Per capirne potenzialità e limiti, per offrire nello stesso tempo una chiave di lettura e una mappa, un’istantanea della situazione, dal numero 6 “Carte nel Vento” opera una sorta di ricognizione in rete, attraverso i principali operatori della poesia nel web.
Nei numeri precedenti:
Vincenzo Della Mea, Un colpo d’occhio sulla rete della poesia
Christian Sinicco, Qual è il centro? Internet, tra passato e futuro
Luigi Nacci, La grande proletaria dei poetinternauti s’è mossa, o no?1. L’ESPERIENZA DIRETTA – UNA SORGENTE
Ho scoperto Internet nel 1994, quindi in tempi non sospetti. La Grande Rete, per usare un epiteto allora piuttosto comune, era allora molto diversa da oggi. Appena quattro anni dopo la nascita del World Wide Web, storicamente avvenuta in Svizzera presso l’università di Ginevra, quasi tutto il traffico era allora mediato attraverso protocolli poco interattivi e senz’altro neanche somiglianti a quelli attuali così permeati di grafica, come si dice in gergo user-oriented o, usando un termine poco politicamente corretto, idiot proof, letteralmente a prova di idiota. Si parlava allora di trasferimenti di file «via FTP», di «Gopher», di «Telnet», si parlava in chat uno ad uno con interfaccia completamente testuale e si era ben lontani dall’aspetto patinato odierno, così pieno di pubblicità, sempre più somigliante alla TV. Il processo doveva essere, si diceva, di incontro: rendere la TV sempre più interattiva e la Rete più semplice da usare, ma sembra che al momento ci troviamo a seguire una direzione dove l’orientamento unico di tutti i media è solo vendere. Sotto questo diktat sembrano piegarsi tutte le linee evolutive dei sistemi e dei mezzi di comunicazione.
La Rete nella prima metà degli anni ’90 in Italia aveva ancora molto dell’infrastruttura originaria dell’Arpanet voluta dal dipartimento della Difesa USA negli anni ’60 per scongiurare il black out comunicativo derivante da eventuali attacchi atomici nella bassa atmosfera. Ben presto questa rete nata con scopi di difesa si era tramutata in una vitale e rigogliosa rete di contatti tra centri di studi universitari e aveva permesso il fiorire di nuove relazioni veloci, di interconnessione e condivisione per ogni genere di discipline, scientifiche ed umanistiche. Ricordo ancora viva l’emozione di poter ricevere via mail, su richiesta, delle bibliografie direttamente da atenei sparsi per il pianeta: la possibilità di contattare persone lontane con competenze fino ad allora irraggiungibili, poter reperire finalmente «informazione», nel suo significato più pregno e ricco, riuscendo così a soddisfare curiosità ed interessi.
Questa premessa descrive l’esperienza di chi in Italia non aveva mai potuto usare questi mezzi prima; la Rete, appoggiandosi allora quasi solo su sottoreti universitarie (nascevano solo allora i primi Internet Service Provider privati), replicava quasi esattamente la crescita avvenuta negli anni ’70-’80 negli Stati Uniti e dava modo di toccare con mano una libera comunità aperta che molto traeva dalla filosofia dell’Open Source di Richard Stallmann e che nulla aveva a che fare con la commercializzazione di qualsivoglia prodotto. Questa premessa anche e soprattutto per mostrare un modello originario, una sorgente e cercare di chiudere un cerchio al termine di questa trattazione.
2. L’ESPERIENZA DIRETTA – LA CORRENTE
La mia esperienza di scrittura in rete e poi, se vogliamo, il tentativo di fare, in termini figurati, “letteratura” in rete, avviene però in tempi decisamente seguenti e si appoggia su uno strumento ancora legato alla dimensione originaria di Internet. Siamo nel 1999: I forum elettronici, i gruppi di discussione, i newsgroups come vengono chiamati, alla fine degli anni ’90, in Italia hanno ancora un ruolo preminente nel traffico totale, che possiamo definire a buon titolo asfittico se confrontato con quello attuale. I gruppi di discussione letterari sono pochi e due sono quelli che si dividono la grande maggioranza di utenti: si tratta di it.arti.scrivere e it.arti.poesia, nella designazione che ancora mantengono oggi. Sono gruppi frequentati da un centinaio di persone alla volta, con numerose rotazioni e avvicendamenti, di modo che si possa stimare una partecipazione globale all’epoca di circa un migliaio di persone. Il funzionamento dei gruppi è semplice come la dinamica dell’uso che se ne fa: si “posta”, ovvero si spedisce un articolo, un messaggio al gruppo, contenente una poesia, un racconto breve che viene appeso in bacheca; dopo di questo si aspetta un responso, una lettura, un commento; nella migliore delle ipotesi, la nascita da esso di un thread, di un intero filone di discussione. Questo dà la possibilità di condividere quel che si scrive, di parlarne, di avere un parere, di ottenere un orientamento di base. Tuttavia nel dibattito interno nasce presto l’autoriflessione sul carattere chiuso di questo meccanismo: si comincia a parlare di “cricca”, per indicare il gruppo di utenti sempre presenti e legati tra loro da affiliazione più antica. Anche se non esiste moderazione, in questi gruppi si scorge ben presto un carattere che scorgeremo più tardi su scala più vasta: l’autoreferenzialità. Ci si scrive e ci si legge in un ambiente chiuso e si finisce ben presto per scrivere e leggere quasi completamente sul gruppo stesso e sulle sue modalità di operare. Il «periodo d’oro» dell’entusiasmo per un nuovo mezzo che dà potere di condividere la propria scrittura si esaurisce presto in polemiche, in interferenze esterne, in dispersione. Più tardi si cercherà di dare a questi gruppi una moderazione, ma senza risultato. L’evoluzione del mezzo non c’è: rimane bacheca spesso vuota di commenti, dove si spera di ottenere un giudizio e si ha voto di scambio. Certo, l’utilità di base, quella comunicativa, rimane, ma questo non risolve i problemi che nascono da considerazioni evolutive come l’archiviazione (i post vengono progressivamente persi), l’organizzazione (le directory sono ad albero ed è difficile orientarsi o ricercare informazioni) e la sistematizzazione di un lavoro.
Da questa esperienza segue la pubblicazione del mio primo e unico libro, al momento: una raccolta di racconti brevi per lo più discussi e riscritti nei gruppi di discussione. Come la stragrande maggioranza delle esperienze di pubblicazione, anche questa esce dalla Rete per entrare nel già ben rodato meccanismo editoriale a pagamento, non vende copie, non viene distribuita, non troverà mai un pubblico.
3. L’ESPERIENZA DIRETTA – IL CASO
I tempi in cui sono transitato ad un passo successivo di esperienza sono invece decisamente sospetti. Siamo nel 2005: la rete è completamente cambiata, il World Wide Web è ormai quasi l’unica interfaccia attraverso la quale si accede in gran numero ad Internet. La sua struttura è variata in funzione di enorme vetrina commerciale: ogni attività e interscambio ha un corrispettivo in un sito internet. La banda si è potenziata a tal punto che sulla rete possono viaggiare immagini e film: ci si può sentire in tempo reale in viva voce e vedersi via web cam da una parte all’altra del pianeta. Da alcuni anni, circa sei, è nato un fenomeno che si chiama blog: una sorta di piattaforma web semplicissima, standardizzata, basata sul web e che come carattere distintivo rispetto ai siti convenzionali ha il carattere cronologico e diaristico degli inserimenti. Lo stesso nome blog è una contrazione della locuzione inglese web log, ovvero «diario, registro del web». Esso diventa da subito uno strumento realmente di massa per rendere disponibili in rete i propri pensieri in quelli che ben presto diventano diari personali commentati e seguiti da un pubblico.
Nel luglio del 2005, quando apre LiberInVersi, lo spazio blog che ho creato, le directory e gli osservatori registrano nel mondo già più di 40 milioni di blog. L’esperienza alla base dell’apertura di LiberInVersi è la continuazione di quanto fatto e visto nel mondo dei forum elettronici, con l’intento di superare i conflitti, l’animosità e se possibile l’autoreferenzialità del fenomeno. La creazione cioè di uno spazio aperto che consenta l’incontro tra persone con gli stessi interessi, ma ancora di più, deciso ad integrare questi interessi per mettere insieme conoscenze, suggestioni, spunti e note per fare la differenza, generare archivi, percorsi “storici”, letture. La creazione insomma di entità bibliograficamente rilevanti in senso documentale, che rappresentino una possibile fonte di citazione ma anche risorsa per approfondimento e conoscenza.
LiberInVersi nasce così come strumento dapprima di divulgazione (il suo sottotitolo iniziale è “Divulg(azione) poetica dal mondo dei gruppi di discussione”), cercando di imporsi proprio come il blog di un gruppo di discussione in particolare it.arti.poesia, nel tentativo di trascinarne il pubblico su un mezzo e su una piattaforma diversa e più gestibile, non esattamente moderata, ma capace di costituire una sorta di “punto base” per un incontro con presupposti diversi e più titolati di quanto accade sui newsgroups. Ovviamente anche nei blog la velocità di mutazione è elevatissima e il gruppo che originariamente sottende LiberInVersi si sfalda, si divide e si auto annulla, cominciando a disperdersi in una prima generazione di altri blog, secondo un meccanismo comune al mezzo, ovvero l’apertura di altri spazi più calibrati, a volte anche solo sulla propria personalità e la propria cerchia di lettori. Il percorso che LiberInVersi tenta da un certo punto della sua storia è quello dell’invito di autori diversi, l’ospitalità per un certo numero di giorni dei suoi testi (al principio 3 giorni) e la discussione su questi, con l’auspicio che il confronto possa essere il più vivo possibile. Da questo percorso si origina così l’intenzione di creare una mappatura della poesia contemporanea, pur calcolando gli enormi limiti e difficoltà insiti in questo compito. Il successo è abbastanza riconosciuto e riconoscibile: LiberInVersi cresce in lettori e commenti per giorno, toccando le 300 visite quotidiane e le 1000 pagine visualizzate. Di questo conteggio, comune a molti altri ambienti in rete, spesso nei vari meeting organizzati in Italia si riflette quale sia la percentuale di nuovi utenti, quanti siano i reali lettori, quanto invece incidano le visite ripetute degli stessi visitatori di sempre. Ma al di là della speculazione che al giorno d’oggi ha risposte abbastanza precise con gli strumenti statistici come ShinyStat, la vera esperienza di LiberInVersi non è la raccolta di consenso e di lettori, quanto la possibilità di mettere a contatto voci diverse, possibilmente quelle della poesia da un lato (che innegabilmente c’è, fin troppo, nella produzione) e quella che potrebbe configurarsi come voce critica di primo livello, almeno elementare. Ciò che LiberInVersi comincia a proporsi gradualmente è, attraverso una certa dose di divulgazione, l’«educazione dell’utente a diventare lettore», laddove si percepisce, a fronte della pletora produttiva, una scarsità di lettura e di dibattito articolato.
Le potenzialità del mezzo fanno sì che in poco tempo si sviluppi un discreto entusiasmo e che l’attività ferva: ecco allora incontri, discussioni animate ma sempre nei limiti della correttezza, qualche episodio di sabotaggio. Tutto questo sino ad una certa massa critica, superata la quale inevitabilmente (e forse naturalmente) si generano ancora nuove duplicazioni e replicazioni del mezzo, moltiplicazioni dei contenuti, sempre più difficili da tracciare.
La mutazione di LiberInVersi in un collective blog, ovvero in un blog multi utente è solo la penultima fase ormai dettata da sollecitazioni esterne che mirano in qualche modo ad aggregare risorse e redattori. Oltre alla mappatura, LiberInVersi, dal luglio del 2006 si propone anche di allargare gli orizzonti alle scritture straniere, attraverso la collaborazione di autori e traduttori italiani residenti all’estero o in Italia. Si propone anche di ampliare i contenuti a maggiori trattazioni saggistiche e di opinione: diffondere cioè idee, creandole sulla superficie di lettura già rodata. Anche l’ultima fase, datata luglio 2007, che prevede di creare una prima antologia ragionata di un minimo numero di autori ospiti a partire dalle selezioni dei redattori, insieme quindi ad un tentativo di creare «selezione del buon testo», setacciatura e non solo mappatura, anche quest’ultima fase però, non fa che confrontarsi periodicamente con un calo di interesse e una sempre maggiore moltiplicazione dei contenuti che genera. Spesso questa è l’impressione: un certo livello sempre crescente di dispersione. Nonostante manchi la volontà di arrogarsi il diritto di distribuire i contenuti migliori o superiori, spesso la percezione di questa dispersione è evidente e i fenomeni di aggregazione sembrano non attenuarla.
Esperienza significativa legata al tentativo di ridurre la dispersione e aggregare i contenuti, è senza dubbio quello degli aggregatori di feed. Questi ultimi, utilizzando la tecnologia RSS, sono in grado di aggregare in tempo reale e raccogliere i titoli delle ultime uscite del blog, costituendosi così come veri e propri canali che permettono di tenere sotto controllo la produzione quotidiana dei diversi spazi e siti che supportino tale tecnologia. Il caso emblematico è PoEcast, aggregatore “specializzato” in siti di poesia creato da Vincenzo Della Mea, a seguito di richieste per avere un ambiente web con queste funzionalità (essendo in genere gli aggregatori delle applicazioni client più flessibili ma non funzionanti su web). La creazione di PoEcast è un possibile inizio della costituzione di una comunità che legge e “ascolta insieme” anche gli altri, riproducendo su scala più ampia quanto accade in un singolo ambiente/blog: la conferma in questo senso viene del fatto che tutti gli owner e tutti i lettori di un singolo spazio on line quasi sempre frequentano PoEcast per essere aggiornati sulle uscite e poter intervenire sugli argomenti di maggiore interesse.
4. AUTOREFENZIALITA’ E IPERPROLIFERAZIONE
A fronte dei numerosi benefici che Internet genera nella poesia, primo fra tutti la liberazione dall’isolamento di scritture che meritano di essere portate alla luce e l’incontro tra queste ed un pubblico seppure limitato e disperso, ci sono però alcuni difetti o punti deboli intrinseci del mezzo. Come già visto per i newsgroups, anche per i blog si generano fenomeni di moltiplicazione eccessiva e di ulteriore auto isolamento in piccole comunità. Dal principio della Rete ad oggi si sono creati anche innumerevoli siti letterari in diverse lingue, ma in quanti di questi si supera l’auto lettura vicendevole, magari spesso condita da adulazioni reciproche dovute alla conoscenza da lunghi periodi ? In quanti si supera la mera archiviazione di testi senza supporti di lettura, almeno blandamente critici e con una certa inclinazione ad una organizzazione sistematica del materiale ? Il fenomeno dell’autoreferenzialità è abbastanza comune e intrinseco alla comunità letteraria anche astratta dal mezzo informatico: tuttavia in questo mezzo pare che quanto si origina, sia tendente ad amplificare questo genere di fenomeno.
In un continuo processo di nascite e morti, mentre sto scrivendo questo articolo, le statistiche Technorati1 registrano nel mondo più di 70 milioni di blog, con una velocità di crescita però ormai rallentata rispetto agli anni in cui il fenomeno ha preso il via (si parlava a marzo 2007 di circa 110.000 blog aperti al mese, rispetto agli oltre 200.000 di maggio 2006). Molti di essi, come si è già detto, prendono origine da costole di blog precedentemente creati: molti altri “muoiono”, dove per un blog il concetto di morte equivale a quello di dimenticanza. Quando un blog viene dimenticato, spazio ormai vuoto e senza più accessi, è definitivamente morto.
Il successo del lit-blog (che sta per literary blog) è dovuto al fatto che lo strumento blog ha successo in tutto. Il blog è strumento così versatile che tutti sono in grado con pochi clic di aprirne uno ed usarlo con flessibilità invidiabile per la condivisione di qualsiasi contenuto. Essendo letteralmente un Content Management System, un sistema di gestione di contenuti, qualsiasi argomento, disciplina, evento si presta ad essere inglobato in esso. Oggi ogni giornalista e politico che si rispetti ha un proprio blog, ce l’hanno noti comici come anche la nostra vicina di casa adolescente che racconta in simil-pagine di diario piene zeppe di fotografie ed immagini sbarazzine la propria vita privata di quindicenne. E ci sono i blog di letteratura, che mai come altro si sono visti riproporre il meccanismo che già abbiamo incontrato nei newsgroups: condivisione di contenuti, contatti, incontro. Il gioco è fatto. A Macerata nel 2006, riflettevo al meeting organizzato da Filippo Davoli a margine della locale rassegna di poesia, come un lit-blog, che pure si presuppone trattare argomenti, sia detto tra virgolette, ampi e profondi come quelli letterari, possa essere accomunato al blog organizzato da un circolo di pesca a mosca. L’uniformità del blog, la tendenza ad ugualizzare attraverso il mezzo, la reperibilità dell’informazione senza ostacoli, fa sì che visto da fuori, sul mare magnum dei contenuti, qualsiasi contenuto sia assimilabile ad un altro.
Autoreferenzialità, quindi ed iper-proliferazione (che equivale a dispersione dei contenuti non organizzati) sono due problemi che minano alla base non l’operatività della letteratura su mezzo informatico, ma la stessa necessità delle scritture, a cominciare dall’entusiasmo e dalla motivazione di chi le tenta.
5. L’AUCTORITAS E IL CIRCUITO EDITORIALE
Con il crescere del dibattito sull’opportunità della letteratura in Rete e dei suoi possibili sviluppi, un tema più recente e più articolato emerso nella discussione è stato quello intorno all’auctoritas del lavoro operato dai vari siti, spazi e blog. La riflessione, originatasi specialmente durante l’Absolute BlogMeeting2 di Monfalcone nel marzo 2007, verte sul confronto tra scritture, poesia e possibile critica sviluppate in rete da un lato e accademia, editoria e canone dall’altro. Si può ricordare qui la polemica nata sulle pagine di Liberazione, Corriere della Sera ed Espresso tra Nanni Balestrini, Giuseppe Conte ed Umberto Eco nell’agosto del 20063. Sebbene si parta dal presupposto dell’ingiustificabile pletora editoriale e dalla necessità di formalizzare e classificare in qualche modo tutta la scrittura italiana contemporanea tentandone una scrematura (e alcune voci del citato scambio d’opinioni indicano la Rete come il futuro delle scritture), nonostante questo il parere generale di accademici e “titolati” è che la gran parte del lavoro letterario in Internet sia “spazzatura”. Ne è anche dimostrazione il fatto che l’autore non attivo in Rete e che raggiunge una certa notorietà editoriale (che per la poesia non si misura che oltre le poche migliaia di copie vendute), evita sistematicamente l’attività on line. Alcuni esempi, possibilmente mascherati con una scarsa dimestichezza con il mezzo, si possono annoverare anche nella lunga lista di autori di LiberInVersi.
Sebbene alcuni esempi di lavoro letterario in rete, per il carattere sistematico e preciso della ricerca, rappresentino un’ottima prospettiva di evoluzione, ogni risultato è però ancora difficilmente integrabile, cumulabile e perfino “citabile”. Manca, per dirla con una parola, l’autorevolezza del lavoro operato per una intrinseca difficoltà tecnica e normativa da un lato e per una mancanza di volontà ad operare per un unico obiettivo dall’altra. Alcuni progetti4 (compreso un tentativo ormai abbandonato nato in seguito al BlogMeeting di Monfalcone) hanno tentato di costituirsi in questo senso come fonti attendibili ed organizzate, fornendo link permanenti e una codifica di citazione, oltre a farsi garanti di una selezione approfondita dei testi su base condivisa. Le difficoltà, però, si misurano proprio sulla base dei fallimenti nell’essere rete globale, unica e operativa in un senso unico. Questo ovviamente andrebbe anche contro ovvi e necessari presupposti di pluralità, ma è comunque ancora e sempre lontana la nascita di una vera e propria rete letteraria che costituisca un panorama almeno simile a quello che fino agli anni ’60 del secolo scorso nasceva e cresceva intorno all’autorevolezza di certe riviste (Menabò, forse, come spartiacque storico).
6. CONCLUSIONE E PROSPETTIVE FUTURE
E’ difficile arrivare ad una conclusione ed analizzare prospettive future per un argomento così complesso. La letteratura e le scritture in rete (o la poesia in web, per riprendere il titolo di q uesto pezzo, forse troppo riferito ad un particolare) si confrontano con flussi e sistemi esterni forse ancora più instabili:
1.
il campo definito di volta in volta dalle tecnologie e dagli oggetti e soggetti di informazione [che sono sempre a mio avviso dei moltiplicatori/demoltiplicatori di una tendenza, avviata nel ‘700, a materiare in meccanismo i movimenti del pensiero e della riflessione estetica] è un campo così cangiante, metariflessivo, sfuggente, a volte irrazionale, da sottrarsi a tutte o quasi tutte le nostre velleità di definizione – come di lamentela e perfino militanza.
ogni volta che schiacciamo il tasto F5 la situazione è diversa. (cirrocumuli, strati, cristalli che continuamente migrano). essere ‘militanti’ in rete significa rischiare a ogni bit di mancare quel che di invisibilmente rivoluzionario o perlomeno spiazzante e interessante sta succedendo nell’area vicina a quella su cui si accaniscono gli sguardi.
una parte di attività – e riflessiva e filosofica e ‘relazionale’ – è svolta poi direttamente dalle macchine, in legame stretto con individui e gruppi, oggi. senza che ciò significhi pura espropriazione del pensiero da parte di strutture di vendita.
[ consideriamo Myspace o Facebook, o tutte quelle piattaforme articolate, come LiveJournal o Flickr o YouTube, che partono da un ‘servizio’ – p.es. il blog o l’hosting di immagini – per poi tenere in legame molte persone diverse, e offrire una serie di altre opportunità che possono non chiudersi nel cerchio delle ‘applicazioni’, dei ‘banner’, della ‘pubblicità’ ]
2.
la rete cambia in parte anche la percezione dell’oggetto poesia. MA in questo va ad intervenire su una situazione matura (per il cambiamento, e per le direzioni esplorabili) dove una cultura poetica nel tempo si è modellata in senso non troppo discontinuo, ossia in molti paesi del nord Europa, e certo in area francofona e anglofona.
al contrario, là dove alcune fratture hanno interrotto il corso di certe ricerche e di alcuni linguaggi (dove cioè una miserabile potatura ha lasciato solo poche forme sedicenti ‘eterne’), come in Italia, la situazione può essere disperante se non comica.
ci troviamo così di fronte a burloni che impugnano il laser per disegnare bisonti nella caverna, o si tuffano in acrobazie xhtml per miseramente calligrafare sonetti caudati su schermate in finta pergamena, con tanto di penna d’oca gif.
la lingua è la spia di questo stato di cose. relitti italiani e neoformazioni inglesi:
in inglese esiste da tempo la [ormai indispensabile, e viva=usata] parola “vispo”, che contrae “visual poetry”; come esiste “langpo”, che sintetizza “language poetry”. in Italia abbiamo ancora una splendida (ultra)quarantenne “poesia visiva”, raramente utilizzata; e per far riferimento a aree di poesia sperimentale quasi non si dispone di vocabolario.
chi dice sperimentale in Italia sembra possa dire soltanto “Neoavanguardia” o “Gruppo” (con numeri a seguire).
ytalya, paese di lotterie.
come se le straordinarie esperienze di «Testuale», «Anterem», «MarcaTre», Geiger, Zona, Lerici, Manni, D’if, Lombardelli (per citare senza completezza né ordine) non fossero esistite né esistessero.
è ovvio che in una situazione del genere, nella generale miopia o indifferenza verso sedi e siti di sperimentazione, l’arrivo della rete dà o rischia di poter dare soltanto una manciata di bytes a una gabbia mentale ancora e sempre immarcescibilmente petrarchesca, petrarcaica (quando va bene).
da tale status viene quello che leggiamo nel 90% (o più) dei siti che sembrano occuparsi di scrittura.
3.
la mia è allora una “lamentela” ? contraddico quanto detto al principio del § 1 ?
se è lamentela, è divertita. per niente accigliata. anche perché uno dei vantaggi della rete consiste nel mostrare del tutto chiaramente e felicemente che una cosiddetta cultura cosiddetta nazionale quasi non è necessaria. si possono passare mesi estremamente proficui senza aprire una sola volta siti italofoni.
chi voglia sbizzarrirsi e verificare quanto scrivo trascorra qualche giornata a esplorare le centinaia di link (con percentuale minima di .it) raccolti nella comunque incompletissima rassegna su http://gammm.org/index.php/links/
4.
ancora. a monte.
mi trovo del tutto d’accordo con un’osservazione fatta da Gherardo Bortolotti in altra sede (che non rintraccio: ma forse si tratta di conversazione via mail, privata), che dice: mentre negli USA e in parecchi paesi europei i lettori [si intenda la categoria generalissima] esistono, e dunque creano un pubblico, un insieme eterogeneo ma non inafferrabile e anzi consistente di sguardi, in Italia accade che la scarsità di lettori, nonché la ‘depressione’ del segmento individuato come poesia, e il mercato librario tarato sugli input televisivi, sul pietismo pop, sul fast food delle grandi (e attestate) catene distributive, siano dati di fatto determinanti.
dunque, mentre negli USA la presenza della poesia in internet è una sorta di volano aggiunto, un distributore-diffusore in più per qualcosa che esiste già ed ha forze e un pubblico (che si occupa di sperimentazione e non solo di quella), in Italia la rete assume l’aspetto – non esclusivo ma incisivo sì – di un’alternativa, di un canale sostitutivo o, se va bene, correttivo e quasi ortopedico per le cadute le malattie le disfunzioni e i collassi dell’editoria, della distribuzione, delle librerie, dei lettori (scarsi in due accezioni). è o può risultare insomma un farmaco, non un integratore.
le riviste e i libri non vendono? si spostino online.
scherzando si potrebbe allora dire: nel nostro paese dovrebbero ancora accadere, sovrapposte o nell’ordine, le seguenti cose: creazione del soggetto lettore (onnivoro, aperto), sua moltiplicazione e crescita quantitativa, arrivo degli anni ’70, feste & abbondanza di esperimenti, passaggio di questi esperimenti nel sentire (letterario, artistico) comune, superamento di alcuni codici e invenzione di altri, ulteriore moltiplicazione e crescita quantitativa di lettori e scrittori che hanno introiettato (non prelevato da archivi) tali codici, e infine movimento e migrazione e intrecci di codici e lettori in rete. (immaginare qui un emoticon sorridente).
in sostanza abbiamo bisogno forse di una storia che non c’è. chi se l’è procurata (per vicenda personale) fa già il suo lavoro, se vuole o può, come può, e pesca negli esteri. (Emilio Villa, ovviamente e non casualmente, docet).
l’invito di Rimbaud, l’esortazione a essere assolutamente moderni, non è una prescrizione medica. chi vuole può vivere benissimo senza. è quello che da oltre trent’anni fa la stragrande maggioranza degli scrittori italiani. i blog – quasi tutti – ne sono traccia chiara.
cambieranno forse. ma non è importante. la rete è molto più ampia dell’orizzonte (della lingua) nazionale; e anzi in un certo senso ne è proprio il positivo superamento. è anche per questo che, con gli amici di gammm, abbiamo inventato anche the flux i share.
maggio-settembre 2007
Marco Giovenale è nato a Roma, dove vive e lavora. È stato organizzatore di mostre. Ha vissuto per un breve periodo a Firenze. Si è laureato con una tesi sulla poesia di Roberto Roversi. Il suo sito è www.slowforward.wordpress.com. Con Massimo Sannelli cura la lettera-dono aperiodica «bina». È redattore di GAMMM (http://gammm.org), IEPI (International Exchange for Poetic Invention: http://poeticinvention.blogspot.com), e altri spazi in rete: se ne trova una sintesi in http://liensliens.blogspot.com. Collabora con recensioni di poesia e letteratura alle pagine culturali del «manifesto». Testi in riviste: su «Nuovi Argomenti», «Poesia», «Rendiconti», «Semicerchio», «Private», «l’immaginazione», e altre. Libri di poesie: Curvature (Camera verde, 2002), Il segno meno (Manni, 2003; edizione per il premio Renato Giorgi), Altre ombre (Camera verde, 2004), Double click (Cantarena, 2005), Criterio dei vetri (Oèdipus, 2007), A gunless tea (testi in inglese, Dusie, 2007). Prose: un e-book è uscito nel 2004 per Biagio Cepollaro E-dizioni: Endoglosse. Venticinque piccoli preludi; e nel 2006 Arcipelago ha pubblicato un libretto di nuove “endoglosse”: Numeri primi. Una mutevole opera/blog con testi in inglese è poi Differx, in rete su http://differx.blogspot.com. È tra gli autori inclusi nel Nono quaderno italiano di poesia contemporanea (Marcos y Marcos, 2007, a cura di Franco Buffoni) e in Parola plurale (Sossella, 2005).