Sezione “Una poesia inedita”
Patrocinio: Circoscrizione “Centro storico” di Verona
Testo premiato
“Dagli antichi flutti”
di Marcello Gombos
Commento a “Dagli Antichi Flutti”, dell’Autore
Sono spesso fattori biografici minimi, eventi insignificanti, a fornire l’occasione che ci spinge alla scrittura poetica. Nel caso di “Dagli Antichi Flutti” è stata, ad esempio, per quanto posso ricordare, la sensazione di “sradicamento” percepita in un periodo di frequenti spostamenti dovuti al lavoro universitario.
Ma non sono questi eventi minimi, di per se stessi, a costituire la sostanza della poesia, quanto (anche) le sue risonanze.
La pratica poetica (e forse la letteratura in genere), ha aspetti negromantici, vive della convinzione cabalistica che la parola possa ricreare l’oggetto, che il “nome” scritto nel cartiglio possa animare il Golem. Perciò nelle poesie, nei nostri “sortilegi” tendiamo a ricreare le nostre ossessioni, a rianimare i nostri fantasmi, e ad evocarli per gli altri e negli altri.
Le ossessioni, le risonanze, che ho introdotto in “Dagli Antichi Flutti” le avrete già identificate: Atlantide, Bisanzio, sono simboli, nel mito e nella storia, di morte e rigenerazione, morte che porta alla disseminazione di cultura in terre lontane, di “diaspora” (altra parola dalle risonanze infinite…).
Simboli di mortte e rinascita, come la Fenice, simboli di sradicamento: ed è questa la nostra condizione di uomini, di esseri mortali, senza radici, ma “pronti a dar frutto in una terra sconosciuta”, che ci impone di rinascere da ogni Diluvio, dal “Day After” di ogni Bomba, di attraversare gli elementi in tempesta, di affrontare la rivelazione della nostra finitezza e di oltrepassare i nostri stessi confini, per ricominciare al di là, oltre, o qualunque significato si voglia dare all’ “altrove”, “da una nuova Genesi”.
Dagli Antichi Flutti
(Canto Dell'Onda)
Viviamo sempre sul bordo di Atlantide
in attesa dell' ultimo flutto
che sommerga finalmente le nostre creazioni
le case, le navi nel porto e i templi dorati che ci imprigionano
che ci cancelli infine espandendosi nei nostri polmoni
e schiacciandoci sul fondo dell' oceano
O che invece ci scaraventi su di un atollo sconosciuto
feriti e nudi tra i frammenti della nostra canoa
stremati
ma liberi e pronti a ricominciare da zero
Viviamo sempre sulle mura di Bisanzio
in attesa dell'ultima invasione
che sommerga in un mare di fuoco e di acciaio
le persone e i luoghi a cui il nostro cuore è incatenato
che ci cancelli infine esplodendo nelle nostre viscere
gettandoci massacrati in una fossa comune
O che ci spinga alla fuga lontani dalle cupole dorate di Santa Sofia
frammenti di un'antica erudizione come semi dispersi dal vento
feriti, disperati, derelitti
ma pronti a dar frutti in una terra sconosciuta
Viviamo sempre come la Fenice
alla ricerca disperata di un posto dove morire
dove bruciare infine e fecondare con le nostre ceneri
una nuova terra meno sterile dove rinascere di nuovo
pronti per ricominciare
Viviamo sempre in attesa del Diluvio
della Bomba, dell'Apocalissi, della catarsi finale
di attraversare fuoco, acqua, terra, aria, acciaio e veleno
e purificati infine e nudi in una terra vergine
ripartire altrove da una nuova Genesi
Sezione “Raccolta Inedita”
Patrocinio: Biblioteca Civica di Verona
Opera vincitrice
“In re ipsa”
di Giulio Marzaioli
Anterem Edizioni, 2005
*
Traccia l’intonaco
come vetro, come
una mano che dietro
scrive. La trama del
disastro è un ricamo
che infrange. Piano.
*
Quantomeno somigli il crollo
perché sia familiare la rovina.
La mappatura nel distacco,
un tratto ad ogni spaccatura.
Che insomma cos’era prima
resti: rotto, ritratto, replica.
*
Intanto la voce
si piega, curva
nel silenzio, tace.
Non sbatte, non
rimbalza, non va
per linee rette
il suono. Il moto,
resistendo, stona.
*
(notizia – la ferita dall’esterno:
il tempo si ricuce nella carne)
*
(notizia – la ferita dall’interno:
nascosto nella lama il taglio resta)
Sezione “Opera Edita”
Patrocinio: Provincia di Verona
Testi tratti dai tre volumi vincitori
Luigi Ballerini
Cefalonia, Mondadori 2005
Dalla “Notizia dell’Autore”:
“Cefalonia è un poemetto dialogato, in realtà un momologo a due voci, in cui la funzione contestuale è affidata al racconto, per brevi e saltuari cenni, dello sterminio dei soldati italiani della Divisione Acqui compiuto dai tedeschi nei giorni successivi all’armistizio divulgato l’8 settembre 1943.
Parlano Ettore B, soldato italiano caduto in combattimento (ma forse fucilato), e Hans D, uomo d’affari tedesco nato con la camicia, ovvero capace di cadere in piedi, sia prima, sia durante, e sia, soprattutto dopo i combattimenti.” (…)
Ettore B
le tinga dunque un altro le camicie aborrite dal regime, le rifaccia drip
and dry, le affidi a un mercato eccitato, splendidamente rinnovato,
assiepato, più dinoccolato di Gary Cooper, più allampanato di Buster
Keaton, vittima d’insidia, non di eroico furore. Ma io vago insepolto,
elargito a sroposito, e mi è chiara la violenza di un pensiero in linea
retta, che si posa sui clivi e sui colli, con arpe d’oro, e riposa su torri
atterrate, un pensiero che non sa dirsi: “torna indietro”, come carta
giocata incautamente, come parola accolta ma non da noi generata (…)
Hans D
fortunato al gioco, in amore, coi libri che ho letto e non ho letto,
non sto qui a sifolare l’Aida giorno e notte. Il problema è che una
Deutschland uber alles sorride, implacata e vile, nel volto idiota
del presidente texano , con abito medio, macchina e moglie medie.
Nessuno è più libero di non strafare, nessuno che abbia diritto
di sapere come andrebbe a finire se amore fosse amare per forza
chi ci ama o ci guarda da sotto in su per ricordarci chi è che comanda.
Non è peccato, no, per carità, non è peccato, ma giocare per vincere,
sapendo di avere già perduto, questo, mi dispiace, non era nei patti
Albino Crovetto
Una zona fredda, Niebo-La Vita Felice 2004
Dalla “Presentazione di Milo De Angelis”:
La poesia di Albino Crovetto, aguzza e scheggiata, parla di una dimora che viene meno, di un uomo che non abita più dove respira, di un esilio nel cuore del luogo amato. Poesia che un furioso assedio disincarna fino alla linea. Poesia attraversata da fenditure, solchi, materia screpolata. Figure di buio, freddo, sparizione, ferite senza sangue. (…)
Da Scaglie
quietamente gli occhi
bucati dalla veglia
aprono fiumi
macerie in movimento
per difendere memorie
ora un furioso assedio
*
ma passano il fiume
con clamore e lutto
spenti
dentro il mese più caldo
crollano
dentro un quadrato vuoto
dentro un gelido rogo
Da Una zona fredda
Sono due luci lontane
esistono solo nella notte
dei suoi occhi
negli atomi perfetti
segnati con violenza
ogni volta che crollano
di colpo nella neve
se gridano
se diventano linee
o due fessure di vita.
Franco Falasca
Nature improprie, D’Ambrosio 2004
Dalla “Postfazione di Francesco Muzzioli”:
(…) Una poesia della complessità, dunque, che punta sulla mescolanza, l’incrocio, il montaggio, componendosi in una sorta di geroglifico verbale. Il punto di partenza di Falasca può essere trovato nel modo che la sensazione assume nell’epoca della modernità avanzata, in presenza di una focalizzazione percettiva che dilata i particolari e inventaria il loro evento rispettando l’occorrenza caotica della vita. (…)
Appunti descrittivi
Ruote
Schiacciate sopra i sassi del viale
E tra gli sterpi zingari
Dai volti scuri coperti d’ombre
E di riflessi
-le tende
a formare un vano triangolare-
…
l’asfalto
d’estate caldo e dall’odore di bitume
l’asfalto viscido scuro e bituminoso
…
tra gli steli spinosi e le foglie verde-chiaro
e larghe delle leguminose
…
ed intorno sulle rocce, qualche portone
con il vestito bianco
…
le tende grigie e bagnate dei venditori
…
dal contorno ovale
con i capelli scomposti sollevati
in due ciocche
…
gli edifici giallastri
sui prati dalle superfici ineguali
…
sotto l’insegna di lamiera arrugginita
i cerchioni adagiati in buche del terreno
…
il volto ombreggiato
le mani sotto il mento
i capelli sulla fronte
la guancia inclinata da un lato
…