La responsabilità della scrittura
Quando incominciamo a scrivere cerchiamo una voce che ci assomiglia; parole che abbiamo sentito e dalle quali vogliamo ricominciare. Questo è il primo contatto con i maestri, nella vicinanza o nella distanza dai loro scritti e dal loro insegnamento: distanza attraverso i libri, vicinanza nel sogno che ricostruisce e trasforma le parole in altri sogni.
Fare poesia, dunque, è l'atto collettivo del percepire e dell'essere percepiti, del
chiedere e del dare conto; ricompensa o abiura non importa. E' la parola come sacrificio, cioè tramite del rendere possibile; dell'alzare il velo dell'apparenza che abitiamo.
Se la poesia è, in fondo, un dialogo col Nulla, con la natura deperibile delle parole e delle cose, essa deve prima attraversare l’umanità tutta, non c’è scampo. Forse è in questo attraversamento che si logora e nello stesso tempo si rende necessaria. Da questo punto di vista, dunque, non si scrive per narcisismo - è pura illusione - ma per attraversarsi. Attraversare il mondo.
Sento sempre di più questa necessità del ricevere attestazione e conferma; scrivere poesie presuppone il gesto della consegna, che è dono nella gratuità, e investe il lettore di un compito. Il lettore è colui che prende visione dei segni incisi, graffiati - questo vuol dire letteratura nella sua accezione etimologica - e se ne fa carico. Egli, tradendo il testo, consegna la tradizione del testo; ne permette il passaggio, il giudizio, nei tribunali della Storia. Il testo si fa giudicare.
La letteratura desidera ritornare a una sua concretezza. Desidera le cose reali, consegnate ai segni, all’immagine astratta dei segni. Questo desiderio non è più, s’intende, materia e carne delle cose, ma il nostos, la nostalgia di un ritorno impossibile. La condizione più naturale della scrittura, dunque, non è la scrivania, il salotto buono, e neanche il computer. La scrittura è ancora atto del graffiare sulla materia sensibile, dello sporcarsi le mani nei segni e disegni incisi nel grande libro dove la foglia è il foglio sono la stessa cosa.
La scrittura è transeunte: permette il passaggio e non rimane, ma rivive, nell'urgenza del nostro tempo, del nostro essere qui, ora.
Se è vero che ogni cosa, mentre vive contemporaneamente muore, la poesia non si sottrae a questo tragico destino e accetta di essere traccia cancellabile e labile. Ma non può rinunciare alla sua necessità, alla sua ineluttabilità: che non è ricerca di nuovo senso – sempre le foglie, noiosamente, cadono e rinascono – ma necessità del suo ruolo.
Ecco perché, a un certo punto, non servono più i maestri, non serve più la letteratura. Scrivere poesie è un gesto che improvvisamente ci lascia soli, nudi di fronte alle cose, agli altri, a noi stessi. Davanti al compito del dire senza gioco, inganno, ma con gli occhi puntati addosso.
Ho scritto libri senza necessariamente pensare a questo. Ma per presagio. Poi ho capito questo dalla lettura che gli altri hanno fatto dei miei libri. Lettore, ipocrita lettore, fratello.
Da La tua voce, inedito
All’insaputa della notte
quel fumo rappreso sul davanzale
portava i canti delle falene morte
il masso sospeso sulle teste
a ricordargli della fine
il primo villaggio
lo strato più intimo sotto
il taglio del lago.
Tu non conosci la pietra
e il segno di quella mano che
rovina nell’attesa.
Dietro le nostre sere, di
una piazza scolpita nelle parole
scivolata ancora più lontana
acerba nei ricordi dei poeti
- perché non sono mai stato come voi
perché non vi ho mai conosciuti
perché non mi siete mai appartenuti -.
Viscida, schifosa nella luce
mostrata veramente come la cena
della sera, qui, nel cerchio, e
consolato dalla durezza
estraggono a sorte, spaventano una
voce aprendola alla Storia.
Così disse, così rivide quello che
non aveva mai veduto, il ramo del
pianto, secco, l’indurita sentenza dei
poeti, questo sei tu, luce
inappagata, ombra rifranta.
Da Giornata, La Vita felice 2003
Tu non ridere di questo sconforto,
della pazienza persa, dei visi che mi
guardano e se ne vanno. Numi tutelari
hanno tracciato strade verso un silenzio
di ritorno, verso un niente che ritaglia gli occhi.
Non voglio più scrivere poesie;
da queste parole in vedetta
ci sarà il tempo di perdere tutto
il resto, tutto il niente che
non abbiamo ancora visto, tutto il
niente che non abbiamo ancora detto.
*
Terra incominciata, sei apparsa verso
sera in mezzo alle parole ed è finito
il mare. Il viaggio si ritrae per altri
anni, ma ora dobbiamo stare, finire il
lavoro che abbiamo incominciato.
Voglio parole in me, senza la musa
oscura che mi ha generato, senza la luce
dell'angelo. Omettere quell'oscuro presagio:
sulla soglia della casa ti perderai.
*
Esiste un ordine e un tempo,
cerco questo in questo tempo:
macerie all'inizio della Storia
un bambino prima di essere bambino.
Guarda cos'è stato il giorno
nelle ore della pioggia: qualcosa è
accaduto e ci siamo già dimenticati.
Esiste il finire di un luogo
l'imparare a morire come all'inizio.
*
Perdonami, non sono all’altezza,
non so dove andare.
Eppure devi restare
devi sorgere dalle lenzuola
devi capire, nell’amaranto delle fragole,
il sangue del crocifisso che ci schizzò in faccia,
ricordi? in quella scena dell’infanzia.
Avremmo dovuto distruggerlo per quella nostra
promessa, trapassare i suoi occhi come nei sogni
fondare una parola che dicesse il dolore
che valesse per sempre.
Ma ora dobbiamo restare
ora che la distanza è netta
ora che ci giudicano e
non accettiamo il giudizio
non vogliamo essere degli altri
come gli altri.
*
Allora qualcuno capisce che tutto è sbagliato
che le parole ci hanno ingannati,
uscendo da una gora
o forse semplicemente volevano dire
che non ci apparteniamo.
Sulla carta il pensiero è violento
calma simulata
fiato trattenuto per non ingoiare il mondo
contenuto, è ingannato dalle forme
per dirle ci separa, ci fa scannare.
*
Scrivo nel lampo che il fiore imprime in me
preceduto dal respiro e dalla calligrafia.
Allora è il vento che mi respira , fratello,
incredulo di un ascolto che a tratti mi governa.
Non c’è più tempo per l’armamentario di
me e della vita mia.
*
NERO SEPPIA
In questo paesaggio
rimangono due mani che vangano la terra
un albero gira ed è tutta la preghiera.
Vorrei essere semplice nel dire
come questo tuo parlare senza colore
l’inizio del segno, o solo la sua conclusione.
Gli uomini sono nel mezzo.
Qualcuno si è allontanato e
ci ha lasciati soli
i poeti rimangono in un cappotto
sono attenti, nella distanza delle mani.
Chi è necessario dice ciò che resta
e non vuole niente.
*
Occhi appena detti nella veglia
liberarsi dall’incanto della neve
delle figure che tornano e pretendono.
Non c’è niente che ci renda felici
non esiste un canto per onorare tutti:
i morti che ci hanno preceduti
i vivi che ci hanno accompagnati.
Chiudere le porte. Ora basta.
Ma i bambini, i bambini in un’aula dove
un mondo è possibile, dove i debiti
saranno rimessi, i bambini che insorgono e
ci chiedono di spiegare il dolore del mondo!
*
Di questo non voglio niente
della casa e del rito degli affetti
delle contese e della storia in un luogo
dove tutti vivono
della chiarezza che pago a peso d’oro.
Costruisco ogni volta un senso coi bambini
li porto a guardare
ciò che saranno e in parte accetteranno:
sciocchezze, riti dello stare e del perdersi.
Di questo non voglio niente
il mondo si ferma e ride di me
o in un sogno reciproco ci desideriamo.
*
Ora sei il poema di me
vita finalmente libera
sei questo pensiero che ho sognato in segreto
il più debole e puro
che non ho realizzato:
essere prova di sé
nell’inganno del mondo
o nella sua salvezza
nei corpi che chiedono ristoro
nelle menti che desiderano una cosa.
Ma questo non sarà possibile
e niente sarà privo di dolore.
“Qui ingannati si sta bene” *
ma un po’ lontano io resto
in una casa protetta dal contegno
mura coatte, distacco e pavimento
un po’ in voi e un po’ ancora
in questa terra dove fallire è una vittoria.
*
Ma una parola nuova è solo una promessa
sospetto un inizio senza conclusioni
per lento soffocamento della parola,
una visione che a malapena prende forma.
Né sguardo, né bellezza
ma solo un vento che cancella e poi ritorna.
*
Io sono felice nell’estate forte
senza respiro
senza visione delle cose
senza il tempo della fatica
che chiede di essere onorata.
Un fermo confine
mostra la separazione
per preparare la preghiera.
Dio della voce ora calmaci
calmaci e custodiscici
dal vero nemico celato nelle parole.
Potenza delle azioni
che liberano e ci salvano:
“non voglio essere amato
voglio amare”.
*
Sei adesso
quello che nessuno dice e non ricordi.
Un baule di poesie sarà lanciato in un pozzo
verso una luce contraria.
Il viaggio è duro e finisce con un’asta
appartenuti a carne trattenuta
(neanche nostra).
Ci attende un fallimento
e le parole ci bruciano
una mano le sotterra
i versi anelano a una prosa chiara e limpida
ma è ciò che chiamiamo
"lotta dura e persa".
Appartenere:
solo questo ha senso
solo a questo passaggio senza senso.
*
Io non voglio niente
di tutto questo non voglio niente.
Nella casa l’odore dei gatti e di una cena
distante il cuore, è più forte ciò che preme.
Ma occorre imparare che
sono quello che non credono e non perdonano
sono una mente sotterrata e palpitante.
Da Dolore della casa, Il ponte del sale 2006
Ma questo sarà detto e
giustificato davanti al tuo dio
nell’incedere del tempo.
Queste parole che consumiamo
saranno pesate e disperate
e daranno tempo per tempo
pezzi di carne per un nuovo universo.
Ci sarà ancora il dolore
ci sarà l’attesa e un forte risentimento
le anime di nuovo dietro tutte le nostre parole.
*
UNA SERA HO PRESO LA BELLEZZA
Ora finalmente ti devo lasciare
devo imparare a dire
da questo distacco della
terra — il sole è giallo.
Nella mia carne ti riconosco e saluto
la bellezza che appassisce, ti
sacrifico le mie ultime parole e
non ti servo.
Muore chi deve morire
uccidimi, se vuoi, nell’ora dei vivi
colpiscimi con forza sul punto più alto
della testa, fallo nella piena luce
senza l’ombra delle parole
rinuncio a qualsiasi salvezza
a qualsiasi perdizione.
*
OLTRE IL GIARDINO
Tutto duro, di qua o di là
da una preghiera tra lo steccato e il
pane — movimento di un muro
crollerà l’universo sulle mie ossa e
rideranno di me questi piccoli capi
asserviti al potere di una scrivania.
Cerca il senso dove c’è stupore, e onore
impara che la morte è promessa
nel destino di tutti gli occhi. E allora
non temere le insegne del potere
e quando ti dicono: rinuncia
scendi a patti, accetta la perdita
dell’innocenza, abiura l’ingenuità
non fare l’offeso
accetta questo mondo o vattene.
*
AVVISAGLIE
Ma tu sei questo, questo soltanto
osso ben piantato nel cuore del mondo
e nella mia testa, nella visione di un mondo.
Accetta il colpire per dovere
- l’essere colpiti per dovere.
Ripeterò nella testa ciò che è taciuto
sotterrerò la pietà dei vivi per necessità.
Fuori: attesa e respiro
il racconto del mondo.
*
TI SARAI SVEGLIATO
Mettersi gli occhiali, guardare bene
per non sprecare le parole.
Ma il male è nelle parole che
vogliono dire il mondo e lo confondono
nelle parole che colmano una voce
sottratta per forza alla sua calma.
Accetta, allora, una breve bellezza
non cercata, sguardo indifferente
nelle cose incustodite.
Custodiscile finché non avranno
timore, indica la strada della loro
disillusione quando le luci, infine, verranno
accese e saremo liberati dal sonno.
*
CITTA’ NOTTURNE
Ti guardo e non parlo.
Era il dolore nei sogni antichi
erano i paesaggi notturni
del mio brancolare senza ali
altezza della fatica
nei pensieri segreti.
Erano città notturne incustodite e
vive, lasciate dagli uomini
assenti, in un altro luogo.
Una luce, questo ricordo
un battesimo di stelle che
chiedono l’ascolto di una voce.
Se scrivo di me, per me, è per tutti
perché non vi conosco, perché non
mi conoscete, come in tutti.
*
PICCOLA TREGUA
I
Ecco, ora hai finito di scrivere, hai ritagliato un
senso, scagionandolo da queste menti
c’è un tempo che sa accoglierci, più mansueto.
Poche immagini per dire ancora: casa
giardino, steccato. O per fermarti
difenderti dalle nuove migrazioni.
Alberi frontali, sentinelle di un cielo
sereno hanno una giustizia per tutti.
Qui siamo al sicuro
il vento di ponente non passerà.
II
Léggere, senza dolore, le immagini degli
alberi, le pietre miliari, le infinite
partizioni. I visi ci precedono nella corsa dei
fiumi — cammino nella campagna, appena
toccato dall’acqua scura.
Parlavi del nulla, delle parole sottratte al
timore delle foglie; guarda, sono calme
dicevi, la tempesta non si alzerà
gli argini sono alti, serrati.