“Inoltre: l’alfabeto ancora allude, nella sua figuratività implicita, a una fase dell’esperienza della parola in cui il suono e la visione non erano disgiunti. Originariamente, i segni espressivi e comunicativi umani erano ‘simballici’, cioè contenevano un suono e un’immagine di senso, ‘psichicamente’ percepiti come un’unità indivisa: il suono aveva figura e la figura aveva suono (non ‘riproduceva’ un suono). Questa primaria esperienza diede forma e significato al mondo, cioè alle esperienze umane delle forme, delle figure e dei suoni tra loro interconnessi e a loro volta intrecciati con le esperienze primarie della vita (cibo, sesso, riparo, ecc.).
Carlo Sini, Idoli della conoscenza, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, p. 136 (§ “La semantica bisferica di Alfred Kallir”)
“Per la parola poetica non si tratta di afferrare le cose, come vorrebbe la ragione, ma di incontrarle. Nominando la cosa, la poesia le assegna il suo destino così come lo assegna a se stessa.
Poesia non è la messa in scena di una realtà preesistente, esterna all’invenzione linguistica. Poesia è nuovo evento”
Flavio Ermini, “Editoriale (Poesia-musica-parola-suono)”, in ‘Musica/Realtà’ n. 66 (novembre 2001), p. 28
“Se, da un lato, Mallarmé è intento a celebrare con incrollabile fede gli ideali di salvezza che sprizzano dalle scintille – anche le più caduche ed effimere – della parola, dall’altro, è dedito con sovrana abilità all’arte di manipolare i segni. Conosce tutti gli ingranaggi della macchina linguistica: suprema finzione che, attraverso un progressivo depauperamento, discende dal Verbum oramai inattingibile nella sua perfezione”.
Arturo Mazzarella, La potenza del falso. Illusione, favola e sogno nella modernità letteraria, Donzelli Editore, Roma 2004, pp. 139 – 140 (§ “All’inizio era la favola”)
“L’aspetto orale della poesia sottostà, in perpetuo moto, sul fondo di ogni forma scritta: sin dalla nascita d’ogni alfabeto, tra oralità e scrittura s’è stabilita una relazione inscindibile, un vincolo aperto, sempre in atto. In nome di questo vincolo, da tempo immemorabile i modi dell’oralità sopravvivono nelle opere, in ogni poesia scritta, e continuano a mostrarne la grandezza”.
Ida Travi, “Nel ritmo segreto del controcanto”, in ‘Musica/Realtà’ n. 66 (novembre 2001), p. 65.
“…Sui fonogrammi e sonogrammi ottenuti è stato possibile trovare le curve di inviluppo dei valori medi delle frequenze incontrate nell’analisi delle frasi raccolte nello stesso gruppo etnico. <…> I diagrammi di queste curve sono stati chiamati da Tomatis etnogrammi e mostrano per ogni gruppo etno-linguistico le zone frequenziali di maggiore sensibilità uditiva.
Ogni gruppo etnico-linguistico ha la postura del suo linguaggio, conseguenza del suo modo di ascoltare”.
Concetto Campo, “Il metodo Tomatis. La tecnica e gli esercizi per migliorare l’attenzione e facilitare comunicazione e apprendimento”, in ‘Riza – Scienze’, n. 234 (novembre 2007), p. 56 (§ “Il fascino della lingua straniera”)
“Le arti performative intrattengono un duplice rapporto con il tempo: in quanto opere d’arte durano nel tempo e le loro tracce (partiture o registrazioni) sono oggetti tra gli altri oggetti del mondo; in quanto esecuzioni hanno luogo nel tempo e cessano di esistere con la conclusione dell’atto che le fa risuonare”.
Michela Garda, L’estetica musicale del Novecento. Tendenze e problemi, Carocci, Roma 2007, p. 133 (§ “Tropi della caducità”)
“Tutti sanno che il jazz è una musica che vive nel costruirsi estemporaneo proprio di ogni esecuzione. Ma l’esecuzione, nel jazz, è sempre anche improvvisazione.
Certo, il musicista jazz dispiega i propri disegni melodico – armonici quasi sempre fondandosi su una struttura predefinita, magari anche scritta, ma l’opera non è mai riducibile all’artefatto depositato sulla partitura. Il musicista jazz costruisce lavorando sul costruito (la partitura) e ridonandogli sempre nuova vita; facendolo vivere in modo sempre diverso.
Massimo Donà, Filosofia della musica, Bompiani, Milano 20073, p. 161 (§ “Il jazz metafora di un costruire in-finito”)
“Musica, scrittura, denaro, sono insomma i vertici di un sacro triangolo della personalità e del cinema di Coppola.<…>Sin da piccolo, Francis gioca col registratore, evidentemente oggetto familiare a casa Coppola. Lo usa, sui dieci anni, per registrare la musica, poi per sincronizzare i filmini realizzati”.
Vito Zagarrio, Francis Ford Coppola, Roma, Il castoro 19952, pp. 19-20.
“Saper dire il mondo soltanto elaborando simulacri d’ordine inevitabilmente seriali (parola dopo parola, nota dopo nota, tocco dopo tocco di pennello..); e non poterne invece mai esprimere – come lo esprimerebbe, per assurdo, una composizione musicale istantanea - l’ordine reale e l’esistenza concentrata tutta “in un punto definito nel tempo”: insomma, quella “contemporaneità collaterale” indicataci da William James che incessantemente rilancia la sua sfida beffarda alla vis generandi dell’Arte e degli artisti”.
Giovanni Guanti, “Contemporaneità collaterale”, in ‘Prospettiva Persona’, n. 51 (marzo 2005), p. 82.
PAROLA POETICA, SUONO, PENSIERO
Il seminario riprende il filo di un discorso avviato dalla rivista di ricerca letteraria ANTEREM, che dedicò il suo sessantatreesimo fascicolo (dicembre 2001), intitolato “La musica pensa la parola. La poesia pensa il suono”, all’insurrezione della parola poetica contro il linguaggio inteso precipuamente come rigida e unilineare struttura logicizzante e astraente. Non a caso, questo fascicolo uscì congiuntamente al numero sessantaseiesimo di ‘Musica/Realtà’ (“Poesia – Musica – Parola – Suono”, novembre 2001), una rivista di taglio invece prettamente musicologico, per ribadire con ancora più forza il diritto dei poeti di favorire, in quanto “custodi della parola”, la transizione fra codici differenti: religiosi, etici, filosofici, scientifici, politici e, ovviamente (o forse principalmente) anche musicali.
Per riprendere appunto il filo di quel discorso, nella speranza di estenderlo in una nuova direzione, questo seminario vuole rendere innanzitutto omaggio alle ricerche pionieristiche e alle originali scoperte di due insigni studiosi: Alfred Kallir (1905 - 1988) e Alfred Tomatis (1920 – 2001). Per quanto svolti in ambiti, e con metodologie e con finalità, assai distanti, i loro lavori – rispettivamente concepiti per risalire alle origini primordiali dai diversi caratteri alfabetici e ideogrammatici, e per dimostrare che “siamo ciò che ascoltiamo” - possono trasformare alla radice l’approccio al suono dei musicisti e quello alla parola dei poeti.
La semantica bisferica (ossia visiva e fonetica a un tempo) di Alfred Kallir ipotizza infatti l’esistenza di un primordiale sistema di segni che si rivolgevano contemporaneamente all’occhio e all’orecchio, prima che queste due direzioni si sviluppassero separatamente nel linguaggio orale e in quello scritto. Essa permette, quindi, di riconsiderare da un’inedita angolatura sia il progetto di molti poeti di “ricomporre la separazione tra i nomi e le cose”, superando tale iato con la conquista di quella che non si saprebbe chiamare altrimenti che una Lingua Edenica o Adamitica; sia il progetto, in tutto e per tutto contrapposto al primo, di molti musicisti di allargarlo invece sempre più, per evadere con l’improvvisazione dalla “prigione del pentagramma” affinché, finalmente, non abbiano più a incrociarsi il destino fugace dei suoni liberati nell’aria e quello aere perennius delle note cristallizzatesi sulla carta.
Quanto ad Alfred Tomatis, gli si farebbe torto ad associarlo unicamente al celebre metodo che porta il suo nome: metodo che, com’è noto, ha permesso di migliorare in molti campi l’attenzione e l’apprendimento con il training audiogeno, ottenendo straordinari risultati anche nella guarigione delle dislessie e dell’autismo. Tomatis, infatti, oltre alla pratica clinica, si dedicò a indagini analoghe a quelli di Kallir, almeno sotto il profilo della coraggiosa e libera visionarietà. Da esse uscirono, tra l’altro, gli etnogrammi, da intendersi quali prove scientifiche che per ogni diverso gruppo etnico-linguistico esistono zone preferenziali, o “bande passanti”, entro le quali i suoni vengono percepiti con maggiore nitidezza. Prove che non lasciano senza risposta la domanda che ogni poeta (e ogni musicista che affronti un testo poetico come compositore o come interprete) non può fare a meno di porsi – e che un bimbo formulerebbe in questi termini disarmanti: “Perché le varie lingue dell’uomo suonano così diverse l’una dall’altra?” -
Nelle sue due mezze giornate di lavori il seminario presenterà al pubblico una sintesi delle riflessioni di Kallir e Tomatis, mettendole a confronto con alcune concezioni tanto più esemplari quanto più forti dell’oralità poetica e musicale. inquadrando storicamente la tensione verso il Verbo Edenico non soltanto in poeti quali Mallarmé e Valery ma anche nella più recente produzione cinematografica d’autore, per misurare infine il perimetro della “prigione della pagina” (anche pentagrammata) e le risorse utili per evaderne – qualora lo si desideri - senza troppi danni.