Qui sono segnalati i più recenti volumi pubblicati da Anterem Edizioni, oltre ai libri ultimamente editi dai poeti della redazione di Anterem nell'ambito di altre case editrici. Si tratta di opere promesse all'atto di interrogare la vita. Portano con sé l'impeto di un gesto: dare al mondo parole votate all'umana avventura.
L’esperienza della percezione
Gli uomini sono ossessionati dall’opinione che hanno delle cose, più che dalle cose stesse.
Epitteto
Tra le molteplici dimensioni in cui siamo gettati, e a cui non ci possiamo sottrarre, c’è quella dell’essere destinati a fare esperienza.
Ciascuno di noi è gettato nel tempo ed è condannato a crescere. Il che vuol dire riconoscere che siamo solo un punto tra i tanti, una particella impersonale in un universo sterminato.
Il soggetto non appare più come identità, ma come limite mobile. Si estingue come principio costitutivo del sapere per scoprirsi correlativo ai confini che esplora e alle scelte che compie.
L’esperienza della percezione: ne danno conto i poeti a cui si apre questo numero di “Anterem”. Accompagna i loro testi un nucleo di riflessioni che modula lo stesso tema dal punto di vista filosofico: sotto il profilo del tempo, della parola e della memoria. Ne sono autori Carlo Sini e i collaboratori della cattedra di filosofia teoretica della Statale di Milano.
Le cose sono nel raggio dell’attenzione. Ma, come ci dicono i poeti e i filosofi, non se ne coglie mai con esattezza l’essenza.
L’uomo conosce soltanto segni vuoti, non le cose in se stesse. Per conoscerle sono necessari all’uomo una mediazione (il linguaggio), delle leggi (quelle della ragione), l’osservazione (attraverso i sensi). Va da sé che l’uomo può conoscere solo la propria ombra (data dal linguaggio, dalle leggi, dai sensi) che lui stesso frappone tra sé e le cose. E con la parola può esprimere solo la propria opinione.
La parola non si aggiunge alla parola per dare estensione allo spazio delle cose, ma per modificare la situazione che si era venuta a creare tra le parole precedenti. Ci segnala che qualcosa si aggiunge a quanto già sappiamo.
Parola dopo parola, la mutazione del punto di vista linguistico introduce una mutazione del punto di vista psichico, infrangendone la fissità.
Queste incessanti variazioni ci fanno capire che l’io narrante va subendo una crescita.
La successione verbale non genera architetture, né dona alle cose luce maggiore. L’io narrante ne è consapevole: non mira al possesso scalare dell’oggetto: lo dà semplicemente come irraggiungibile. In un certo senso, egli è un interprete del principio di variabilità.
Il tempo dell’aggancio alle cose diviene un gioco interminabile di avvicinamenti e allontanamenti. E di scoperte minime, che, pur raggruppate, forniscono una somma solo parziale di dati. O una somma totale insensata; essendo l’ingrandimento di un solo addendo: quello più evidente per l’occhio che si muove sul mondo.
Il risultato ultimo, ammesso che ci possa essere, è sempre aleatorio. E quando circoscriviamo quello che ci sembra essere prossimo al vero, avvertiamo ancor più che il nostro calcolo richiede una revisione, che quasi sempre richiede il congedo dall’abituale modo di vivere e pensare.
Eppure, quando l’io narrante arriva a mettere a rischio i fondamenti del proprio sapere, a sfasciarne la logica, a distruggerne i più ovvi punti di riferimento, riesce a mettersi in contatto per un momento con l’essenza delle cose. Ma attenzione, non la cosa, dunque, ma l’essere di questa nel modo in cui di volta in volta si dà. Per cui, non di ridondanza dobbiamo parlare, ma forse di balzi percettivi.
La poesia, quindi, non acceca l’intelletto per consolare il cuore…
«La vera via» scrive Kafka «passa per una corda che non è tesa in alto, ma appena al di sopra del suolo. Sembra destinata a far inciampare più che a essere percorsa».
Ma è la via più aderente alle cose. E l’io narrante non si stanca di ricercarla.
In direzione di un nuovo “qui” e di nuovo “adesso”, lo spazio indagato torna a esplodere interamente allo scattare di ogni istante. Fa intuire un altrove che non si sa mai dove sia.
Chi guarda, comprende che è fragile, smarrito: sul punto di essere soltanto nell’atto di scrivere. Chi scrive mostra la sua terra insicura, il suo cuore incerto.
L’opera poetica si costituisce propriamente come un disegno del pensiero. È formata da parole la cui successione evidenzia che il cielo circoscrive solo se stesso e che sulla terra la desolazione è compiuta. Ma in pari tempo delimita un habitat in cui, sia pure con disagio, è possibile vivere.
Come può accadere?
Un costante diniego letterario – il divieto di esistere, se non come linguaggio – trattiene questi lembi di vita fantomatica in un mondo di frammenti e di cose disperse. Qui l’io narrante avanza con tanta ignoranza. Ma solo qui può cadere la sua scelta, anche rischiando che la sua azione resti illeggibile.
Ogni sforzo di comprensione totale non può emergere che da questo sfondo abissale, dal caos, quale apertura, spalancamento, disponibilità per tutti i sensi; nell’estremo tentativo di attingere un’ulteriorità di senso nel fluttuare dell’indeterminato. Ne è ben cosciente Spinoza quando scrive: «La perfezione delle cose deve essere valutata soltanto in base alla loro natura e potenza; le cose non sono più o meno perfette perché dilettano o offendono i sensi degli uomini, o perché favoriscono la natura umana o la avversano».
Dentro la costante dell’inaffidabilità in cui si trova ad agire, l’io narrante cerca un’ossatura. Se non c’è, la inventa, in quel fondo di mistero che è la cosa; soprattutto perché vuole andare oltre gli oggetti imitati, oltre la loro fattezza esteriore, il loro fenomenico darsi secondo questa o quella modalità.
Nel forte ramo dell’esistenza, egli mette un incavo dove collocare o nascondere il tempo della nostra esperienza; consapevole che la scelta non è più tra verità e menzogna, ma tra parola che si spaccia per realtà e parola che si dà come tale, l’unica che sulle cose gli procuri una piccola garanzia di ancoraggio.
Ma noi fuggiamo senza posa da una cosa all’altra soltanto per farcene un’opinione e ci distruggiamo da soli. Non facciamo che scappare, fino a quando cessiamo di vivere.
Questo concetto è di tale importanza che (tratto da: Épictète, Enchiridion, X. Traduction de Montaigne, livre II, chap. XIV) lo troviamo tra “Les sentences peintes dans la ‘librairie’ de Montaigne”: «Les hommes sont tourmentés par l’opinion qu’ils ont des choses, non par les choses mêmes».
Flavio Ermini
L’esperienza della percezione
5 Editoriale
8 Philippe Lacoue-Labarthe Allusione a un inizio (tr. Davide Tarizzo)
14 Birgitta Trotzig Da Anima (tr. Daniela Marcheschi)
18 Katarina Frostenson Poesie (tr. Andreas Sanesi)
22 Friederike Mayröcker Poesie (tr. Riccarda Novello)
24 Ida Travi ‘Tu sei soltanto in allarme’
28 Michele Ranchetti Da Sequenze in levare
29 Enrica Salvaneschi - Silvio Endrighi Poesie
32 Matteo Vegetti La percezione e l’esperienza
36 Federico Leoni «Il mio corpo va fino alle stelle»
39 Matteo Bonazzi Il terzo occhio di Lacan
42 Carlo Sini Oceano e la percezione originaria
46 Franc Ducros Dasorte sillabe strappate (tr. Margherita Orsino)
52 Henry Bauchau Poesie (tr. Chiara Elefante)
62 Marcel Bélanger Da Strates (tr. Alfonso Cariolato)
69 Ottavio Fatica Poesie
72 Davide Campi Bisogni
74 Lucio Saffaro Scritture
78 Camillo Pennati Poesie
80 Giorgio Bonacini Da Sequenze di vento
82 Giovanna Frene Poesie
84 Madison Morrison Rangoon Retrospective (tr. Alessio Rosoldi)
88 Mara Cini Forbice
90 Rosa Pierno Da Trasversale
93 Autori di questo numero
94 Premio di poesia Lorenzo Montano
Esito della XX edizione e bando della XXI
Fotografie di Sirio Tommasoli
Carte nel Vento
on-line della Biennale Anterem di Poesia
e del Premio Lorenzo Montano
a cura di Ranieri Teti
È in rete il numero 8 di Carte nel Vento: contiene i testi, presentati criticamente dai poeti della redazione di “Anterem”, dei 27 poeti finalisti e vincitori del 21° Premio di poesia Lorenzo Montano.
Carte nel Vento
on-line della Biennale Anterem di Poesia
e del Premio Lorenzo Montano
a cura di Ranieri Teti
Maggio 2007, anno IV, numero 7
Interventi teorici
Giorgio Bonacini, Flavio Ermini, Gio Ferri, Tiziano Salari
Poesie
Giacomo Bergamini, Mara Cini, Elena Corsino, Alessandro De Francesco, Eugenio De Signoribus, Stefano Guglielmin, Francesco Muzzioli, Giuseppe Pellegrino, Rosa Pierno, Stefania Roncari, Sandro Sproccati
Scritture visive
Giuseppe Pellegrino
Opera musicale
99 variazioni del desiderio di Francesco Bellomi
Recensioni
Marco Furia
Poesia e internet
Claudio Di Scalzo, Luigi Nacci
www.anteremedizioni.it
Carte nel Vento
on-line della Biennale Anterem di Poesia
e del Premio Lorenzo Montano
a cura di Ranieri Teti
Febbraio 2007, anno IV, numero 6
In questo numero l’itinerario che si snoda comprende molte fermate, molti approfondimenti: nel vivo dell’attualità poetica, nella saggistica, nelle riflessioni sulla videoart e sulla poesia al tempo di internet, nella memoria di chi ci ha lasciato.
Carte nel Vento
on-line della Biennale Anterem di Poesia
e del Premio Lorenzo Montano
a cura di Ranieri Teti
È uscito il nuovo numero di
Dicembre 2006, anno III, numero 5
Il completo rifacimento del sito di "Anterem" ci ha obbligato a far slittare nel tempo questo numero di "Carte nel Vento", che racconta la giornata della Biennale di poesia "Percorsi del dire", al cui interno si è svolta la cerimonia conclusiva della XX edizione del Premio Lorenzo Montano. Facendo un po’ nostro Paul Valery quando scrive che la poesia è "quell’esitazione prolungata tra suono e senso", possiamo considerare che "Percorsi del dire 2006" è stata una lunga e straordinaria giornata di poesia tutta sospesa in un alto equilibrio, tra molteplici sensi.
Anno dopo anno, la Biennale di poesia si configura sempre più come un punto di raccordo tra la rivista "Anterem" e il Premio, accogliendo dall’una tematiche e testi, dall’altro le punte più alte delle ricerche in campo poetico e mettendole in circolazione in un più ampio e stretto rapporto con altre discipline: musica, corti, video, teatralizzazioni, danza, riflessioni teoriche.
Protagonisti rimangono i volti, le parole e le voci dei "poeti scelti" dall’ultima edizione del Premio Lorenzo Montano, per i quali si va creando un luogo privilegiato a far emergere e risuonare, nella crescente attenzione dei media, le loro opere. Fotografia della giornata è l’artistica "Antologia della Biennale", che accoglie un testo di ciascuno dei partecipanti, in un’istantanea dal forte valore simbolico.
Continua la felice collaborazione con il compositore e pianista Francesco Bellomi, autore dei brani per i vincitori, qui presentati. Inoltre da quest’anno, sui testi dei poeti premiati al "Montano" e su altri proposti dalla rivista "Anterem", autonomamente lavora anche il Conservatorio "Bonporti" di Trento, sezione di Riva del Garda, organizzando sia una tavola rotonda sul rapporto tra parola e suono sia un concerto.
Anche quest’anno sono state attive, tra poesia e filosofia, le presenze della Rivista e del Premio per tutta la settimana di "Veronapoesia 06". Nell’evento conclusivo del festival abbiamo riproposto la formula della Biennale, con le letture dei poeti, scelti tra i concorrenti dell’ultima edizione, legate dal tema del desiderio a musica, film, riduzioni teatrali, filosofia, danza.
È sempre più nostro intento far sì che la partecipazione al Premio Lorenzo Montano non si esaurisca con la proclamazione dei vincitori, ma che ci sia un grande spazio oltre il premio per molti poeti, facendo continuare a vivere e risuonare i loro testi.
Ripartendo proprio dalla ventunesima edizione appena inaugurata.
Ranieri Teti
ALI DEL COLORE è un’opera edita da Anterem Edizioni.
Alla sua struttura – affascinante e complessa – hanno lavorato tre autori:
Negli ultimi dipinti di Giovanna Fra, Flavio Ermini ha individuato un percorso traducibile in parola narrativa. Il risultato, annota Silvia Ferrari, è una scrittura che asseconda il carattere ideativo dei dipinti e ne coglie la vocazione germinale.
Giovanna Fra (Pavia,1967) si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera nel 1993 con una tesi sul rapporto arte e musica nel Novecento. Personali in Italia e all’estero. Sue opere sono conservate in collezioni pubbliche e private.
Silvia Ferrari (Pavia, 1964) è storico dell’arte contemporanea.Il suo ambito di indagine principale è il Secondo Futurismo. Le sue pubblicazioni spaziano dalla ricerca specialistica alla divulgazione alta.
Flavio Ermini (Verona, 1947), poeta, narratore e saggista. Ultimi libri: Poema n. 10. Tra pensiero (poesia, 2001), Il moto apparente del sole (saggio, 2006), Antiterra (saggio, 2006). Dirige la rivista di ricerca letteraria “Anterem”, fondata con Silvano Martini nel 1976.
Scrive Silvia Ferrari:
“Il colore impiegato da Giovanna Fra occupa l’altro versante dell’arte contemporanea così concentrata sulla carnalità, ne è l’impronta come decantazione. Non è il corpo nella sua pienezza brutale, benché artificiosa, né del corpo conserva gli umori, ma la traccia della pelle quando sfiora un materiale assorbente, senza che questo se ne imbeva, solo lasciando che esso ne rechi memoria. Impronte che Flavio Ermini interpreta come filiazione dell’altro da sé, duplicazione nella specularità della propria immagine, in ciò rievocando il mito di Narciso …
Il corpo che Flavio Ermini vede concepito nelle carte di Giovanna Fra ha una solennità quasi memore di una genesi primordiale, e tende più all’elevazione spirituale - il volo - che non alla commistione con il reale.”
Ti avvicini alla fonte. Posi il tuo sguardo sull’immagine riflessa nell’acqua e osservi il colore con cui hai coperto il tuo viso e una parte del corpo: il tuo colore non sarà che questo. Il rapporto tra il colore e la pelle si rivelerà esclusivo, tanto che sul corpo non avvertirai più la levità del vento né la pienezza della terra. Sulla pelle resterà la leggerezza di un’unica pulsazione interiore.
Grazie al colore appari: dagli occhi esce la bocca e dalle mani si leva l’ascolto, ma non riconosci la meccanica di questi occhi divoranti, né l’ascolto in cui si rovescia la bocca con tutta la sua polvere. Così come gli occhi e la bocca, la pelle accoglie il colore nella propria incompiutezza.
Cadi per sorgere. Allontanandoti dalla fonte ogni tuo passo segnala l’imminenza della luce e denuncia l’interminabilità della nascita.
Mercoledì 15 novembre 2006, alle ore 17.00
nella sede dell¹Istituto Italiano per gli Studi Filosofici,
in via Monte di Dio 14, Napoli,
in occasione della presentazione del volume di Flavio Ermini:
Il moto apparente del sole. Storia dell¹infelicità,
pubblicato da Moretti & Vitali, Bergamo 2006,
Massimo Adinolfi, Ermanno Cavazzoni, Flavio Ermini,
Marcello Gombos, Ida Travi e Vincenzo Vitiello
terranno una tavola rotonda sul tema:
La passione della scrittura.
Il moto apparente del sole: poesia e filosofia in dialogo.
Convergenze è una collana editoriale curata da Stefano Baratta e Flavio Ermini.
Dopo i primi quattro volumi dedicati a I nomi propri dell'Ombra (2004), I nomi comuni dell'Anima (2005), I nomi della Trasformazione (2006), I nomi della Sincronicità (2007), propone nel suo quinto volume il tema della Grande Madre.
Jung ipotizza che le influenze esercitate dalla madre sui propri figli non derivino necessariamente dalla madre stessa e dai suoi reali tratti di carattere. Accanto a questi vi sarebbero qualità che la madre, in quanto persona, solo apparentemente possiede, ma che di fatto sorgono dalla struttura archetipica che la circonda e sono proiettate su di lei dai figli stessi.
Dire della Grande Madre è dunque un modo di nominare un'immagine tratta dall'esperienza culturale collettiva. In quanto "immagine", essa rivela una pienezza archetipica, ma anche una distinta polarità tra positivo e negativo.
Insiemi non disgiunti, a cura di Rosa PiernoInsiemi non disgiunti, la mostra con cui la galleria La Nube di Oort ha voluto rendere omaggio all'anno internazionale dell'astronomia 2009, nasce da un'idea della scrittrice Rosa Pierno che ha voluto accostare immagini del mondo della scienza e dell'arte e opere di poeti che hanno voluto ispirarsi a esse, in una visione trasversale sul mondo dell'intelletto.
La mostra non vuole avere un carattere ideologico o programmatico, è un invito a riflettere sulle affinità formali sorprendenti tra alcune opere d'arte e disegni e immagini del mondo della scienza.
Non viene suggerita una qualche influenza reciproca diretta; a volte le similitudini sono frutto del caso, a volte l'impatto delle conquiste della scienza trova una eco emotiva più forte e sofisticata nell'immaginario degli artisti, ma a volte ci sembra trovare, e questo è più sottile, una diretta matrice comune, un qualche substrato mentale comune responsabile dei formalismi con cui ci si esprime.
In mostra ci sono le opere di Bizhan Bassiri, Giulia Napoleone, Luigi Veronesi, Edith Urban, Renèe Lavaillante, Peter Flaccus e Gianfranco Baruchello.
Il catalogo che accompagna la mostra li mette a confronto con pensieri e studi degli scienziati Wilhelm Herschel, Galileo Galilei, Albert Einstein, Alexander Fridman, Henri Poincaré, il gruppo Glashow-Weinberg-Salam e Silvio Calloni.
I poeti Luigi Trucillo, Rosa Pierno, Marco Furia, Gilberto Isella, Gilles Cyr e Ermanno Guantini, hanno accettato un percorso "deterministico": accompagnare con le parole, con la cadenza dei loro versi, le immagini scientifiche del catalogo. Tutte poesie inedite.
Non poteva mancare un testo di Lucrezio, che al mondo fatto di atomi e vuoto ha dedicato versi bellissimi.
In attesa che il Consiglio dei Garanti e il Consiglio Editoriale tornino presto operativi con la direzione di Flavio Ermini,
per l’invio della raccolta inedita, già prevista al 10 gennaio 2020,
Agli autori delle opere già pervenute non si richiede ulteriore adempimento. Per chi intenda proporre il proprio lavoro, si ricorda che la raccolta inedita va inviata all’indirizzo e-mail direzione@anteremedizioni.it, accompagnata da una nota biografica. Tale raccolta (formata da un massimo di trenta poesie) e la biografia devono essere inviate in un unico file in formato DOCX.
Il consiglio editoriale di Opera Prima ha quest’anno deciso di pubblicare i volumi di Giorgiomaria Cornelio e Giorgio Mancinelli.
Ed ecco alcune notizie sul libro di Mancinelli, “Arcana memoria dell’acqua”:
Ricordiamo ai nostri lettori che Opera prima è una collana di poesia dedicata ad autori che ancora non hanno pubblicato le loro poesie in volume. La collana (fondata nel 2003) viene pubblicata in coedizione da Anterem e Cierre Grafica ed è diretta da Flavio Ermini.
È sostenuta criticamente ed economicamente da un Consiglio editoriale formato da note personalità della critica letteraria e della filosofia, oltre che da poeti e artisti. Tale Comitato è affiancato da un Consiglio dei garanti costituito da Eugenio Borgna, Umberto Galimberti, Vincenzo Vitiello.
Tale gesto editoriale ha un’ambizione: non far ricadere i costi editoriali e di distribuzione sull’autore. A questo proposito la Direzione, il Consiglio editoriale e il Consiglio dei garanti mettono a disposizione la loro esperienza gratuitamente.
Opera prima è una collana di poesia dedicata ad autori che ancora non hanno pubblicato le loro poesie in volume. La collana (fondata nel 2003) viene pubblicata in coedizione da Anterem e Cierre Grafica ed è diretta da Flavio Ermini.
È sostenuta criticamente ed economicamente da un Consiglio editoriale formato da note personalità della critica letteraria e della filosofia, oltre che da poeti e artisti. Tale Comitato è affiancato da un Consiglio dei garanti costituito da Eugenio Borgna, Umberto Galimberti, Vincenzo Vitiello.
Tale gesto editoriale ha un’ambizione: non far ricadere i costi editoriali e di distribuzione sull’autore. A questo proposito la Direzione, il Consiglio editoriale e il Consiglio dei garanti mettono a disposizione la loro esperienza gratuitamente.
Due sono i vincitori di quest’anno: Giorgiomaria Cornelio e Giorgio Mancinelli.
In attesa di fornire qualche anticipazione sul libro di Mancinelli (“Arcana memoria dell’acqua”), forniamo qui alcune notizie sul libro di Cornelio, “La promessa focaia”:
La Giuria, riunitasi il giorno 25 luglio 2009 dalle 15,30 alle 18,00 nella sede della Regione Abruzzo a Roma, ha esaminato le opere concorrenti nelle tre sezioni del premio.
Per la sezione I^ (opere propriamente poetiche), è emersa la seguente terna di finalisti:
La Giuria, composta da Renato Minore (Presidente), Filippo Maria Ferro, Giuseppe Langella, Cesare Milanese, Giancarlo Quiriconi, Jacqueline Risset, Marco Tornar e Raffaele Saraceni (segretario con diritto di voto) si è espressa giovedì 30 luglio proclamando
vincitore della sezione I^
Cesare Viviani
Per la sezione II^ (opere di riflessione teorica e critica) la Giuria ha scelto i seguenti finalisti:
Giovedì 30 luglio ha proclamato
vincitore della sezione II^
Remo Bodei
Per la sezione III (poesia inedita), è emersa la seguente terna di finalisti: Claudio Caldarelli, Fabio Franzin, Giuseppe Vetromile.
Giovedì 30 luglio la Giuria ha proclamato
vincitore della sezione III*
Fabio Franzin
Il segretario coordinatore
Raffaele Saraceni
4 Nelio Sonego Rettangolareverticale
5 Editoriale
7 Franco Rella La poesia e la sua ombra
10 Pascal Quignard Da Piccoli trattati (tr. Adriano Marchetti)
22 Clemens-Carl Härle L'apostrofe
28 José Ángel Valente Da Mandorla (tr. Alessandro Ghignoli)
30 Nelio Sonego Rettangolareverticale
31 Antonio Prete Il passo leggero della presenza
34 Giorgio Bonacini Avvicinamenti
36 Ranieri Teti Passaggi. Notturni
39 Carlo Sini Darsi del tu
41 Nelio Sonego Rettangolareverticale
42 Katarina Frostenson Da Ioni (tr. Andreas Sanesi)
46 Ida Travi Da Neo/Alcesti. Canto delle quattro mura
48 Marina Cvetaeva Il roveto (tr. Elena Corsino)
54 Angelo Urbani Rituale
55 Alfonso Cariolato Tu, a te
59 Alberto Folin - Gilberto Lonardi Tutoyer
65 Alberto Cappi Altri materiali per un frammento
66 Susanna Mati «I mortali, questi fili di vento»
69 Angelo Urbani Verticalità
70 Marco Furia Poesie
72 Jean-Marie Gleize I miei denti si rompono (tr. Alessandro De Francesco)
84 Federico Ferrari Da lontano. Io, tu, noi
86 Flavio Ermini Da L'originaria contesa tra l'arco e la vita
90 Autori di questo numero
92 Biennale Anterem di poesia
94 Premio di poesia Lorenzo Montano
Il nome "Anterem"
Il nome "Anterem" nasce porgendo attenzione al valore originario della parola, chiamata a essere il luogo di raccordo tra sensibilità e percezione. Questa espressione fa cenno all'«= 0» hölderliniano (Il significato delle tragedie) che a sua volta evoca l'«uguale a zero» di Sofocle (Edipo re).
Altri riferimenti si trovano nelle «archai» che Nietzsche colloca nel «sottosuolo della storia» (Umano, troppo umano) e che Deleuze e Guattari affidano a quella parola rizomatica (Rizoma) a cui è dedicata la prima serie della rivista.
Ma l'opera su cui esplicitamente fa presa il nome "Anterem" è la Scienza nuova di Vico, dove leggiamo: «Il più sublime lavoro della poesia è alle cose insensate dare senso, ed è propietà de' fanciulli di prendere cose inanimate tra mani e, trastullandosi, favellarvi come se fussero, quelle, persone vive. Questa degnità filologico-filosofica ne appruova che gli uomini del mondo fanciullo, per natura, furono sublimi poeti».
Le cinque serie di "Anterem"
Il lavoro di ricerca di "Anterem" ha le sue fondamenta nella grande poesia europea e le cinque serie lungo le quali fin qui si articola il suo cammino di conoscenza corrispondono alle diverse strategie messe in atto nell'ambito di questa tradizione per giungere a nominare la parola nel suo primitivo valore - poetante e insieme pensante -, con le sue inaugurali potenzialità di creazione della cosa, di creazione del mondo.
È una ricerca che ha le sue radici nella Grecia arcaica dei Nomothetes e si inoltra con decisione nell'aperto a cui conducono le strade tracciate da Arnaut (le sestine), Petrarca (Fragmenta), Scève, Ronsard (Sonnets pour Hélèn), Jodelle (i sonetti), Nerval, Jean de Sponde, Hölderlin, Rimbaud (Illuminations), Mallarmé, Rilke, Ungaretti, Char, Celan, Zanzotto.
Prima serie (1976-78)
La prima serie ha per nome La parola rizomatica. Aperti in squarci.
Nasce per una letteratura "senza generale" e all'insegna del comandamento di Kant:
«Sapere aude», osa servirti del tuo intelletto.
Evidente nei primi numeri il riferimento a Rizoma di Deleuze e Guattari, volume pubblicato proprio l'anno della fondazione della rivista: 1976.
Vanno ricordate le parole di Silvano Martini (uno dei fondatori di "Anterem") sul concetto di letteratura rizomatica, perché costituiscono un vero e proprio programma per la prima serie.
«L'albero e il rizoma sono strutture che stanno a indicare due tipi opposti di letteratura. Cos'è un rizoma? Un fusto sotterraneo di piante erbacee perenni, simile a una radice. L'albero, invece, possiede un fusto esterno al terreno, che poggia su radici e si espande in rami. La letteratura arborea è centrica. Quella rizomatica è acentrica. Nella prima tutto si svolge tra vertice e base, in rapporto di chiara concatenazione e di rigida dipendenza. Nell'altra, ogni svolgimento è base e vertice insieme, e tutti gli svolgimenti hanno la medesima importanza. La letteratura rizomatica permette qualcosa di specifico che normalmente non si dà: il collegamento di un punto qualsiasi con un altro punto qualsiasi della sfera vitale. Questo significa che la circolazione del senso ha una libertà illimitata».
Tali riflessioni - pubblicate sul n. 7 (aprile 1978) della rivista rivelano che è svanita l'idea di un centro unitario che rappresenti un riferimento sicuro per la nostra esperienza.
Seconda serie (1978-83)
Il nome della seconda serie è Forme dell'infrazione. Il suo programma consiste nell'elaborare nuove strutture di pensiero e dare vita a forme espressive adeguate a parlarne. È il periodo "sperimentale" della rivista, durante il quale viene svolto un grande lavoro intorno allo svuotamento della parola (con preciso riferimento a Mallarmé), alla sia frammentazione (tenendo conto del pensiero di Nietzsche), alla sua connessione con la caducità (Kafka).
Viene seguita alla lettera l'indicazione di giungere all'unità preriflessiva, prelogica della parola. A contatto con le nostre ombre interiori.
L'inexplicable dispiegato è già la nostra instabile e provvisoria dimora. Dietro di sé non ha il verbum divino, ma l'ingens sylva dello stato demonico arcaico.
La rivista si dà con questa serie due occhi esterni e uno interno; un piede nel firmamento e uno sottoterra. Inizia a far segno, con Sofocle e Hölderlin, allo zero, quale effetto di una cancellazione che lo precedeLa poesia mette la propria presenza in contatto perenne con il segreto del mondo.
Ecco perché fondamentale diventa oggi il compito al quale sono da sempre chiamati i poeti: guarire le parole, consentendo l'emergere di un dire che ci preesiste: quella «vera narratio» vichiana, dove fantasia e conoscenza sono una cosa sola. Giungendo a codificare nella frase poetica non solo un'espressione artistica, ma anche vere e proprie forme di sopravvivenza.
Terza serie (1983-93)
Le ragioni della poesia. Questo è il nome della terza serie. Qui viene propugnato uno sguardo che muova dalla poesia, dal pensiero nascente.
Qui si parla della responsabilità etica del poeta chiamato a corrispondere al testo.
Qui si afferma che il poeta è colui che parla dal linguaggio e che cerca di condurre il lettore alla convergenza del sapere con l'inconosciuto. Su quel confine spetterà a chi legge individuare la soglia.
Il poeta in fondo ha un solo compito, ma capitale: spingersi fino al limite del dire oltre il quale ha luogo la contesa originaria che nomina l'iniziale differenziarsi del tutto.
La parola del poeta conduce in realtà all'ascolto di se stessi e non della poesia. Ecco perché la parola che stiamo ascoltando è vicinissima a ciò che siamo. Ecco perché scopriamo che non c'è diversità tra quella parola e il silenzio che porta diritto a noi stessi. La poesia, come suggerisce Paul Celan, è «forse soltanto uno sviamento che porta da te a te». Tale riflessione è molto importante. Sarà in questo «sviamento» che il lettore si collocherà. Questo «sviamento» nasce dal desiderio di dare respiro al respiro della parola; scaturisce dalla necessità di far risuonare il silenzio originario, quel silenzio da cui ognuno di noi proviene e nel quale ciascuno, leggendo, torna a dimorare.
Quarta serie (1993-2001)
La quarta serie della rivista è dedicata alle Figure della duplicità.
In queste pagine viene, sì, ribadito che nell'alleanza tra parola poetica e parola cognitiva sta la strada percorribile per l'esperienza di pensiero del poeta; ma si annuncia altresì che ulteriori e decisivi spostamenti vanno compiuti. Utili a introdurci in una tonalità poetica complessa e rischiosa. In una pratica della scrittura di cui non è agevole immaginare i contorni e gli esiti. Uno scrivere che della parola sconvolga i margini, alteri i limiti e mostri le irrisolte contraddizioni. Uno scrivere che si volga alla produzione di segni di nascondimento, dove la parola produca i termini del silenzio da cui trae origine.
Come "Anterem" intenda la duplicità viene messo in rilievo nel numero dedicato all'Endiadi (n. 59, dicembre 1999).
Endiadi, hén diá dyóin, uno per mezzo di due: non una generica ambiguità, ma l'"endiadi", la vera e propria irriducibile compresenza del due-in-uno.
S'impone, con questa figura della duplicità, la controversa questione sul senso che nel testo si articola quando nella parola viene ripristinata l'inaugurale coappartenenza tra voce e silenzio, mantenendo ferma la differenza che il mondo, costituendosi in categorie, sopprime.
Quinta serie
La quinta serie, tuttora in atto, è dedicata agli Elementi della percezione.
Il rapporto fra parola e cosa torna a farsi cruciale. Le cose sono nel raggio dell'attenzione. Ma, come ci dicono i poeti e i filosofi, non se ne coglie mai con esattezza l'essenza.
L'uomo conosce soltanto segni vuoti, non le cose in se stesse. Per conoscerle sono necessari all'uomo una mediazione (il linguaggio), delle leggi (quelle della ragione), l'osservazione (attraverso i sensi). Va da sé che l'uomo può conoscere solo la propria ombra (data dal linguaggio, dalle leggi, dai sensi) che lui stesso frappone tra sé e le cose. E con la parola può esprimere solo la propria opinione.
Il tempo dell'aggancio alle cose diviene un gioco interminabile di avvicinamenti e allontanamenti. E di scoperte minime, che, pur raggruppate, forniscono una somma solo parziale di dati. O una somma totale insensata; essendo l'ingrandimento di un solo addendo: quello più evidente per l'occhio che si muove sul mondo.
Il risultato ultimo, ammesso che ci possa essere, è sempre eleatorio. E quando circoscriviamo quello che ci sembra essere prossimo al vero, avvertiamo ancor più che il nostro calcolo richiede una revisione, che quasi sempre richiede il congedo dall'abituale modo di vivere e pensare.
4 Leonardo Rosa Alphabet
5 Editoriale
7 Friedrich Hölderlin Der Frühling
8 Franco Rella La parola postuma
11 Antonio Prete Tra il dire e il mare
13 Leonardo Rosa Alphabet
14 Jacques Garelli Da Fragments d'un corp en Archipel (tr. Federico Leoni)
24 Vincenzo Vitiello Ciottoli
26 Flavio Ermini Dal silenzio (tr. François Bruzzo)
30 Stephanie Prabulos Untitled
31 Susanna Mati Dissidio del dire
33 Tiziano Salari Sapientia tragica e vita
41 Ida Travi Teoria poetica del basso continuo
44 Enrica Salvaneschi Tra via, ovvero "in via"
46 Ranieri Teti Ombre sotterranee
50 Stephanie Prabulos You Lied
51 Sergio Givone Il logos della vita
53 Massimiliano Finazzer Flory Dire, dis-dire
55 Alberto Folin Essere, "nuda vita" e dignità
58 Jacques Roubaud Da Quelque chose noir (tr. Alessandro De Francesco)
68 Giorgio Bonacini Da L'infanzia dei nomi
71 Jean-Christophe Bailly Il proprio del linguaggio (tr. Margherita Orsino)
77 Federico Ferrari Sub specie aeternitatis
80 François Bruzzo Fa(tali)smi delle lingue senza alberi
83 Marco Furia Insicuro coraggio
85 Christian Hubin DaDont bouge (tr. Margherita Orsino)
95 Walter Friedrich Otto Saggi su Hölderlin (tr. Susanna Mati)
104 Leonardo Rosa Alphabet
105 Friedrich Hölderlin La primavera (tr. Giampiero Moretti)
106 Autori di questo numero
108 Premio di poesia Lorenzo Montano
È uscito il nuovo libro di Rosa Pierno, Trasversale, Verona, Anterem Edizioni, 2006.
Il volume è risultato vincitore della XV edizione del Premio Feronia - Città di Fiano, sezione “Poesia”.
Rosa Pierno redattrice della rivista Anterem.
Riportiamo qui di seguito una pagina dell’opera.
Da “Trasversale”, Anterem Edizioni
Orbite, sovrapposte a cerchi e a sfere, mostrano trasparenze inusuali la cui unica spiegazione risiede nella loro dislocazione all’interno di un disegno, non certo del sistema solare.
Oltre ai nostri corpi e al vuoto non v’è più nulla. Solo noi nel mondo. Se è vero che le cose universe non debbono ridursi di mano in mano al nulla, ma debbono permanere indistrutte, corpi non possono essere divisi in nessun modo. È questo l’assioma dell’amore. L’indivisibilità degli amanti.
Sfruttando le diverse combinazioni si può rendere visibile ciò che era latente, un interesse per la trigonometria. Per le relazioni amorose geometriche a tre. Moti vibrazionali e vere e proprie scene di tripudio accompagnano ogni accoppiamento inusitato. Gli accoppiamento vibronici non avvengono utilizzando arti meccanici. Le novelle simmetrie rappresentano le infrazioni, gli stati molecolari proibiti dall’ortodossia. Rapporti integrali assumono di norma la posizione speculare o quella retrograda. La traslata si attua quando la molecola interagisce con altri gruppi di appartenenza.
Ciò che è simmetrico è ben equilibrato. Dal proporzionale, in cui il rapporto delle lunghezze è razionale, si passa al giusto mezzo: stato d’animo che dista ugualmente dagli estremi del bene e del male, ma, qui, si trapassa dall’estetica alla morale con un salto ingiustificato.
I moti relativi dei corpi in un dato spazio non sono identici, poiché il tempo rallenta e accelera. È relativo l’amore come pure il dissapore. È necessario prendere in considerazione le storie personali, le capacità innate e la preparazione culturale. Prima di uscire dalla stanza per entrare nello spazio siderale, deponi un bacio sulla mano, non darmi un addio di circostanza. Ipotizzando spostamenti, sempre limitati, anche in altre direzioni, non si può escludere che non finisca con l’incrociare un corpo di forma sinusoide, biondo. La relatività non si può applicare al caso fortunato. L’incontro può rapidamente stabilizzarsi e diventare un fenomeno solido nel tempo. Sperimentalmente si può calcolare ciò che non è relativo: la grandezza dell’amore, la durata siderale di un istante emozionale.
Nell’infinito è possibile tutto ciò che al nostro intelletto appare impossibile e contraddittorio. Ci si può amare solo nell’infinita proiezione, nell’impossibile fondazione.
Complicazioni, contrazioni non ci avvicinano a un punto medio, a una convergenza, nemmeno su una linea che ha svolgimento infinito. È del tutto puntuale un nostro allineamento, un gemere all’unisono, un godere simultaneo.
L’universo sebbene non coincida né col sole né con la luna è tuttavia sole nel sole e luna nella luna. Molteplicità degli enti contratta in unità dell’universo. Universo non è nulla senza te che lo abiti. Senza di me che ti osservo.
Nessuna tra le forme è più perfetta di un’altra e nessuna meno adatta a vivere. E le più semplici non è detto che siano le più antiche. Vantaggi non si rinvengono necessariamente nelle forme evolute. Che le cose modificandosi migliorino è professione di fede.
Il volume può essere richiesto direttamente ad Anterem Edizioni.
In questo lavoro, Bonnefoy ci parla di alcune opere esposte nel museo del Louvre e dei loro autori - tra i quali, Delacroix, Poussin, Georges de la Tour, Vermeer -, affidandosi all'emozione poetica e alla sorpresa del sogno.
Lungo un cammino che non ha percorso né traccia - mediante cenni minimi, leggerissime note, appena percettibili, ma determinanti per la meditazione e la memoria - la riflessione si precisa in un'esperienza interpretativa che nulla concede alle categorie conosciute.
In queste annotazioni - nate, come indica lo stesso Bonnefoy, «sotto il segno dell'incompiuto, dell'abbozzo, dell'impossibile» - nulla fa pensare al superfluo e all'esornativo. Tale purezza ha il dono di farci vedere le opere in tutta la luminosità del loro senso, in tutta la loro bellezza, che balza su con la forza di una verità.
Nel Louvre siamo in quella terra di nessuno che ha alle spalle una visione unitaria del reale e davanti una pluralità impensata di frammenti. Con Bonnefoy ci caliamo in un'atmosfera di ripetuta scoperta, nel flusso di un racconto che si dirama quasi da solo. Guardare equivale ad accelerare il corso delle riflessioni, ritrovare qualcosa che la polvere dei giorni non ha offeso, ma soltanto velato.
Il «grande spazio» rappresenta un mondo che noi abbiamo perduto e insieme lo sbocco verso un mondo diverso. Contiene dati appartenenti al labirinto dell'immaginazione e ai canoni di una libertà che mai potrebbe accettare leggi troppo vincolanti.