venga un’indicazione esatta di ciò che chiamiamo reale.
E ciòche èreale èl’incarnato di una parola, la sudorazione fonica, l’esilio indefinito dell’esperienza individuale, inconciliabile anche con il carattere volontaristico di questa dichiarazione di poetica.
Sono cosciente che tutto ciòpotrebbe fallire, ma se ciò che creo è davvero reale allora posso far leva sui dintorni di una felicità quasi sofferta, parziale, pacata e senza tregua ma attentissima e precisa.
Perciòqualcuno ha scritto che “gli oggetti hanno evidenza nel vivente, tra le cose”; e in poesia queste resuscitano e si distinguono con una tale ric- chezza di particolarità che ancora mi stupisce.
Reale: la parola unisce in sé tutte le manifestazioni dell’immaginario, le intermediazioni naturali, i ritmi logici, le condensazioni, gli addensamenti e i pregi di una disquisizione imperfetta.
E’ lo sgretolarsi di un pensiero languido e scaltro, l’incedere elusivo attra- verso cui ci si ricorda che alle volte anche gli amori più invidiati (o più atmo- sferici) confondono gli oggetti con le cose.
Le cose del pensiero e gli oggetti della mente non sono intercambiabili: sembrano fondersi apparentemente nell’assolutezza del cuore, ma il loro di- stacco, ciò che li rende dissimili, è sempre visibile.
Ma è questa la condizione mitica in cui riconoscersi: “un’addolorante fini- mondo di euforia”, una contraddizione esorbitante a cui si crede ingenua- mente, e da cui si è certi di poter sempre sfuggire.
L’ultima possibilità è dunque borbottare; inventarsi un linguaggio ventri- loquo che finga d’essere falso e rovesci la lingua nelle meraviglie di un pos- sibile giardino interminabile: qualcuno dovrà pur farci caso.
Giorgio Bonacini è redattore di "Anterem". Per la sua biobibliografia vedi "Chi siamo" nel sito.
Trascrizione dell'intervento di Flavio Ermini per il Convegno su Lorenzo Montano e il Novecento europeo (6 dicembre 2008) nell'ambito della terza Biennale Anterem di Poesia.
Parliamo di Viaggio attraverso la gioventù di Lorenzo Montano.
Questo libro è stato edito per la prima volta da Mondadori nel 1923.
Successivamente (nel 1959) l'opera sarà pubblicata da Rizzoli nella collezione B.U.R., con un saggio di Aldo Camerino. Tale saggio viene riproposto ora in occasione della terza edizione, che si presenta arricchita da una biografia e una bibliografia aggiornate, a cura di Claudio Gallo, oltre che da una mia riflessione interpretativa.
L'edizione, a cura di Moretti&Vitali, è resa possibile dal sostegno della Biblioteca Civica di Verona.
Seguirò in questo mio intervento un itinerario, una sorta di "viaggio", tra le parola-chiave che caratterizzano l'opera.
La prima parola che propongo è: "desiderio".
Cominciamo con una citazione.
Ascoltate come il protagonista di questo grande romanzo definisce l'adolescenza: un «breve tumulto d'ombre cose passioni, incoerenti», fatte di «notti laboriose, alcune pazze, l'uno e l'altro compagno, qualche viso e corpo di donna, qualche paese scorso di sghembo, e quell'attesa, quell'impazienza incessanti …».
L'eroe montaniano si avventura sull'itinerario della gioventù senza calcolo; senza padronanza. Ma con la consapevolezza di un vivere che può aprire le porte all'immaginario, al desiderio.
E proprio a proposito di questo "vivere" Aldo Camerino nella presentazione scrive: «Il romanzo montaniano è il ritratto di un vivere straordinariamente distratto e pieno di voglie».
In questo inoltrarsi nella vita - un inoltrarsi «distratto e pieno di voglie» - tenebra e aurora stanno l'una davanti all'altra, e ognuna ripone nell'altra sempre nuove aspettative.
La gioventù. Sarà lo stesso eroe montaniano a sancire l'impossibilità di coglierla pienamente - e lo farà con una bellissima definizione: «Esita a lasciarci, s'indugia a lungo con noi, infine si stacca a tradimento».
Lorenzo Montano ci fa entrare in una vicenda che nasce come speranza e gioia per incupirsi nella perdita e nella pena, fino a chiudersi con l'ingresso nell'età adulta.
Qui ogni sorriso non potrà che mutarsi in malinconia.
E non può essere che così - se è vera quella definizione di "gioventù" che prima citavo:
«Esita a lasciarci, s'indugia a lungo con noi, infine si stacca a tradimento».
E "gioventù" è proprio la seconda parola-chiave che voglio segnalare alla vostra attenzione.
Il romanzo di Lorenzo Montano è un'opera che fa parte di un preciso genere letterario: il "romanzo di formazione"; un genere letterario che ha le sue radici nel Wilhelm Meister di Goethe (1796).
Ma appartiene a questo genere in modo del tutto particolare. Vediamone il perché.
Nell'Ottocento, intorno al romanzo di formazione si raccoglie una piccola moltitudine di giovani che incarna, con evidente foga, la smania di desiderare. E il desiderio è quello di entrare a far parte - in un modo o nell'altro - del mondo degli adulti.
Questo genere conoscerà poi i suoi ultimi capolavori - che ne decreteranno in pari tempo il culmine e il tramonto - con gli inizi del secolo scorso.
Alcuni di questi capolavori sono: i Turbamenti del giovane Törless di Musil (1906), i Quaderni di Malte Laurids Brigge di Rilke (1910), America di Kafka (1915), Dedalus di Joyce (1916).
In queste opere - anticipate da Gioventù di Conrad (1898) e da Tonio Kröger di Thomas Mann (1903) - c'è un dato comune evidente: la saggezza degli adulti non è più un contrappunto costante alle avventure dall'eroe.
Da qui in poi, pare che gli adulti non abbiano più nulla da insegnare.
Da qui in poi la gioventù comincia - se non a disprezzare la maturità - quanto meno ad autodefinirsi in opposizione a essa.
La separatezza rispetto all'età adulta diventa la vera compagna di viaggio di questi eroi.
A differenza di quanto accadeva nel romanzo di formazione dell'Ottocento, questo vivere gravita sempre più lontano dagli adulti e dalla loro società.
Quel disprezzo, quella separatezza emergono da un'osservazione dell'eroe montaniano, quando, seduto a un caffè, osserva i passanti e annota: «le loro facce così sicure di dissimulare la bestia interna, la quale a loro insaputa fa capolino da tutta la fisionomia».
Insomma, il mondo degli adulti non si configura più come una dimora ospitale.
E dunque il rifiuto di entrare con decisione nell'età adulta sancirà il fallimento, l'impossibilità della "formazione".
Arriviamo allora alla terza parola-chiave: "smarrimento".
Abbiamo visto che Montano, così come Musil, Kafka, Rilke, Joyce, ereditano la convenzione ottocentesca del romanzo di formazione ma vi apportano significativi cambiamenti.
Non è più la crescita a dare corpo all'inoltramento nella gioventù, prima, e nell'età adulta, poi.
Al contrario: è la ribellione, più o meno esibita.
Che l'adolescenza stia diventando sempre più narcisistica e regressiva ce lo dirà in modo più radicale nel 1923 (lo stesso anno del Viaggio montaniano) un altro "tardo" romanzo di formazione: Il diavolo in corpo di Radiguet.
Emerge l'"altro lato" della coscienza adolescenziale: quello "smarrito", e invade le nostre abitudini mentali; rende visibile la precarietà delle nostre regole, la sconnessione del mondo.
Sulla soglia dell'età adulta, lì dove le cose fluttuano e si mescolano, l'eroe montaniano, indugia, così come iniziano a fare tutti suoi compagni dal Novecento in poi, fino ai nostri giorni.
E si trattiene tra le sicure parentesi della giovinezza.
In questo romanzo ci troviamo di fronte a due precipizi che delimitano l'inizio e la fine dell'adolescenza. I due quaderni li rappresentano.
In questo senso è estremamente importante il corollario formato da "Introduzione" e "Aggiunta". Questo corollario ha il compito di farci gettare almeno uno sguardo in quella discesa nel Maelstrom che è l'età adulta…
Da quel gorgo, in una delle sue ultime poesie - poco prima di morire - Montano scriverà: «Adesso invece assidera il mio tocco / la vita, sotto alla mia mano il fiore / di gioventù impietrisce, e si trasmuta / il più dolce dei seni in duro sasso» (1956).
Quel gorgo racconta la notte, ovvero ciò che rappresenta il mondo adulto per gli esseri umani.
Davanti a quel gorgo, nella penultima pagina di Dedalus, Stephen insorgerà con una dichiarazione di guerra quasi programmatica contro l'età adulta e la sua febbre possessiva: « … cercherò di esprimermi attraverso qualche maniera di vivere o di fare dell'arte il più liberamente e integralmente possibile, difendendomi con le sole armi cui consento a me stesso di ricorrere: il silenzio, l'esilio, l'astuzia … Benvenuta, oh vita».
Come non rilevare un parallelismo con l'eroe di Montano? Il quale scrive: «Tutt'a un tratto conobbi che la mia giovinezza era finita … Rimasi attonito allora, ricordo, di trovarmi privato così di colpo di tutta un'età della vita … Mi fermai in una piazza, non sapendo che fare di me … M'era rimasto soltanto un grande smarrimento …»
Un'altra parola chiave per intendere il romanzo è "l'amore".
L'amore è rappresentato nel romanzo da due figure di donna: Biancanera e Delfina.
La loro presenza consente di leggere l'opera anche come una sorta di educazione sentimentale.
Si sa: chi si muove nel giardino di Eros è sempre in bilico tra l'indigenza della mancanza e la ricchezza dell'acquisizione. Ce lo ha detto Platone: penuria e risorsa accompagnano costantemente ogni gesto dell'innamorato.
Questo dipende ovviamente dal fatto che ogni passione amorosa si colloca in uno stato d'insicurezza. Ma Montano ne fa un riflesso dell'adolescenza, dove urge a ogni passo il richiamo alla brevità del tempo di cui possiamo disporre.
A tale proposito, a me pare addirittura didascalico il Viaggio attraverso la gioventù.
Questo romanzo infatti ci segnala che c'è un grande lavoro da fare nell'educazione all'amore, un sentimento che può dare senso e forma al nostro esserci:
--- contro il troppo caos dell'adolescenza,
--- o il troppo ordine dell'età adulta,
--- o semplicemente contro le tante illusioni che ci accompagnano per tutta la vita.
Il viaggio attraverso la gioventù nasce per ricordarci la polvere dell'effimero.
Parla a quella parte di noi che cede alla seduzione - una seduzione rappresentata nel romanzo montaniano da «un braccio nudo ... il pallore abbagliante del viso, la bocca pura, le grandi iridi cangianti».
A questo proposito, l'eroe montaniano davanti a tanta meraviglia, davanti a tanto amore, annota: «... mi pareva di stare affacciato sopra un paese favoloso e strano».
L'Io è un'altra parola-chiave per intendere il "Viaggio" .
Diciamolo con chiarezza: la "formazione" è destinata a fare i conti, all'inizio del Novecento, con la disgregazione dell'individuo come soggetto e con una nuova, incandescente realtà: l'inconscio.
Questa chiamata verso l'Io frantumato - e di conseguenza verso l'introspezione e l'autoanalisi - è imperiosa in tutto il tardo romanzo di formazione.
E risulta così evidente nel Viaggio attraverso la gioventù che può indurre ad accostare questa opera a un altro grande romanzo del 1923: Coscienza di Zeno di Italo Svevo.
Ne abbiamo dimostrazione soprattutto nel primo quaderno, per la forma frammentaria che lo caratterizza, tra schegge di personaggi, atomi di scene, briciole di realtà. "Frammenti" che sono specchio di un continuo soliloquio interiore e di un vibrante processo d'interrogazione. Schegge che provengono direttamente da quel baratro oscuro che il vivere "autorizzato", il vivere adulto, malamente cela.
Sarà proprio l'avventurarsi del protagonista nelle profondità interiori che renderà evidente la definitiva lacerazione tra l'Io e il mondo.
Cosa che porterà Montano alla decisiva scelta di non dare all'eroe un nome e nemmeno «figura».
A tale proposito nelle ultime righe del romanzo leggeremo: «Questo personaggio ha tralasciato nel suo scritto qualunque indicazione che giovi a dare un'idea del come egli apparisse agli altri …».
Lo sguardo e l'ignoto: le ultime due parole-chiave.
Come per il Malte di Rilke anche per l'eroe montaniano è necessario «imparare a vedere».
«Imparare a vedere.»
Vi è un modo di configurare il reale che non si appaga dell'intuizione, ma che preferisce porla tra l'emozione e la riflessione.
La sintesi che ne scaturisce è carica di una sua specifica mobilità.
Viaggio attraverso la gioventù è il romanzo di un saggista. E lo si avverte per come ogni sensazione viene con minuziosità indagata e faticosamente sottratta alle zone interiori, notoriamente poco decifrabili, ma sempre autorevoli.
Accostarsi a queste zone misteriose comporta un movimento che è propriamente il gesto del venire per la seconda volta alla vita. Un gesto che ogni volta mette a soqquadro il mondo.
Ed ecco allora uno dei grandi risultati di questo romanzo: consentire al nostro sguardo di accedere attraverso più prospettive a questi paesaggi dell'anima e di prendere con essi confidenza.
Dopo aver letto Viaggio attraverso la gioventù, sappiamo che proprio per questo motivo va custodita la memoria delle terre incognite dalle quali si parte, delle terre della gioventù:
--- siano esse caratterizzate dalla "formazione" (come accade nell'Ottocento);
--- o dall'"obiezione" (come si rileva dal Novecento in poi);
--- o siano esse un fenomeno della realtà o dell'illusione...
Ci si inoltra in queste terre - nelle terre della gioventù, ci dice Lorenzo Montano - per tornare a smarrirsi nell'ignoto.
Flavio Ermini è direttore di "Anterem". Per la sua biobibliografia vedi "Chi siamo" nel sito.