voce e azione scenica Daria Anfelli - coreografia e danza Giuliana Urciuoli
musica originale Andrea Mannucci - voce cantante Patrizia Simone
disegno luci Vittoria Coccia
(da La corsa dei fuochi Moretti&Vitali 200)7
Teatro Camploy 26 e 27 febbraio 2008
Una ‘Corsa’ ricca di poesia e tutta al femminile
Simone Azzoni
Operazione difficile il teatro poesia: è la spazializzazione della parola lirica, la carnalità e la temporalità del presente dei versi. Più facile se è il “femminile” a costruire le sponde entro le quali la narrazione si fonde alla poesia; il femminile che rimbalza dalla platea al palco del Camploy per sostenere LA CORSA DEI FUOCHI scritto e diretto da Ida Travi. La sua poesia dell’ascolto, dell’oralità, dell’evocazione si fa apertura ad altri linguaggi nelle coreografie di Giuliana Urciuoli e nella voce di Daria Anfelli. E’ respiro ampio la loro unità costruita su una sottile, impalpabile struttura che dice della fragilità dell’anima e delle sue vibrazioni.
La parola della Travi che soffia il rapporto tra uomo e natura, le lacerazioni della solitudine, i microcosmi del gesto quotidiano si raffina ulteriormente nei paesaggi disegnati dal corpo e dalla parola.
Le calibratissime Anfelli e Urciuoli diventano il doppio, il testo non scritto, la sottolineatura visibile del silenzio pieno che irrompe negli spazi lasciati dal testo. E’ comunicazione degli spazi bianchi, comunicazione del doppio e delle rifrazioni tra il buio e il colore delle luci disegnate da Vittoria Coccia.
Proposta elegante sostenuta dalla musica ‘einaudiana’ di Andrea Mannucci, La corsa dei fuochi occupa lo spazio intermedio
lasciato libero dal sogno e dal tempo.
Usa l’immobilità, le dilatazioni, la spezzettatura del gesto e la sua ricomposizione, usa il sussurro ampio che cerca rigore, centro, unità e senso nelle terre di nessuno, nelle terre abbandonate dalla logica consequenziale e causale. Usa l’assenza e la fuga, l’imprecisione e la diagonale, la circolarità.
E’ un lavoro che si prende sul serio, da proteggere nelle pieghe del femminile e che segna finalmente una possibilità nuova a tanto teatro di poesia fatto tristemente al leggio.
(Simone Azzoni)