Nicola Ponzio è nato a Napoli nel 1961. Vive e lavora a Torino.
Poeta e artista, ha esordito pubblicando suoi testi poetici in varie riviste letterarie italiane, tra cui Nuovi Argomenti, Galleria e Atelier.
Suoi versi sono presenti in diverse antologie, ultima, Il presente della poesia italiana, a cura di Carlo Dentali e Stefano Salvi. (Lietocollelibri, Como 2006).
Ha pubblicato le seguenti raccolte poetiche: Gli ospiti e i luoghi (Nuova Editrice Magenta, Varese 2005), L’equilibrio nell’ombra (Lietocollelibri, Como 2007), l’e-book Esercizi del rischio (Biagio Cepollaro E-dizioni, 2007)
Nicola Ponzio: Nota teorica e poesie edite

Appunti e contrappunti di poetica
1
Guardi un albero e dici: bisogna radicarsi nella terra, per volgere lo sguardo verso il cielo. Ed ecco che l’esigenza di una poesia ctonia, terrestre e interrogante, si rivela in tutta la sua energia mortale, entropica. Mai separata dall’idea di doversi confrontare con la nuda brevità dell’esistenza.
2
La poesia, ovvero, il ritmo come forma del respiro. Scrivere per me significa cercare un ritmo che coincida col respiro, un continuo tra mente e corpo, materia e pensiero, visibile e invisibile, che superi il sistema binario delle rappresentazioni. Da qui il difficile equilibrio di una scrittura che pare sempre sfuggire di fronte al proprio referente. L’alterità che cerco così di rappresentare (mai di descrivere) è colta dall'interno della sua eterna e presente contraddizione. Specchio di ogni agire umano.
3
L’esperienza del vuoto, di fronte alla pagina bianca, determina il conflitto con la necessità. Nasce così l’urgenza di stabilire delle priorità rispetto alla propria ricerca. Rigore, consapevolezza, ascolto. Ancora, una scrittura poetica che non si confronti anche con il corpo di una comunità in divenire, oltre che con la caducità inerente alla propria biologia ed esperienza mortale, rischia di apparire infeconda, arida. Conseguentemente è probabile che non produca frutti autentici, ma solo surrogati di maniera.
4
Etica ed esperienza devono necessariamente coincidere, per rompere il silenzio. Soltanto in seguito si appresta la parola. La lingua poetica diventa così territorio privilegiato d’indagine, meditazione e pensiero. Analogamente alla natura che le fa da specchio, nella sua molteplicità ed erranza. Lingua e natura, quindi, connaturate all’uomo e identificabili alla stregua di un’interrogazione enigmatica intorno al senso dell’essere e al divenire, al destino e all’alterità.
5
Ma la poesia è anche silenzio. Pausa. Inspirazione, espirazione. Assenza e separazione. Veglia. Attesa. Rotta. Oblio.
6
Nell’aperto l’universo metamorfico della poesia si manifesta in tutta la sua crudeltà e bellezza. L’aperto, ovvero la natura ignota e liberatrice, ci espone al rischio dell’erranza totale, al nomadismo definitivo e inafferrabile. La coincidenza degli opposti si fa esplicita, nel fuoco dei possibili alfabeti.
7
Abitare le parole necessarie, ricavandone un’icona del dolore.
Sottrarre e sottrarre, sempre, e senza tentennare. Vigilando sul respiro e sul silenzio. Ubbidendo a un comando. Aggiungere il giusto sostanziale perché l’osso non ferisca ma affratelli. Come un talismano appeso al collo.
8
Pensare obliquamente rispetto alle categorie logiche del sapere scientifico. Curare le relazioni tra gli enti interrogando le parole con umiltà e coraggio, confrontandosi con la tradizione e ponendosi in ascolto con l’alterità.
La poesia si espone all’apertura spazio-temporale dell’ossimoro e della contraddizione, offrendo la possibilità di esplorare gli abissi della coscienza umana e della percezione del mondo. Senza pretendere salvezza né conforto.
9
Dove finisce la mia poesia comincia quella di un altro.
Dove comincia la mia poesia?
Dove finisce la tua poesia?
Tornare per partire per tornare.
10
La coscienza della dissipazione dovrebbe essere compresa in ogni autentica poesia. Non desidero specchiarmi sulla carta, piuttosto sprofondarvi per riemergere diverso, dopo una lunga apnea. Dall’uomo all’uomo, da un respiro a un respiro firmando una rotta, nella consapevolezza di non pretendere nessun compenso, nessun onore che già non sia connaturato al dono di poter scrivere qualcosa di umanamente autentico, in una forma che passerà.
11
Diciamo addio a ogni poesia che ci consoli. Basta! Occorre affrancarsi definitivamente da questi limiti. La caducità dell’esistenza, il momento presente e continuo del distacco, andrebbero accettati senza rivalse sul reale. Il vuoto a venire è già presente nelle orme di un bambino che cammina sulla sabbia. O dentro gli occhi di una gazza, dove si specchia il mondo. Questo accettare. Questo cantare. Senza pretendere salvezza o compromessi.
12
Si scrive sempre da un esilio, da una separatezza, affinando le parole in un abbraccio che sia partecipe di ogni cosa del mondo: i riflessi dell’alba su un filo d’erba, le ombre tremolanti sulla neve, il fuoco lungo i margini di un bosco.
Rinunciare all’attaccamento a se stessi come se questa fosse la più umana delle priorità. Nessun intimismo, quindi, tanto meno patetici soggettivismi lirici dettati dal narcisismo più bieco.
La poesia oggi non può essere altro che dissidenza. Dissidere, ovvero sedere separatamente, ascoltando con umiltà ma senza cedimenti. Rispondendo con l’apparente fragilità della parola poetica alle iniquità che ci assediano.
13
Si dice piede d’accento, non mano, non cuore, non occhio d’accento, ma piede. Forse per voler sottolineare l’attaccamento dell’unità ritmica alla terra, e quindi al respiro.
Piede = cammino = respiro = ritmo = nomadismo = erranza = poesia.
Da GLI OSPITI E I LUOGHI
Dalla sezione
Il falegname Zimmer
Cedere in silenzio fino a eccedere,
nel silenzio dell’alba. Convertirsi
alla luce e della luce convertire
con coraggio, con pietà le sue radici.
Le sue monete d’oro e d’ombra.
Custodirne l’alimento
nel visibile dominio che protegge
l’ostinata carità di questa carta.
***
Ti metterò alla prova separando
la viltà dalla tua vita.
Dove sbocciano le api alla speranza
di parlare con gli umani,
in questa casa.
Dalla sezione
Gusci
Comunitario è chi con cura riconosce
nella propria alterità
quell’apertura necessaria a condividere
con gli altri la sua fame.
***
Pensare per frasi rotte
con la bocca
del sole che purifica i raccolti.
***
Vivere di espedienti,
per estinguere quel debito contratto con la luce,
nella stessa planetaria economia
di fame e usura.
***
Parlato l’albero nessuno
parla più.
Sconveniente è il dialogo.
***
Scrivere forse è sottrarre dal buio
l’identità dell’alba.
Premessa che pacifica negli occhi
una sintassi più terrena, responsabile.
Promessa che fa fronte alle menzogne
con la forza di un impegno.
Da L’EQUILIBRIO NELL’OMBRA
dalla sezione
Oscillazioni
Gelsi e il prato un miracolo,
nel gesto di riempire con il cielo
la distanza della carne. L’esile
materia più gelosa.
Scegliere nel nome
di ogni cosa la più giusta decisione.
Credere è questo.
Allontanarsi da sé per ritrovare
la scrittura della vita
in una gioia da disperdere.
***
Coraggio delle scelte mattiniere,
non attardarsi a discutere
che cosa sia più giusto
designare.
Il tempo è nell’anticipo
del falco.
Nel suo respiro
di meteora.
Si danno nomi al mutevole
del cielo senza ipotesi
plausibili per l’erba che rinfranca.
Come se tutto qui dovesse vivere
per noi la stessa gioia,
l’insostenibile esperienza
di un convito
di parole dentro l’erica.
dalla sezione
Gli invisibili
Voglio parole forti.
Concrete.
Simili ad un seme che s’infila
nella crepa
di una ripida parete di granito.
***
Una chiarezza così estrema
non permette
di comprendere la luce
che si maschera di pagine
e di cenere,
per essere vicina ed invisibile.
***
Parlare delle nuvole per dire del dolore
dei mortali.
Mutevolezza
dell’inchiostro che dissimula così
la sua efficacia.
La sua perseverante adolescenza.
dalla sezione
La pagina, il fuoco
Ergersi più audaci dentro il fuoco
di parole che vivificano il cuore
delle scelte.
Impegno che determina
chiarezza.
Nell’estrema libertà di contraddirsi.
***
Una poesia che non ci sappia provocare
si smentisce nell’alone
derisorio
di un pensiero inappetente.
***
Meglio gli scacchi che esaltarsi
per le mezze verità dei merlettai.
Riannodano nel canto per se stessi
le parole dette piano agli impiccati.
Da ESERCIZI DEL RISCHIO
Esiti, - dove si ostinano parole
e resistenza.
Rotoli in preda al silicio,
tra segni elettronici persi
nel vuoto del web.
Ora insisti
sui versi, - ti avviti
sugli input, desisti…
Se nel monitor vibrano impulsi vitali
o già morti, - dati al ritmo di bit
Dalla sezione
Ambienti
Improvviso il rasoio
di un lampo separa gli aironi
serali dall’ampia risaia.
Cromosfera di un’ombra
remota che duplica i pioppi
inclinati irradiando la vista.
Le acque lungo l’asse provvisorio.
***
Incoerente è la fede, improvvisa
la virata di una tortora, - dice
di un luogo il sigillo diurno.
Poi, se sfiorendo si assolve
da sé il paradigma intravisto, - il legame
di luce che svela gli abbrivi, le foglie, -
pure il testo si evolve,
contrasta.
Segue a domanda
domanda, una cura agli indizi
sabbiosi, alle trame di un mandala.
Dalla sezione
Esercizi del rischio
Più debole è la forza che si ostenta.
Ma forte della stessa debolezza
è la forza che arretra con arte
ulteriore, - esponendosi al rischio.
***
Ora maschera – innesta – poi sostanzia
e dispera di sé mentre vira
molteplice un verso di vita.
Il lavoro degli anni, - l’umile
vista o la brina al fermento di credere
vero il volersi felice.
Controversia e primizia.
Disciplina che dura un istante
ulteriore, - distante
da sé e da quel che segue.
***
Mente che mente
e poi s’inluoga – deriva
dalla stessa ambiguità
delle parole questa crescita
di senso.
Come una prima nascita, la rima
intermittente delle acacie.
Avanguardia
di luce che duplica il dubbio
radente una lingua inventata.